venerdì 23 dicembre 2011

Il vecchio che non giova alle primarie del Pd

“ La politica è la continuazione della guerra con altri mezzi”, ha scritto Carl von Clausevitz nel famoso saggio “Vom Kriege”, Della guerra. E lui, generale tedesco e studioso dell'arte in cui eccelse lo stato prussiano ottocentesco, conoscendo bene gli elementi costitutivi della conflittualità, sapeva riconoscerli in ogni fenomeno umano fondato sulla contrapposizione degli interessi. E quale fenomeno ha natura più conflittuale della politica?

I costituenti hanno posto i partiti, associazioni private di cittadini, al centro dell'agone politico come luoghi di partecipazione e di rappresentanza degli interessi particolari della società. Ai partiti, con l'art.18, è stato assegnato il compito di formare il pensiero dei cittadini, la selezione del personale politico ed amministrativo, di essere bastioni della pace democratica, proprio perchè trasformano in confronto dialettico ciò che in situazioni meno mediate finirebbe in conflitto armato scomposto. Guerra.

Uscendo dal preambolo, vengo al dunque. Le primarie del centrosinistra. Come è noto la scelta è stata travagliata ed incerta. Come un po' d'ovunque anche a Rieti, la frammentazione correntizia, oggi determinata dalle “ aree”, si è aggiunta al naturale pluralismo del Pd, nato dalla famosa fusione a freddo tra Dc e Pci, producendo un di più di conflittualità. Alla fine, habemus due papi: Annamaria Massimi, segretaria cittadina e Simeoni, tesserato ed ex sindacalista della Cisl.

Tutto è bene quel che finisce con una soluzione. E soprattutto è bene che il partito democratico abbia offerto agli elettori la possibilità di scegliere tra due candidati, sicuramente diversi per storia e sensibilità politica, ma entrambi “ anomali”, politicamente parlando. Massimi, ancora “odora” di società civile, nonostante i cinque anni da consigliera regionale. Simeoni, ex sindacalista da qualche tempo, del politico ha ancora poco e niente. Questo li rende più forti e più deboli ad un tempo. La forza viene dalla estraneità a tutto quello che ha generato l'antipolitica, ovvero il potere partitocratico.

La debolezza deriva dal fatto che, se loro sono il nuovo, particolarmente Simeoni, a sostenerli è il vecchio. Quel vecchio che ha prodotto la vittoria ventennale della destra ed una opposizione fiacca e verbosa, buona più a sollevare in tanti il timore di connivenze che a rappresentare il ruolo importantissimo che la democrazia le assegna, di sentinella dell'azione politica della maggioranza. Questo vuol dire che entrambi i candidati debbono liberarsi della zavorra di chi appesantisce la loro campagna per le primarie con i toni delle contrapposizioni personali e dell'autoreferenzialità.

Lo scambio di lettere pubbliche tra i sostenitori di Simeoni e di Massimi sono un fastidioso segnale di guerra civile dentro il Pd più che di voglia di sconfiggere la destra. Di questo i due candidati sono incolpevoli vittime. Alla loro capacità, intelligenza, senso dell'importanza della funzione per cui sono scesi in campo, sta il sapersi sottrarre all'indebolimento d'immagine e di autonomia in cui rischiano di cadere a causa di quella che appare una guerra per bande tra vecchi e giovani oligarchi e funzionari del Pd. Un partito incapace di rinnovarsi proprio perchè fatto di persone e dirigenti attenti più alla difesa delle proprie posizioni che della buona amministrazione.

Quando Hillary Clinton, già convinta di essere la candidata per la presidenza americana, vide comparire all'orizzonte Obama, non ne fu contenta. I due si fecero una guerra senza risparmio di colpi, perchè “ la politica è la continuazione della guerra con altri mezzi”. Ma in primo piano c'erano loro e le loro proposte politiche. Sullo sfondo, ma proprio profondo, il partito, le sue divisioni. Sarebbe un errore imperdonabile che ora, nelle primarie reatine, avvenisse l'opposto.


martedì 6 dicembre 2011

Le primarie della sinistra

Simone Petrangeli, Franco Simeoni, Gabriele Bizzoca ed Annamaria Massimi sono i quattro in gara per le primarie del centrosinistra da cui uscirà il candidato che dovrà strappare alla destra la lunga permanenza alla guida del Comune. Una permanenza che risente inevitabilmente di tutti i difetti della mancanza di ricambio. In democrazia la durata di una maggioranza è inversamente proporzionale alla sua qualità. E nonostante il pensiero civile oggi sia comprensibilmente impacciato dal convincimento del “ son tutti uguali”, le primarie rappresentano un'occasione straordinaria per ridare spazio alle differenze. Oggi con il dibattito. Domani con le politiche che si potrebbero mettere in atto.

Ma quali elementi identitari caratterizzano i quattro concorrenti? Simone Petrangeli è un giovane avvocato che milita da sempre nella sinistra cosiddetta radicale. Oggi fa parte di Sel, il partito di Niki Vendola. In un certo qual modo, politicamente parlando, è il più anziano, visto che da dieci anni è all'opposizione comunale. Per qualcuno con scarsa efficacia Per lui per colpa di una legge comunale che priva il Consiglio di qualsivoglia forza. Presto presenterà il programma che sembra sarà elaborato su di una rigorosa impalcatura ambientalista. Dall'urbanistica sostenibile, alla “green economy” la sua Rieti dovrebbe crescere salvaguardando l'ambiente.

Batte Petrangeli sull'anagrafe Gabriele Bizzoca, studente universitario di soli 25 anni. Conosco Gabriele da tempo e so con quanta passione s'impegna sui temi locali da quando era poco più di un adolescente. Presidente di “ Controvento”, associazione politica di giovani “ autogestiti”, nel senso che non fanno riferimento a “ capitani” ma alle idee di giustizia sociale, di rispetto ambientale, di diritti negati ai giovani, oggi impoveriti da una partitocrazia sprecona e vissuta alla giornata, dimenticando il futuro. Dimenticando, sotto tutti gli aspetti, il dovere delle generazioni di costruire per quelli che verranno . Bizzoca in questa tornata è l'espressione dell'antipolitica che, tuttavia, crede nella politica e scende in campo sfidandola.

Franco Simeoni è un sindacalista di lungo corso della Cisl di cui è stato segretario regionale . Proposto dal sindacato locale, preoccupato per la perdita di produttività della nostra provincia, è candidatura di tutto rispetto. Una parte del Pd crede sarebbe il candidato migliore per battere la destra. L'idea guida di Simeoni è di dare a Rieti un respiro più ampio. Rieti, secondo l'ex sindacalista, va vista all'interno del sistema regionale, dove può rappresentare una parte non secondaria, guardando a Roma come opportunità e non come un problema. L'importante è aver chiaro che Roma ha bisogno delle province laziali come queste ultime hanno bisogno di Roma. Rieti può uscire dal declino solo se sarà capace di attivare e valorizzare le sue tante risorse. Risorse che, però, necessitano di infrastrutture, come lo è il raddoppio della Salaria.

Dulcis in fundo, Annamaria Massimi, ex consigliera regionale ( per caso) ed attuale segretaria cittadina del Pd, sostenuta da una coalizione composita: parte del Pd, Comunisti Italiani ed Idv. Sarebbe ipocrita se negassi di nutrire una particolare simpatia per la sua candidatura. Per tante ragioni. La prima, anche se non principale, è perchè è una donna. Le donne non sono migliori degli uomini, solo diverse. Se si dovesse tenere una contabilità sui difetti delle donne e degli uomini, si otterrebbe un sostanziale pareggio di bilancio. Ma su una cosa le donne godono di una atavica primazia: sanno amministrare al meglio una “ famiglia” anche quando le entrate sono scarse.

E sicuramente chi andrà ad amministrare il Comune di Rieti dovrà farlo con maestria, rigore ed oculatezza, dati i suoi buchi ed una crisi che accrescerà i bisogni sociali. Inoltre è persona di scuola, professionista dell'educazione e formazione dei giovani. Su di loro sarebbero calibrate tutte le sue scelte politiche e questo oggi è obiettivo principale. Buone primarie a tutti.


Costini ed altre candidature

Per ora i possibili papabili del centrodestra per la poltrona di primo cittadino sembrano essere l'attuale presidente del Consiglio Comunale, Gianni Turina, da lungo tempo sulla scena politica e Antonio Perelli, il “ Signor milletessere”, appellativo felice di Felice Costini. Un “ Signor milletessere” che a detta dei colleghi di maggioranza, lo stesso Costini ed Imperatori, ha fatto poco e niente come assessore delle “ Attività produttive”. Valutazione condivisa da negozianti, albergatori, artigiani e cittadini. I primi lamentano l'inesistenza da parte del Comune di qualsivoglia misura a favore delle loro categorie, abbandonate alla crisi, nazionale e locale, dopo gli annunci di piani e provvedimenti mai realizzati.

Il“ recupero del centro storico”, era stato promesso. Basta farsi un giro per vedere di cosa si parla. I locali comunali dei portici di Piazza Vittorio Emanuele, vetrina naturale della città, sono spazi abbandonati alla sciatteria ed all'abbandono, con effetti negativi immediati sulle attività commerciali limitrofe. Per non dire dell'uso che si fa della piazza stessa, come il triste mercato mensile della Coldiretti (serbatoio di voti, però). E cosa combinare di peggio a dei negozianti che cercano di sopravvivere all'impoverimento sociale, se non iniziare i lavori per il recupero del mercato coperto, per poi sospendere tutto lasciando che topi e sporcizia disgustino i clienti (che non trovano nemmeno un parcheggio, visto che non è limitato) ?

Ed il rilancio turistico del Terminillo a che punto è? Ed il progetto per la costituzione dell'Ente Fiera della città di Rieti? Se Perelli pensa di candidarsi alla funzione di sindaco dovrà elencare le cose fatte, sottraendole alle promesse, oltre che dimostrare l'assiduità della presenza alle attività comunali. Più interessante è la candidatura dell'ex assessore Costini, sostenuta da una lista civica. Interessante perchè l'uomo è tanto prigioniero della cultura fascista (pensa , curiosamente, che l'Inghilterra, origine e tuttora protagonista di uno dei Welfare State più solidi d'Europa, sia priva di un Servizio Sanitario Nazionale, confondendo la “ Perfida Albione” con gli Usa), quanto capace di agire da battitore libero. In caso di ballottaggio potrebbe fare la differenza.

Ho incontrato Costini lunedì scorso al caffè preferito da Area, la sua associazione culturale. La ragione dell'incontro a cui gentilmente si è prestato è l'importanza che assegna al programma più che allo schieramento. Cosa, francamente, che sembra mancare anche a sinistra. Un programma che suona convincente, al di là che sia di sette pagine, dal fatto che è basato su dati di fatto come il “ progetto Plus”, presentato in Regione da assessore all'Urbanistica. Un progetto che, se finanziato, potrebbe davvero servire alla valorizzazione del centro storico.

Come convincenti sono, al di là delle opposizioni alquanto ideologiche messe in campo, l'Urban Center ed i Piani integrati, utili al recupero, finalmente, delle aree ex industriali realizzati con la collaborazione dell'Università reatina. Un recupero basato sulla “ interazione pubblico-privato” e sulla trasparenza. Una trasparenza assente negli ultimi trenta anni e che ha visto l'uso selvaggio della 167 in nome della quale sono nate le lottizzazioni trentennali con cui è stato divorato tanto del nostro patrimonio verde (ndr) e con cui sono state messe quasi a morte attività storico-produttive come quelle del Molino del Cantàro. Una risorsa produttiva e patrimonio storico collettivo scelleratamente sottovalutato dai nostri amministratori, come fatto anche per l'Istituto Strampelli.

“ Rieti, come dice Diego Di paolo, non ha niente di grande, ma ha tante ricchezze piccole che vanno messe a sistema”, dice Costini citando il “ padre” del Cammino di Francesco. Da sindaco lavorerei per questo. Alla domanda se farebbe assessore Di Paolo, risponde che no, sarebbe sprecato. “Meglio sarebbe se guidasse una struttura comunale per la gestione turistica”. Ce la farà Costini a far vincere di nuovo la destra ed a ricevere sufficiente consenso per realizzare l'ambizioso programma?

Come direbbe Shakespeare, inglese vissuto nel secolo in cui, nel 1601, veniva promulgata la “ Poor Law ”, la legge sui poveri, embrione del futuro Welfare State: “Oh se fosse dato all'uomo di conoscere la fine del giorno che incombe! Ma basta che il giorno trascorra e la fine è nota”.


sabato 19 novembre 2011

Se l'Ici fa più paura del default


All'estero tutti si sono domandati per anni cosa fosse successo al nostro paese, guidato da una personalità tanto attratta dal comando, quanto poco disposta ad indossare panni da statista. Le corna fatte in una foto di gruppo istituzionale, la telefonata mentre Merkel aspettava basita, il famoso e sgradevole a dirsi bunga-bunga, le amicizie cafone e chi più ne ha più ne metta, sono state vissute con divertimento solo da chi sottovaluta il valore dello “ stile” in chi è chiamato a decidere per una nazione. Come e più del solito in questo caso la forma è sostanza.

Chi scrive non si è divertita. Negli anni ho misurato gli effetti che l'Italia ha subito dal quasi ventennio berlusconiano: Impoverimento di ricchezza, di cultura, di senso del limite, di capacità di apprezzamento del bello come misura ed equilibrio; impoverimento di risorse umane. E' quotidiana l'esperienza di giovani italiani e reatini fuggiti all'estero. E' quotidiana la scoperta di nuove esasperazioni di diverse categorie sociali e produttive. L'Italia non è un paese povero, o almeno ancora non lo è in modo vistoso. L'Italia è un paese improduttivo e sfiancato dal debito pubblico.


Da troppo tempo il nostro paese è prigioniero di interessi singolari, di posizioni di rendita, di categorie gelose di privilegi acquisiti che non si vogliono mollare, costi quel che costi. E tutto questo tende a permanere mentre l'Europa e il mondo sono scossi da trasformazioni epocali. Il '900 ha portato via con sé un mondo straordinariamente diverso dall'attuale. Quando si dice globalizzazione non si pensa mai abbastanza al suo significato. Oggi le nostre vite non sono più all'interno di perimetri cittadini o nazionali. Oggi il perimetro è il mondo.


Il mercato e la finanza, in tutto ciò, producono effetti complessi e bisognosi di altrettanto complesso governo. A noi poveri mortali non resta che cercare di confidare nel buon senso e nella perizia di chi ha il compito di prendere decisioni. Del bellissimo discorso fatto dal professor Monti, ora capo del Governo, ho condiviso con emozione tutto. Un passaggio, tuttavia, mi è sembrato particolarmente apprezzabile. E' stato quando ha sottolineato l'ingiustizia del sentimento di antipolitica che ci caratterizza da tempo.


Come lui ritengo che la società civile non sia migliore della classe politica. Leggendo oggi quanto scritto nell'articolo intitolato” Paolucci(Uil):con reintroduzione Ici tassa da 56 euro per i reatini” ne ho avuto ulteriore conferma. Mi domando come sia possibile che un sindacalista scriva cose del genere. L'abolizione dell'Ici sulla prima casa, (tassa presente in tutta Europa), è stata una scelta tanto demagogica quanto sciagurata. Ha prodotto l'impoverimento dei comuni, costretti quasi tutti ad operazioni “ creative” di bilancio per poter soddisfare il mantenimento di servizi pubblici.


Ha accelerato la devastazione ambientale, visto che quasi tutti i comuni hanno fatto uso dello strumento urbanistico per fare cassa. E se il sindacalista non se ne fosse accorto, il Governo è caduto non perchè avesse avuto la sfiducia o fosse andato in minoranza. E' semplicemente stato sostituito dal Presidente della Repubblica, il cielo ce lo conservi, perchè ritenuto non all'altezza del compito di governare la crisi galoppante di cui tutti ormai hanno contezza.


Senza piagnistei dovremo tutti accettare ragionevoli ed equi sacrifici. Dovremo farlo per senso di responsabilità e per la consapevolezza che l'alternativa è la recessione, ovvero la caduta nella povertà innanzi tutto di quelli di cui oggi sembra preoccuparsi il sindacalista. Fossi in Paolucci mi preoccupere, piuttosto, del tracollo della Ritel e dei tanti totem che bloccano la riforma del diritto del lavoro. E penserei alle centomila ritel italiane che l'ottimismo e la demagogia berlusconiana ha prodotto. Non è più il tempo di sortite speciose.

Le candidature raccogliticce del PD


l bailamme pubblico delle candidature che sta interessando il Pd, mentre il Pdl da tempo appare scosso da divisioni drammatiche, segnate anche da denunce come quella del sindaco Emili verso Costini, alla città, come alle sue stelle, non resta che stare a guardare. Ma qualche riflessione sul tema del “buono e cattivo governo” della città e sulla funzione di un sindaco male non farà. E dunque, cosa significa ricoprire il ruolo di primo cittadino?

 Va da sé che la qualità di un amministratore, dipende dalla funzione che gli si riconosce. Chi è interessato all'occupazione del potere, si curerà più delle conseguenze che ne derivano per sé o per la “ditta”, orrendo termine bersaniano per intendere il partito, che di rendere la città viva, vitale, accogliente e produttiva. In questo caso dopo l'elezione farà prima a tirar fuori dal cassetto il manuale Cencelli con cui scegliere i tecnici, gli assessori ed i collaboratori di varia natura che a ringraziare per la fiducia gli elettori. Le conseguenze sono danni a non finire a scapito della cosa pubblica.

È in nome dei danni compiuti dalla maggioranza che l'opposizione, di solito, le subentra. Quando, nonostante la portata dei danni, l'opposizione non riesce nel compito di mandare a casa la maggioranza, qualcosa di sbagliato c'è. E se invece di fare una onesta analisi di ciò che andrebbe mutato e migliorato, si perpetua nell'errore, non dovendo mai pagare per quelli computi, la sconfitta è scontata e meritata.

Se si dà, poi, l'impressione che un partito sia qualcosa di chiuso, in balia di poteri consolidati e non scalfibili, una specie di “cosa nostra” impenetrabile, strumento di conquista personale, puro esercizio di potere e di cooptazione per “famigli”, fedeli e familiari, da destinare a qualche posticino pubblico messo a disposizione dal consociativismo partitocratico (prescindendo dai meriti e dalle competenze), si fa un cattivo servizio al partito ed alla collettività. Al partito, perché difficilmente acquista consenso. Alla collettività, perché solo la competizione tra migliori aumenta la possibilità di governi migliori.

Il metodo, aveva ragione Cartesio, guida le scelte e ne tradisce gli intenti. Il metodo raccogliticcio che sembra guidare il Pd reatino nell'individuazione del suo candidato per le prossime comunali parla delle ragioni per cui da venti anni non riesce a mandare a casa la destra. Parla dell'assenza di strategia e di insipienza nel preparare per tempo il ricambio. Insipienza da cui nasce la necessità di ricorrere a proposte dell'ultimo minuto. Da decenni, le candidature arrivano sul filo dell'improvvisazione e del ripiego. Segno della limitata disponibilità di persone ritenute di qualità interne al partito.

Oggi, la scelta del “papa straniero” si deve soprattutto alle divisioni correntizie ed ai calcoli tribali. Tribalismo che prima di tutto esclude candidature femminili. Eppure di donne nel Pd ce ne sono. Ad iniziare dalla segretaria cittadina. Un tribalismo partitocratico dove ognuno cerca di arare il proprio campicello. Dove si sostengono candidature difficilmente vincenti (quelle più solide, Claudio Di Berardino e Paolo Annibaldi si sono allontanate subito dopo uno strano sondaggio). Candidature di ripiego, lo dico senza offesa.

E a proposito di divisioni. È da qualche giorno che su questo giornale compare il testo del comunicato di “Area Dem” (ex democristiani) che organizzava pullman per l'Assemblea Regionale di Roma di Giovedì tre novembre, in vista della manifestazione di sabato voluta dal segretario ex Pci, con la contrarietà di ex democristiani come Follini. Accanto al comunicato non c'è la foto di Anna Maria Massimi, segretaria cittadina del Pd, ma quella di Giuseppe Martellucci, coordinatore provinciale dell'area. Un tempo si sarebbe detto corrente. Una delle circa venti, aree nate nel Pd dopo il suo ultimo Congresso, dove si è esaltato il principio di unità.

L'area ha un non so che di immateriale e di arioso, non fa pensare ai confini chiusi che la perimetrano. Le correnti appena le nomini ti viene da starnutire. Eppure le aree per il Pd sono peggio di quello che le correnti furono per la Dc. Le correnti producevano lotte intestine, ma erano anche un segno di pluralismo dialettico, capace di produrre la famosa sintesi politica.

Chi votava per la Dc sapeva per cosa lo faceva. Le aree rappresentano la frammentazione della proposta, il tutto ed il suo contrario. Una moltiplicazione di posizioni che non rassicurano l'elettore. Che non convincono. Che irritano e deludono. E non è un caso che l'indebolimento berlusconiano non si accompagni all'aumento del consenso per il PD.

 Rischio che il Pd corre anche a Rieti dove la pessima prova della giunta Emili (mi scuserà il mio conterraneo, per cui, l'ho scritto altre volte e lo ripeto, provo sincera simpatia umana, ma tant'è) non necessariamente si tradurrà nella vittoria. E intanto nel cittadino cresce la sfiducia verso una politica che sembra aver smarrito il suo senso vero: governare al meglio la res publica. Forse a qualcuno conviene. Le stelle se ne ridono. Per i cittadini è una tragedia.

venerdì 18 novembre 2011

Asm: tra vertenze e inciviltà

Sono stata dal direttore generale Gianani per chiedergli se davvero le notizie diffuse da alcuni organi di stampa su difficoltà a portare avanti le sue strategie aziendali sono vere. La risposta è stata un'espressione tranquilla e un «non è vero niente». «Ma ho letto che ancora non avete presentato il bilancio e che anche Polverini sarebbe irritata per il suo operato, non rispettoso del decreto 80 sulla riorganizzazione ospedaliera», insisto.

«Se così fosse avrei ricevuto qualche chiamata. E invece le uniche telefonate che ricevo da Roma è per mettere a punto questioni tecniche. Riguardo al bilancio, il limite del 30 aprile è stato spostato al 3 giugno e non si possono decidere le strategie se non si conoscono le coperture su cui poter contare». «Ma qualcuno scrive che addirittura potrebbe lasciare l'incarico», lo incalzo. «Senta, io lavoro con i miei collaboratori tutto il giorno ed ho progetti importanti da portare avanti per la sanità sabina. Non ho nessuna intenzione di lasciare e chi dice queste sciocchezze non sa di cosa parla».

A questo punto ci sediamo e quello che segue sono le riflessioni prodotte da quanto ascoltato. Gianani ha ragione nel dire che gestire la sanità laziale, gravata da un debito che rappresenta il 30% dell'intero debito nazionale, dovendo rispettare le leggi nazionali ed i decreti regionali, richiede una bella dose di coraggio. Come ti muovi, ti fulminano. E chiunque fosse chiamato a farlo, se persona seria e non incline alla furbizia, di fulmini ne avrebbe ricevuti quanti ne arrivano a lui.

Pazientemente mi fa notare, con cifre e dati, che recuperare venti anni di arretratezze del sistema sanitario, in condizioni debitorie emergenziali, se non sei coraggioso ti mette solo voglia di dartela a gambe. E come non capirlo? Come non capire che dire ospedale “di” non significa specificarne la proprietà, ma denotarne solo l'ubicazione. Che una sanità che funziona produce buoni servizi e salute e non debiti.

Che le strutture sanitarie di una regione, dopo il decreto legge 56/2000 e l'abolizione del Fondo Sanitario, scaricano i loro disavanzi sul bilancio della Regione e che la visione proprietaria di un ospedale “sotto casa” è insensata, in quanto i costi ed i debiti che produce sono a carico di tutti, mentre non garantisce buone cure.

E davvero qualcuno può negare che i cittadini di Magliano, come quelli dell'intera regione, oggi scontano le colpe di una politica, di destra e di sinistra, preoccupata soltanto di non perdere i consensi e tutt'oggi demagogica nel far credere ai propri cittadini che chi chiude un ospedale non più al passo con i tempi “ attenta alla loro salute”?

Quello che serve oggi è un vero impegno a favore di un riordino sanitario, indispensabile e non rinviabile, rapido e democratico, che assicuri cioè prestazioni a tutti attraverso la medicina territoriale e che non faccia morire gli ospedali generali periferici come il nostro. Ospedale che con la nascita delle macroaree rischia di diventare solo un cronicario, come mi dice spesso Angelo Dionisi. Questi sono i problemi che abbiamo e invece sembra che tutto si risolva col salvare l'oculistica di Magliano.

Nonostante la distanza che mi separa dalla sua posizione politica, riconosco ad Antonio Cicchetti l'onestà ed il coraggio di dire le cose come sono: il Marini era una struttura - frutto di una donazione -un tempo indispensabile, ma capace da anni di assicurare solo posti di lavoro. Ma è difficile accettare la crudezza della verità. E anche in questi giorni si preferisce dar retta a chi diffonde false illusioni (vedi Nobili o Cicolani), mentre si fa del tutto per attaccare l'operato di un direttore generale che, nei limiti del consentito dalle condizioni date, cerca di assicurare iniziali presidi che alleggeriscano la condizione degli utenti della sanità.

L'aver dotato le farmacie del servizio di prenotazione per le visite specialistiche al Cup, è piccola cosa, forse, ma è stata fatta con poca spesa e sicuramente sarà di sollievo per tanti anziani che vivono nei territori periferici sabini. Come trovo apprezzabile l'impegno ad attivare l'Hospice, portando da 4 a 10 l'offerta di posti letto. Per non dire dell'emodinamica che si sta cercando di far funzionare per 24 ore.

E la proposta di utilizzare i duemila e passa metri quadrati, ormai inutilizzati, del vecchio ospedale Marini per la medicina integrata avanzata non è per niente una proposta pittoresca. L'agopuntura, l'omeopatia, ed altre medicine un tempo solo orientali, ormai trovano un largo uso in tutto il mondo. Diventare un centro di offerta di prestazioni mediche considerate ormai complementari a quella cosiddetta allopatica, aprirebbe il territorio maglianese e sabino ad un mercato di tutto rispetto.

Saluto il dottor Gianani mentre entra un indaffaratissimo Adalberto Festuccia. Siamo alle tre del pomeriggio. Non posso andarmene senza fare i complimenti al dg per essersene infischiato dello spoil system e per averlo confermato come direttore amministrativo. 

martedì 14 giugno 2011

Gianani smentisce




Sono stata dal direttore generale Gianani per chiedergli se davvero le notizie diffuse da alcuni organi di stampa su difficoltà a portare avanti le sue strategie aziendali sono vere. La risposta è stata un'espressione tranquilla e un «non è vero niente». «Ma ho letto che ancora non avete presentato il bilancio e che anche Polverini sarebbe irritata per il suo operato, non rispettoso del decreto 80 sulla riorganizzazione ospedaliera», insisto.

«Se così fosse avrei ricevuto qualche chiamata. E invece le uniche telefonate che ricevo da Roma è per mettere a punto questioni tecniche. Riguardo al bilancio, il limite del 30 aprile è stato spostato al 3 giugno e non si possono decidere le strategie se non si conoscono le coperture su cui poter contare». «Ma qualcuno scrive che addirittura potrebbe lasciare l'incarico», lo incalzo. «Senta, io lavoro con i miei collaboratori tutto il giorno ed ho progetti importanti da portare avanti per la sanità sabina. Non ho nessuna intenzione di lasciare e chi dice queste sciocchezze non sa di cosa parla».

A questo punto ci sediamo e quello che segue sono le riflessioni prodotte da quanto ascoltato. Gianani ha ragione nel dire che gestire la sanità laziale, gravata da un debito che rappresenta il 30% dell'intero debito nazionale, dovendo rispettare le leggi nazionali ed i decreti regionali, richiede una bella dose di coraggio. Come ti muovi, ti fulminano. E chiunque fosse chiamato a farlo, se persona seria e non incline alla furbizia, di fulmini ne avrebbe ricevuti quanti ne arrivano a lui.

Pazientemente mi fa notare, con cifre e dati, che recuperare venti anni di arretratezze del sistema sanitario, in condizioni debitorie emergenziali, se non sei coraggioso ti mette solo voglia di dartela a gambe. E come non capirlo? Come non capire che dire ospedale “di” non significa specificarne la proprietà, ma denotarne solo l'ubicazione. Che una sanità che funziona produce buoni servizi e salute e non debiti.

Che le strutture sanitarie di una regione, dopo il decreto legge 56/2000 e l'abolizione del Fondo Sanitario, scaricano i loro disavanzi sul bilancio della Regione e che la visione proprietaria di un ospedale “sotto casa” è insensata, in quanto i costi ed i debiti che produce sono a carico di tutti, mentre non garantisce buone cure.

E davvero qualcuno può negare che i cittadini di Magliano, come quelli dell'intera regione, oggi scontano le colpe di una politica, di destra e di sinistra, preoccupata soltanto di non perdere i consensi e tutt'oggi demagogica nel far credere ai propri cittadini che chi chiude un ospedale non più al passo con i tempi “ attenta alla loro salute”?

Quello che serve oggi è un vero impegno a favore di un riordino sanitario, indispensabile e non rinviabile, rapido e democratico, che assicuri cioè prestazioni a tutti attraverso la medicina territoriale e che non faccia morire gli ospedali generali periferici come il nostro. Ospedale che con la nascita delle macroaree rischia di diventare solo un cronicario, come mi dice spesso Angelo Dionisi. Questi sono i problemi che abbiamo e invece sembra che tutto si risolva col salvare l'oculistica di Magliano.

Nonostante la distanza che mi separa dalla sua posizione politica, riconosco ad Antonio Cicchetti l'onestà ed il coraggio di dire le cose come sono: il Marini era una struttura - frutto di una donazione -un tempo indispensabile, ma capace da anni di assicurare solo posti di lavoro. Ma è difficile accettare la crudezza della verità. E anche in questi giorni si preferisce dar retta a chi diffonde false illusioni (vedi Nobili o Cicolani), mentre si fa del tutto per attaccare l'operato di un direttore generale che, nei limiti del consentito dalle condizioni date, cerca di assicurare iniziali presidi che alleggeriscano la condizione degli utenti della sanità.

L'aver dotato le farmacie del servizio di prenotazione per le visite specialistiche al Cup, è piccola cosa, forse, ma è stata fatta con poca spesa e sicuramente sarà di sollievo per tanti anziani che vivono nei territori periferici sabini. Come trovo apprezzabile l'impegno ad attivare l'Hospice, portando da 4 a 10 l'offerta di posti letto. Per non dire dell'emodinamica che si sta cercando di far funzionare per 24 ore.

E la proposta di utilizzare i duemila e passa metri quadrati, ormai inutilizzati, del vecchio ospedale Marini per la medicina integrata avanzata non è per niente una proposta pittoresca. L'agopuntura, l'omeopatia, ed altre medicine un tempo solo orientali, ormai trovano un largo uso in tutto il mondo. Diventare un centro di offerta di prestazioni mediche considerate ormai complementari a quella cosiddetta allopatica, aprirebbe il territorio maglianese e sabino ad un mercato di tutto rispetto.

Saluto il dottor Gianani mentre entra un indaffaratissimo Adalberto Festuccia. Siamo alle tre del pomeriggio. Non posso andarmene senza fare i complimenti al dg per essersene infischiato dello spoil system e per averlo confermato come direttore amministrativo. 

sabato 28 maggio 2011

Se la Commissione sottovaluta i rischi-All'Aquila sette commissari a giudizio

In un articolo mai pubblicato ( non piaceva al direttore del giornale con cui collaboravo), scritto poco dopo il disastroso terremoto dell'Aquila, dove tre giovani reatini, Luca Lunari, Valentina Orlandi, Michela Rossi, persero la vita, sostenevo che la Protezione Civile aveva dato il meglio di sé nella fase della gestione dell'emergenza, ma che aveva fallito in quella della prevenzione e della previsione. Il compito più difficile e delicato.

Riprendo il tema, alla luce del clamoroso rinvio a giudizio per omicidio colposo dei sette componenti della Commissione Grandi Rischi deciso il 25 aprile dal tribunale dell'Aquila. Una Commissione che due anni fa, in un incontro durato una trentina di minuti circa, aveva stabilito che non c'erano motivi per allarmare la popolazione aquilana. L'atto disciplinare non ha precedenti, in quanto attribuisce responsabilità legate alla funzione di valutazione dei rischi e di efficace informazione della popolazione. Cosa mai avvenuta prima.

Che in occasione del lungo sciame sismico, si sia fatto a gara nel rassicurare, invece che alzare il livello della vigilanza, e' scritto nelle cose avvenute. E non è inutile ricordarlo. In una notte di inquietanti avvertimenti dati dalla natura (le scosse duravano da sei mesi), il 6 Aprile molti erano rimasti all'interno di edifici dati per sicuri. Lo erano gli abitanti del territorio aquilano, lo erano tanti giovani arrivati nel capoluogo abruzzese per studiare. E' stata la fiducia nelle rassicurazioni ricevute dagli “ esperti”che portò anche un giornalista aquilano, Giustino Parisse, a tranquillizzare la figlia adolescente spaventata dalla scossa che precedette quella fatale.

Figlia adolescente sepolta , poi, insieme al fratello, dalle macerie dell'abitazione. E se anche un osservatore delle cose locali, uno che le segue e approfondisce per professione, si sentiva tranquillo, vuol dire che all'Aquila davvero molto, troppo, è stato sottovalutato e ignorato.

Si sono ignorati segnali sismici e relazioni premonitrici, come quella fatta nel 1988 dalla Soprintendenza dei Beni Ambientali Architettonici Artistici e Storici per l'Abruzzo, ad esempio, dove veniva segnalata la vulnerabilità di infrastrutture pubbliche come il palazzo del Governo. Così racconta Claudio Panone, ingegnere, allora architetto della Soprintendenza. Si sono ignorate le 400 scosse nel solo mese di gennaio. Si ignorarono i timori delle lesioni denunciate viste dagli ospiti della Casa dello Studente. Un alveo vuoto, ormai, a via XX Settembre, dove si è sbriciolato un edificio di cinque piani che poteva ospitare 119 studenti.

Si ignorava persino a chi spettasse l'obbligo delle verifiche sullo stato dello studentato: alla Regione o all'Adsu ( Azienda per il Diritto agli Studi Universitari)? Anche dopo il disastro si è fatto a gara a scaricare la proprietà che sembra essere della Regione. E anche il 31 marzo del 2009, alla Riunione Commissione Grandi Rischi, si è fatto a gara a chi la metteva più sulla generica e vaga scientificità nell'analisi del fenomeno sismisco in atto. Non sono mai riuscita a finire la lettura del verbale, copia ricevuta dal padre di Luca Lunari, senza provare la stessa impressione che mi faceva la parodia di Collodi dei medici intorno a Pinocchio.

Oltre alle generiche analisi sulla natura degli eventi sismici, al punto intitolato“ discutere e fornire indicazioni sugli allarmi diffusi nella popolazione”, Barberi, allora Commissario della Protezione Civile, concludeva che” non c'è nessun motivo per cui si possa dire che una sequenza di scosse di bassa magnitudo possa essere precursore di un forte evento”.

Da non esperta e consapevole che alla luce del poi è facile aver ragione, mi continuo ad interrogare se una sequenza di scosse possa “escludere” il forte evento come ne esclude la necessità . La domanda è posta in una prospettiva di prevenzioni future. La giustizia sta facendo il suo corso, anche seguendo percorsi coraggiosi ed insoliti per alzare il livello della responsabilità di chi ha il compito di proteggere i cittadini. Quello che dobbiamo chiederci è se anche le istituzioni preposte alla funzione stiano facendo altrettanto.

venerdì 20 maggio 2011

Ultime elezioni: ha vinto la democrazia

I regimi democratici sono così, quando meno te lo aspetti recuperano un'energia che sembrava esaurita. E' successo in molti comuni della provincia sabina, dove si sono tenute le elezioni, quanto auspicavo in uno dei miei ultimi approfondimenti: il ricambio come segno di sano e libero gioco democratico. 

A Fiamignano è subentrato al sindaco Rinaldi (Pdl) lo sfidante Lucentini (Pd); a Collalto sabino ha vinto la lista di Polverini, ottenendo l'elezione di un proprio sindaco, Cesare D'Eliseo, che succede a Giovanni Giorgi; a Fara Sabina ha vinto il candidato sostenuto dalla destra, strappando per nemmeno un centinaio di voti il governo comunale alla sinistra. 

E sempre a Fara Sabina, la terza forza sfidante, quella di "Sabina virtuosa", per Campanelli sindaco, ha ottenuto un dignitosissimo consenso, 5,37% , un mattone buono per la politica locale che dalla maggiore partecipazione civile può ricevere solo un'ossigenazione salutare. Pertanto, al di sopra di vincitori e perdenti, va posta la vittoria della democrazia e della voglia popolare di darsi l'opportunità di migliori servizi e di più efficace governo del proprio territorio scegliendo di cambiare. 

Se così non sarà, pazienza, la prossima volta si potrà cambiare di nuovo. Ed è in questa ottica che dovrebbero andare le riflessioni analitiche dei dirigenti del Pd, oggi pubblicamente promesse per fare il punto delle ragioni che hanno determinato la mancata conferma del sindaco Mazzeo (Pd) e la vittoria di Basilicata (Pdl). Un'ottica costruttiva e di futuro. Un futuro anche prossimo e che ha il peso di diverse scelte consistenti: i referendum e quella del candidato sindaco del capoluogo sabino, dove l'anno prossimo si terranno le elezioni comunali. 

Scelte che hanno a che fare soprattutto con questioni di metodo: tra democratiche primarie e criteri meritocratici o quelle verticistiche ed improvvisate che da decenni fanno vincere la destra. Riguardo alla prova referendaria del 12 giugno, si dovrà scegliere su questioni considerevoli come il nucleare, il legittimo impedimento, la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, la privatizzazione della gestione idrica . Il Pd, principale forza della sinistra, ha il dovere e l'opportunità di assumere posizioni chiare su tali faccende e di indicare attraverso esse la propria identità di partito di sinistra moderna e riformista. 

Quale politica energetica si vorrebbe? Quale giustizia? Quale gestione si ritiene migliore per i servizi di rilevanza sociale, oggi affidate ad amministrazioni pubbliche e società partecipate? Cosa cambierebbe nella gestione dell'acqua con il passaggio dalle regole stabilite dalla legge Galli (ora in vigore) a quella del decreto Ronchi (che partirebbe dal dicembre del 2011) qualora il referendum fallisse a causa del non raggiungimento del quorum o dovessero vincere i No? 

Saper far tesoro delle sconfitte è un segno di sincera volontà di operare al meglio a favore della cosa pubblica. Per chi oggi ha perso, sinistra o destra che sia, si aprono interessanti ed utili percorsi di riflessioni, di crescita e di sana competizione di idee e proposte per risultare convincenti la prossima volta. Sempre che si considerino i trasversalismi opportunistici, la gestione privatistica della cosa pubblica, l' autoreferenzialità dei partiti (con relativa disattenzione verso il buon governo) e il voto ottenuto clientelarmente, vizi capitali da cui la politica deve e vuole emendarsi.

 

venerdì 29 aprile 2011

Costini: meglio assessore che santo



L'ossessione del complotto è riscontrabile da sempre nel mondo della politica. La pubblicistica sul tema è ricchissima. Cercando per giorni di raccogliere qualche spiegazione sulle dimissioni da assessore di Chicco Costini tutto induceva a far credere che si trattasse di un caso di scuola di paranoia da politica. Tutto sarebbe dipeso dal fatto che la Commissione sui Piani Integrati sarebbe stata rinviata per ragioni tecniche. Questo avrebbe scatenato il convincimento nell'ex assessore di essere al centro del fuoco amico, ovvero di più di una inimicizia all'interno del Pdl.

Costini, interpellato al telefono ha dato una versione più credibile. Senza infingimenti ha parlato di un partito che non c'è e che non esistendo non può dare forza a politiche innovative come quelle da lui elaborate nei mesi in cui è stato assessore all'urbanistica. La scarsa forza della sua personale posizione politica, attribuita dall'ex assessore anche a proprie componenti caratteriali poco inclini all'amabilità opportunistica, avrebbero messo a rischio il progetto dei Piani Integrati per cui tanto si era speso a favore dell'interesse della città . “ Avendo capito che non sarebbero stati approvati se fossi stato presente in Consiglio, mi sono sacrificato. Ecco la ragione delle mie dimissioni”.

Paranoia, generosità estrema, disegno più o meno intelligente per proporsi alle prossime elezioni comunali con una propria lista? Il tempo ci dirà. Certo è che se sono veri i brindisi pidiellini seguiti alle sue dimissioni, tanto paranoico Costini non è. E non sarebbe nemmeno tanto strano che le sue crude critiche alle politiche urbanistiche dell'ultimo quasi ventennio gli abbiano procurato delle inimicizie tra coloro che ne sono stati i protagonisti. Sono ipotesi, certo. Come è certo che il suo arrivo all'assessorato dell'urbanistica senza uno straccio di conflitto d'interesse era stata già di per sé un'innovazione degna di nota.

“ La prova che dico il vero è che il Consiglio Comunale dopo le mie dimissioni ha approvato i progetti preliminari per i Piani Integrati con una notevole maggioranza. E' una rivoluzione che vede superare la mancanza di programmazione con un disegno di città che cresce rispettando l'ambiente e valorizzando la propria identità”. E' con veemenza che l'ex assessore snocciola la contabilità delle cose fatte, dei fini sottesi: la partecipazione, la trasparenza, la voglia di recuperare la cultura come motore della politica. Il piacere di dare finalmente avvio ad un recupero programmato delle aree dismesse grazie allo strumento della legge regionale del 2009 n.21. Difficile non apprezzarla.

Ma è difficile anche dimenticare che Costini è da anni organico ad una maggioranza che ha amministrato Rieti per un ventennio, rendendola la mostruosità che è oggi: un capoluogo dove ad aumentare sono solo le cementificazioni, i problemi, l'economia sommersa, l'egoismo sociale, l'arretratezza culturale, i disagi. Disagi dovuti all'enorme pendolarismo, alla perdita di lavoro, alla tendenza centrifuga delle nuove generazioni a fuggire altrove; al clientelismo che immiserisce la qualità della politica e della società, mentre appesantisce il bilancio comunale che grava sui contribuenti. La mancanza di una visione di prospettive future che riguarda anche l'opposizione.

Tutto questo accade mentre nel “palazzo” regna la frammentazione più totale. I diciassette gruppi consiliari ne sono una prova. D'altronde che il Pdl sia inesistente come partito lo dice non solo Costini ma anche Moreno Imperatori, uno che si impegna con passione nell'azione politica (poi, si può dissentire sulla sostanza del prodotto) senza godere di grandi favori da parte del partito che non c'è. Il partito di Silvio Berlusconi, artefice della politica basata sugli annunci e sulla capacità di tenere insieme le numerose anime pellegrine, meglio se “bisognose”(definizione magistrale del mio falegname), appiccicate ad hoc col collante degli interessi.

Costini è un'anima inquieta nutrita di valori di destra rivoluzionaria. Come il sindaco Emili fa spesso proclami sul valore della coerenza e sull'eticità della politica, ma non trova disdicevole “ piazzare i suoi” (parole di molti) nei vari spazi amministrativi pubblici. Se ci sia la consapevolezza del dolo fatto in nome di S. Clientelismo o no, non saprei dire. In ogni caso c'è coerenza con l'appartenenza ideologica ad un fascismo mai ripudiato che preferisce i favori ai diritti. Un elemento che, almeno per chi scrive, depone da sempre a suo sfavore. Tolto questo dettaglio non da poco, come assessore all' Urbanistica, lo confesso, mi aveva fatto sperare. Ma mai avrei pensato di farlo santo, caro sindaco Emili.



martedì 19 aprile 2011

Il 'Cammino di Francesco'

'Il cammino di Francesco' è prima di tutto un'idea. Idea intelligente di Diego di Paolo, elaborata quando era direttore dell'Apt di Rieti. Come tutte le idee, anche quella di creare nella Valle Santa un percorso rivolto al turismo francescano, sul genere di quello che identifica Santiago di Compostela, aveva bisogno di gambe per camminare e la volontà di trasformare un progetto in impresa di successo. Fino ad ora, per diverse ragioni non è accaduto.

La principale è che il “Cammino di Francesco”, nato nel 2002, è rimasto impigliato nella appiccicosa e volubile ragnatela della politica regionale che, con la legge 13 del 2007, aveva decretato la soppressione delle Apt trasformandole temporaneamente in ente commissariale ed in una sorta di dead business walking, aziende condannate a morte. Nei quattro anni trascorsi non si è vista programmazione, mentre i costi per mantenere il braccio dirigenziale delle Apt sono rimasti. Uno dei tanti paradossi italiani.

Oltre le nostre tasche di contribuenti, a pagare per il pasticcio è stato il progetto di Di Paolo, privato della messa a punto del suo ideatore e della visione di ciò che un prodotto di promozione territoriale del genere poteva e doveva diventare. Né sono mancati gli errori della Provincia, responsabile anche di un tentativo di annullare la specificità del percorso inglobandolo, anche nominalmente, nella genericità delle vie francigene. Nel frattempo i “pellegrini” arrivati, come rendita dei due anni di buon funzionamento della promozione del “Cammino”, sono stati accolti dal vuoto dei servizi.

Sembra, tuttavia, che siano finalmente giunte le gambe e la volontà che servivano. Sono gli “Amici del Cammino di Francesco”. Un'associazione aperta ed inclusiva, mi dice uno dei soci, formata da persone di varia provenienza e competenza per dar vita ad una Fondazione che rilanci il “Cammino di Francesco” nel mercato europeo degli itinerari religiosi. È una scommessa e come ogni fenomeno ipotetico ha bisogno di essere supportato da una miscela di ottimismo e di calcoli realistici.

È un fatto che la nostra terra sia ricca di storia, di tradizioni e di bellezze ambientali non comuni . E sono anni ormai che su vari fronti si manifesta l'intenzione di far crescere il territorio promuovendone la vocazione turistica. Intenzione non priva di incertezze e contraddizioni. Anche recentemente, ad un convegno sul lavoro del Pd, un giovane dirigente si è espresso favorevolmente per la nascita del Polo della logistica di Fara Sabina, innegabile danno a scapito dell'ambiente e della storia sabina, visto che va ad insistere sul territorio dove sorgeva l'antica capitale Cures, e nello stesso tempo, dello sviluppo legato al turismo naturalistico.

Certo, la storia non deve impedire alla modernità di avanzare le sue proposte, pertanto, se si è calcolato con esattezza che dalla logistica arriverà il lavoro per tante persone che oggi ne sono sprovviste, ben venga anche questo sacrificio. Quello che non si potrebbe accettare sarebbe una eventuale sproporzione tra investimento e guadagno, tra distruzione e costruzione, tra sottrazione di risorse ambientali e ritorno di benessere. Il “Cammino di Francesco” è quello che si dice una proposta di economia compatibile con le caratteristiche del nostro territorio.

Il turismo che potrebbe nascere da una sua efficace declinazione in termini di struttura e di offerta di servizi è legato alla domanda di ambiente sano e di turismo “slow”, basato sul piacere della lentezza e del viaggiare per incontrare soprattutto se stessi lungo percorsi legati alla spiritualità francescana. Le potenzialità del “Cammino” sono elevate. Tanto più elevate quanto maggiore sarà la fiducia dei reatini verso un sistema di sviluppo che sappia sfruttare la valorizzazione umana ed ambientale in una prospettiva di crescita prodotta dall'intelligenza e creatività endogene.

Qualche anno fa, a Rieti, in una manifestazione che aveva riunito tutti e tre i sindacati, l'allora segretario della Cgil Epifani invitò i reatini a trovare la forza per la ripresa al loro interno. Senza aspettarsi sempre aiuti dall'esterno o calati dall'alto. Inutile dire che l'invito era pieno di buon senso. E la proposta di dar vita ad una fondazione non pensata per dare un corpo ad un cda, ma per mobilitare quante più energie private possibili: cittadini, imprenditori, commercianti, professionisti, personalità religiose e laiche, impegnate a favorire la fioritura di imprese legate al turismo religioso e naturalistico, va in quella direzione.

martedì 12 aprile 2011

L’arte del mediare nella politica

Compito principale della politica è saper mediare tra interessi contrapposti. Non scopro niente di nuovo, mi limito a ricordarlo. Saper comporre le esigenze dell’umanità in fuga da territori dove ai più sono negate le stesse nostre attese, vuol dire governare un processo che, nell’immediato, vede confliggenti gli interessi di chi fugge e di chi accoglie. Se si produce sofferenza, allarme sociale, allentamento opportunistico delle regole si dimostra di non essere all’altezza del compito. Se si trova la maniera di coniugare le diverse esigenze, si fa buona politica. Il progetto da cui è nata la birra “ Alta quota”, di cui ho parlato alcuni articoli fa, è un esempio di buona politica. Lo stesso discorso vale per la questione della scuola pubblica e scuola privata, evocata recentemente da Mauro Lattanzi, in un incontro organizzato dall’Udc locale presso l’istituto parificato di S. Caterina. Il consigliere comunale, noto dermatologo reatino, ha motivato la scelta del luogo del meeting come simbolica attenzione per la scuola privata, da tenere in conto tanto quanto la pubblica. Nobile obiettivo, se non fosse che oggi ad aver bisogno di cura e attenzioni è la scuola pubblica. «Quando la scuola pubblica è cosa forte e sicura, allora, ma allora soltanto la scuola privata può essere un bene» disse in un famoso discorso Piero Calamandrei, uno dei padri della nostra Costituzione. Una Costituzione che prevede l’istruzione privata, ma «senza oneri per lo Stato». I 100 milioni reperiti in una notte per ripristinare il taglio fatto da Tremonti nella ultima Legge di stabilità, cosa sono? Sono risorse tolte alla scuola pubblica massacrata da tagli e dalla mancanza di meritocrazia. Un sistema d’istruzione del genere non sviluppa una utile competizione sulla qualità dei due sistemi e non fa un buon servizio ai giovani ed all’intera società. Di capacità di mediazione avrebbe bisogno il nostro territorio, svalorizzato ed impoverito dal prevalere miope degli interessi di pochi e dalla mancanza progettuale delle politiche comunali sul territorio. Questione spesso evocata da Chicco Costini, da poco impegnato come assessore nel delicato settore urbanistico, ma anche da Antonio Cicchetti nell’incontro dell’Udc, intitolato ”Il futuro del territorio reatino tra urbanistica e ambiente". La cosa più singolare mi è sembrata proprio la denuncia sull’assenza della programmazione comunale arrivata da Cicchetti, primo cittadino per due mandati. Un sindaco che fa parte dell’area politica della maggioranza, da venti anni al governo della città e caposcuola di un corso edilizio lottizzatorio che non conosce arresto. Ma tant’è. Ospite d’onore del convegno è stato l’assessore regionale Ciocchetti, ideatore di un nuovo Piano casa, disegnato per favorire ampliamenti e sostituzioni edilizie, dopo che il primo non aveva suscitato grande interesse. Un interesse che probabilmente resterà apatico dalle nostre parti, anche riducendo vincoli e aumentando gli incentivi, giacché i reatini posseggono un numero di case notevole, grazie alla legge 167 ed al conflitto d’interessi dei protagonisti della politica urbanistica, nello stesso tempo operatori a vario titolo nel campo edilizio. Dove si giocherà la partita tra buona politica ed il suo opposto, ovvero nel mediare efficacemente tra utile generale e quelli particolari, sarà la riqualificazione delle aree ex industriali. L’urbanistica usata appropriatamente è pensata ed agita in base al calcolo delle opportunità di innovazione e di sviluppo che si intende promuovere. È in questa prospettiva che la Federlazio, insieme ad Unindustria, ha manifestato attenzione per il progetto preliminare per la riqualificazione delle vaste porzioni di città ora inutilizzate realizzata con lo strumento dei piani integrati. Me lo ha assicurato personalmente Antonio Zanetti, direttore della Federlazio di Rieti. Ed in un’ottica di buone pratiche si muove certamente la collaborazione del prof. Carlo Cecere, coordinatore della facoltà d’ingegneria di Rieti. Sincere sembrano essere anche le intenzioni dell’assessore Costini di dare un nuovo corso al suo assessorato. Saprà, tuttavia, la politica nel suo insieme, far bene il compito di mediazione? I ritardi comunali nell’inviare un documento che metterebbe fine al lungo iter dell’approvazione regionale del Prg, voci di nuove lottizzazioni, permanenza dei conflitti d’interesse, sostanziale impotenza dell’opposizione, potrò sbagliare, non sono indicatori positivi. 

martedì 5 aprile 2011

L’Aquila due anni dopo

Rieti tremò a lungo mentre uno dei centri storici più importanti d’Italia veniva travolto, due anni fa, da un sisma che oggi molti ricordano solo per le polemiche che ne sono seguite. C’è chi ogni giorno però, misura il passare del tempo col metro dello struggimento per un figlio che non c’è più.  Sono Rosa e Roberto, genitori di Luca Lunari, studente fuori sede, morto a venti anni sotto le macerie di una Casa dello Studente che ha prodotto vittime per incuria umana, più che per la violenza della natura. Il dolore ha mille declinazioni diverse, anche quando l’intensità è la medesima. Rosa non ha mai smesso di regalare un sorriso a chi le è di fronte e solo chi sa vi scorge l’ombra del vuoto, buio come la notte che le ha strappato un figlio di venti anni.  «È un fatto di carattere», dice lei. Roberto, invece, non ce la fa proprio a guardarti senza tenere alto il muro di difesa eretto tra la sua disperazione ed il mondo. Soprattutto se sei una giornalista che la moglie ha accettato d’incontrare per parlare della tragedia che il 6 Aprile di due anni fa, colpì la sua famiglia e quella di altre due vittime reatine del terremoto: Valentina Orlandi, 23 anni, e di Michela Rossi, giovane ingegnere che di anni ne aveva 36.  Non si fida, Roberto, di chi vuole parlare di suo figlio, giovane studente universitario e padre di una bambina. Non vuole che si frughi nell’intimità di una vicenda umana con l’intento, forse, di trasformarla in giornalistica cronaca del dolore. A lui ora preme solo che si faccia giustizia, solo quello. Perché come si fa a raccontare con le giuste parole di un ramo nuovo troncato mentre è proprio nel momento della gemmazione? Come può farlo un estraneo, quando tu stesso fai fatica ad esprimerlo, ad accettarlo, a trovare una ragione per rassegnarti.  E come puoi rassegnarti quando nel ripercorrere il tempo che ti separa dalla maledetta notte incontri le inefficienze, le omissioni, il disinteresse, la superficialità di chi avrebbe dovuto assicurare a tuo figlio la tutela ed invece ne ha segnato la morte? Come puoi non ribollire di sordo risentimento quando ormai conosci tutta intera la storia dell’edificio crollato su 14 studenti, uccidendone 8? Era un magazzino, in origine. Poi, nel passaggio delle diverse proprietà e destinazioni, nessuno lo ha dotato dei rinforzi necessari a sostenere il carico che veniva aggiunto per le diverse destinazioni d’uso.  «Gli studenti hanno visto che qualcosa non andava, lo hanno denunciato, ma nessuno ha dato loro ascolto». Dice Roberto. È la verità, come è vero che chi avrebbe dovuto fare le perizie per verificare la stabilità di un edificio che ospitava studenti ha solo addomesticato le loro paure, facendoli restare tranquilli anche dopo i segnali inviati dalla natura.  La natura ha avuto solo la colpa di seguire il suo corso, le responsabilità sono tutte umane. Responsabilità che pesano sulle vittime come le macerie che le hanno prodotte. Il padre di Luca non se ne fa una ragione, come non accetta che si dia più attenzione alla ricostruzione che alle tante vite spezzate. «C’è stata più sollecitudine per le statue che per le persone che hanno perso la vita», aggiunge, con un’espressione incerta tra rabbia e dolore, perché un bene culturale, una cosa di pietra, non potrà mai equipararsi a quello che rappresenta tuo figlio.  Rosa lo guarda in silenzio mentre il marito fa con fatica l’elenco delle manchevolezze che si sono aggiunte alla tragedia che li ha colpiti. Una per tutte è quella di un timbro postale messo sulla bella lettera inviata dall’Università degli Studi dell’Aquila che avvisava di un concerto commemorativo che si sarebbe tenuto il 6 Aprile dell’anno successivo alla tragedia. Una commemorazione avvenuta senza la possibilità di parteciparvi, giacché il timbro postale è dello stesso 6 Aprile. Una prova della spedizione tardiva.  Sciatteria? Indifferenza? La stessa che ha macchiato tanti protagonisti delle istituzioni, disattente verso le famiglie ferite dalle manchevolezze pubbliche. Da troppe promesse mancate. Luca era un giovane padre, «chi si è preoccupato e si preoccupa della giovane compagna lasciata con la sua bambina? Nessuno. Nemmeno i soldi della borsa di studio che aveva vinto gli hanno dato. E che fine ha fatto la solidarietà che tanto si è attivata dopo la tragedia? Tanti hanno assicurato che ci sarebbero stati vicini, ma poi non c’è stato nessuno».  Ora c’è solo l’attesa che la giustizia faccia il suo corso. Che le responsabilità vengano verificate e che chi ha sbagliato sia chiamato a rispondere. È la solita fotografia di questo paese. Una fotografia tragica a cui rischiamo di abituarci. È per questo che bisogna ricordare. Per non cadere nell’accidia del fatalismo e per non lasciare nella solitudine chi vive contando il tempo di cui la giustizia ha bisogno per fare la sua parte. L’unica in grado di dare un po’ di sollievo.
 

venerdì 1 aprile 2011

Profughi e sviluppo

La globalizzazione ha il respiro potente di ogni rivoluzione. Come nessuna resistenza servì a fermare il passaggio dal sistema artigianale a quello industriale, con tutte le conseguenze sociali e culturali dovute al travaso umano dalla campagna alle città. 

Come inutili furono i tentativi delle principali potenze europee di cancellare, col Congresso di Vienna, gli effetti della Rivoluzione francese e dell’avventura napoleonica, nel tentativo di cancellare i valori acquisiti con la diffusione della cultura illuministica. Così oggi sarà inutile tentare di fermare gli effetti della comunicazione globale prodotta da internet. Quello che sta interessando il mondo arabo è l’Illuminismo che nel ‘700 non ebbero? Mi colloco tra quelli che lo credono. 

Che lo sperano. Che lo leggono come aspirazione alla libertà da parte dei popoli e degli individui. Orazio, il poeta che ha vissuto nella nostra Sabina, d’altronde ce l’ho ha detto già duemila anni fa: “Naturam espelle furca, usque recurret”, potrai scacciare la natura con la forca, tuttavia sempre ritorna. Niente, stiamone certi, potrà fermare l’impulso naturale delle popolazioni arabe che, grazie alla comunicazione globale, sono attratte dalle società aperte occidentali. 

Società che oggi appaiono poco generose verso i fratelli che fuggono dalle terre bloccate nello sviluppo, materiale e civile, da dittature amiche dei governanti del mondo ricco. Se noi abbiamo goduto di standard di vita molto alti lo dobbiamo anche alla condizione di illibertà e di miseria di quelli che ora reclamano per sé quello che noi abbiamo. La storia non fa salti. E se i sommovimenti arabi sono il risultato di un lungo processo, anche l’ ingenerosità sociale è un prodotto. Normalmente a provocarla sono politiche vincenti grazie alla paura. 

Restando a casa nostra, in Italia, certamente la responsabilità maggiore dell’attuale cultura del rifiuto di chi fugge in cerca di una vita migliore, ce l’ha la Lega. Personalmente non riesco ancora a capacitarmi di come, dopo il Fascismo, siamo potuti arrivare ad essere governati da un partito secessionista e dichiaratamente xenofobo. Ma, ancora di più mi stupisco se è la mia terra, la Sabina, a sembrare investita da un’ondata di avversione nei confronti dello straniero. 

Sia che presenti connotati dei Rom, sia che abbia quelli dei profughi arrivati a Lampedusa, pensando di trovare la terra accogliente dei Feaci. Invece hanno trovato isolani ostili, perché stremati dalla quantità degli arrivi e dalla cattiva qualità delle strategie di governo, intenzionato più a far scoppiare l’emergenza che ad alleggerire il peso comprensibile dei lampedusani. Ora che Berlusconi, tra una barzelletta, promesse solenni e l’acquisto dell’ennesima casa sull’isola, ha attivato lo spostamento dei profughi altrove, toccherà anche a noi sabini fare la nostra parte. Non intendo rappresentare il buonismo non problematico che produce effetti opposti a quelli che apparentemente si prefigge. 

Dico, conoscendo la storia, che quando novità epocali bussano alla porta, conviene tirar fuori intelligenza e cuore per affrontarle nel modo migliore e trarne vantaggio. L’Occidente ha faticosamente conquistato la cultura dei diritti umani e della democrazia. Ci sono volute due guerre mondiali per arrivare alla condizione di cittadini titolari di diritti oltre che di doveri. 

Quello che dobbiamo ricordare è che ogni democrazia, ogni società aperta si impoverisce quando si chiude al rapporto con l’altro, portatore non solo di richieste di aiuto, ma anche di un patrimonio di diversità culturali, competenze, umanità. La Sabina, così segnata dalla crisi e dai tagli di Tremonti, particolarmente il suo capoluogo, Rieti, ha oggi l’occasione di confermare la sua tradizionale capacità di dare accoglienza, rigettando con un colpo d’ala generoso un destino di progressiva regressione e di chiusura. 

Facendo mio il pensiero del premio nobel Amartya Sen, svolto nel libro “Libertà è sviluppo”, la vecchia Europa e la vecchia Sabina, se non avranno uno sguardo miope ed indifferente ai diritti umani di chi chiede asilo, potranno trarre benessere e sviluppo dalle energie liberate delle persone che la storia oggi manda da noi. Noi, ieri esuli per le stesse ragioni e ugualmente determinati a trovare una vita migliore.

 

lunedì 21 marzo 2011

Nostalgia di un nazionalismo che fu

La realtà è una complicata mescolanza di oggettività e di soggettività. I fenomeni sono fatti di caratteri propri, ma la loro percezione dipende da chi li guarda. I filosofi hanno speso un bel po’ di materia grigia sul tema e per secoli le contese sono state risolte con la guerra, ma per noi del terzo millennio dovrebbe essere ormai acquisito il principio della dialettica come convivenza civile tra persone che la pensano diversamente e che sanno accettare le ragioni degli altri come basilare principio democratico.  Ma, come dicevo ieri parlando con Fabio, un giovane studente di architettura del movimento Zeitgeist di Rieti, citando Rita Levi Montalcini, l’umanità ha avuto uno sviluppo asimmetrico. Mentre l’intelligenza razionale ha prodotto miracoli sul piano scientifico e tecnico, quella emotiva è più o meno rimasta al tempo dell’uomo di Neandhertal. È questo che porta ancora all’aggressività, alla violenza, alla volontà di potenza, alla sopraffazione sanguinaria, alla guerra. Ed in questi giorni ne è appena iniziata una in un paese dominato dalla dittatura sanguinaria e diviso dall’Italia da uno sputo di mare. Ma non è di questo che voglio parlare.  Qui voglio prendere in carico, perché la cosa è davvero gravosa, sgradevole, deprimente, pesante, stupida, l’ultima vicenda di cronaca politico-delinquenziale seguita ai festeggiamenti del centocinquantesimo anno dell’Italia unita. I protagonisti sono stati gruppi di giovani di destra e di sinistra estreme, il primo cittadino di Rieti, una sede di partito del PdCi, imbrattata. I fatti sono noti. Giovani neo-fascisti di “Casa Pound” hanno colto l’occasione di un concerto di celebrazione del 17 marzo per manifestare le loro nostalgie nazionalistiche e rivoluzionarie. In modo attualizzato, certo.  Ieri, poco meno di un secolo fa, i nazionalisti (niente a che fare con il patriottismo che è amore costruttivo) insufflavano nella pancia e nel cuore degli italiani l’orgoglio nazionale in nome della dannunziana “vittoria mutilata”, oggi, più prosaicamente scrivono sui volantini ”Tu non sei una pizza o una vongola come ti vorrebbero all’estero. Tu non sei ruffiano, parolaio e banale, come ti vorrebbe la tua Tv. Tu sei italiano ed hai una rivoluzione da fare”. Il contesto cambia, ma la sostanza è la medesima dei fascisti del secolo scorso. E demoralizza costatare quanto la Storia sia inascoltata maestra. Ai giovani di “Casa Pound” serve ancora la contrapposizione, l’evocazione di un nemico per immaginare la rivoluzione e suscitare l’orgoglio all’appartenenza nazionale. Serve un “estero” che ci “vorrebbe” “ pizze o vongole”.  Serve un po’ di risentimento verso qualcuno. Ieri era la “perfida Albione”, espressione di un poeta francese che piacque a Mussolini, oggi è l’estero. Vagamente il mondo intero. È demagogia d’accatto, ma esprime un disagio giovanile serio e che va ascoltato ed aiutato a riempirsi di contenuti costruttivi. Non gli fa un buon servizio un primo cittadino di età matura che si fa paladino di quella demagogia rispolverando il solito rosario ideologico del Fascismo, strombazzato in un giorno di festa di popolo, fuori da un teatro, in una città che è di tutti i reatini, anche dei giovani neo-comunisti, estremi e conservatori come quelli di destra.  Una festa che non è più, caro sindaco Emili, una festa dei neo fascisti. Il patriottismo corrente è qualcosa che non va confuso e imbrattato con quello a cui lei fa riferimento. Ha a che vedere con un sentimento di riscatto dalla deriva secessionista della Lega, vostro socio in governo, e con un sentimento patriottico nuovo verso un paese che si vorrebbe facesse parte del mondo moderno con onore e dignità.  Un paese che oggi ha bisogno, certo, di una rivoluzione, iniziando dal fare piazza pulita proprio del vecchiume ideologico e delle pastoie della conservazione che ancora imprigionano tanti giovani, allievi di cattivi maestri. Se si va ad analizzare le parole d’ordine scritte sui volantini di “Casa Pound”, quello che più immalinconisce è il vuoto che comunicano. Non c’è sostanza di pensiero, visione di futuro, anche solo accennata. Solo parole vuote, perimetro del niente. Pensiero al negativo : “tu non sei”. Non c’è nessuno sforzo per dire cosa si è. Cosa si vuole essere dopo la “rivoluzione”.  Da questo pensiero vuoto è nato in qualcuno l’idea di andare ad imbrattare i muri della sede locale della Federazione della Sinistra. “Il sonno della ragione genera mostri” scriveva Goya. La madre degli sciocchi è molto prolifica, dico io per non sprecare parole tanto alte per una vicenda di piccina aggressività preistorica. 
 

giovedì 17 marzo 2011

Auguri Italia. Sì, ne è valsa la pena.

L’Italia ne ha viste davvero tante da quando i rappresentanti delle diverse province di una nazione allo stato nascente si riunirono in assemblea nel palazzo Carignano di Torino. Era il 17 marzo del 1861 e all’appuntamento con l’unificazione c’erano personaggi come Giuseppe Verdi.

A fare il miracolo erano state le idee, la politica il coraggio. Mazzini, Gioberti, D’Azeglio, Cattaneo, padri del variegato pensiero risorgimentale, insieme al coraggio di personalità generose come Garibaldi ed al genio politico di Cavour  riuscirono a comporre in entità nazionale  un mosaico di governi srotolati in modo sghembo sullo Stivale. “Un’espressione  geografica”, la definiva Metternich. “ Un paese di morti”, secondo Lamartine.

 Una babele di dialetti e di dinastie, anche straniere, che facevano del nostro paese un aggregato sociale e politico arretrato ed incapace di competere con le altre nazioni europee.  Non fu impresa facile, anzi, costò lacrime e sangue. Allo storico Gaetano Salvemini dobbiamo la contabilità dei caduti di parte piemontese e garibaldina.  Custoza ( 1848) 270. Curtatone: 166. Novara ( 1849) 578. Cernaia ( Crimea) 14. S.Martino(1859)761. Varese:22. Calatafimi: (1860) 30.  Volturno 506. Castefidardo:61. Bezzecca:121. Custoza( 1866) 736. Lissa: 620. Mentana 150.

Ne è valsa la pena? Per rispondere basta risalire alla condizione preunitaria delle classi  sociali, oppresse dall’ingiustizia sociale, dalla diseguaglianza, dall’analfabetismo ( dall’86% al 90%), dalla miseria e dalla mancanza di libertà, da un carico fiscale tutto a carico della povera gente. Il Meridione aveva la condizione peggiore, con l’endemico fenomeno del brigantaggio e della camorra, di cui i Borboni facevano ampio uso. E mentre il mercato europeo aveva da tempo abbandonato il protezionismo, da noi l’industria campava grazie alle commesse pubbliche.

Al centro e al Nord non andava meglio. La rivoluzione risorgimentale, nonostante il pensiero corrente, becero, di una parte politica, la Lega ( paradossalmente responsabile della provocazione di un nuovo sentimento patriottico), ha giovato a tutti, compresi i territori dove oggi corre la parola d’ordine del “ non” festeggiare.  Sì, ne è valsa la pena. La storia non si fa con i se, lo si sa, ma, nonostante il cammino difficile verso la modernizzazione, nonostante non si possa sempre parlare di “ magnifiche sorti e progressive”(Leopardi), nonostante “ l’Italietta” giolittina, il Fascismo, le disfunzioni politiche del passato e del presente, nonostante il permanere di problemi di arretratezza di parti consistenti del Paese, della scarsa coesione nazionale, di tante incomprensioni tra nord e sud, siamo diventati una grande potenza.

Una nazione ricca  e potenzialmente nelle condizioni di competere con il mercato mondiale. Cosa che difficilmente sarebbe potuto accadere se 150 anni fa non fosse avvenuto il miracolo dell’unità. Come ha detto il Presidente Napolitano, divisi in otto staterelli saremmo “ stati spazzati via dalla storia” . E’ con questo pensiero che festeggio l’Italia. Senza retorica.

lunedì 14 marzo 2011

La questione dei rifiuti spiegata da Giocondi

La lunga ed estenuante vicenda della gestione del ciclo dei rifiuti solidi urbani è questione su cui ammattisco da tempo, perché parlando con i diversi protagonisti assisto ogni volta ad un pirandelliano gioco delle parti dove il colpevole è sempre altrove. Per provare a capirci qualcosa di più ho preso al volo la recente uscita dal Pd dell’ex vicepresidente della Provincia Roberto Giocondi. Perdita di rilievo, per inciso, del Partito democratico, visto che è uno dei pochi di cui si possono elencare le cose fatte. Uno che del tema rifiuti si è occupato a lungo.

L’architetto Giocondi ha gentilmente accettato di ripercorrere tutti i segmenti progettuali dell’ultimo decennio per rendere il territorio autosufficiente rispetto allo smaltimento dei suoi rifiuti ed i perniciosi impedimenti venuti dalla Asm, Spa semipubblica di Rieti. Con passione, nel senso pieno del termine compresa la sofferenza, ha ricordato il fallimento della realizzazione a Contigliano, nel 2000, di un Centro di selezione, grazie alla Asm, da lunghissimo tempo guidata da Luigi Gerbino, sostenuto nel boicottaggio da Storace, allora presidente della Regione. 

Con rammarico ha ammesso la sconfitta, da amministratore, da parte di una azienda che, pur avendo “una flotta imponente di mezzi e uomini“, ha prodotto solo guadagni economici, mentre niente ha fatto “sul terreno della raccolta e dello smaltimento”. Che, anzi, impedendo qualsivoglia intervento a favore dell’autosufficienza dello smaltimento, ha regalato ai reatini la Tarsu più alta d’Italia. Non è servito, dice amaramente Giocondi, vincere ricorsi al Tar, né ottenere ragione dal Consiglio di Stato. 

Grazie a Storace, l’Asm ottenne il trasferimento a Casapenta dell’impianto di selezione che non sarà mai realizzato. In compenso, si fece una società: “Rieti Ambiente”, con la Sao, Spa di Orvieto, che scomparve ingoiata dalle tenebre del nulla. Giocondi ha un miliardo di ragioni sulla Asm, una delle tante società miste sospese tra lo status di strumento privatistico e quello pubblicistico. Un’azienda a capitale pubblico di maggioranza comunale, guidata da un decennio dal medesimo presidente, Luigi Gerbino, di nomina politica, ma più attento agli obiettivi economici che alla “tutela degli interessi collettivi”. 

Guadagni che la componente pubblica non utilizza a favore delle politiche ambientali, visto le due lire date all’assessorato dell’ambiente (ndr). Tutto vero, ma dovendo fare l’avvocato del bene pubblico non posso non ricordargli gli errori della Provincia: il ritardo del piano dei rifiuti e l’uso a pioggia dei 6 milioni erogati da Marrazzo per la raccolta differenziata, dispersi in materiale inutilizzato e attrezzature, mezzi e personale distribuiti a comuni che ne hanno fatto tutt’altro uso. Uno spreco inaccettabile che ha aumentato l’impasse. 

Come rischia di finire nell’impasse l’intero Piano, fatto per garantire al territorio la non più rinviabile autosufficienza ( possiamo conferire la nostra spazzatura a Viterbo solo fino al 2015), grazie alla realizzazione di quattro eco centri comprensoriali e di tre impianti per lo smaltimento: di compostaggio, a Cittaducale; di valorizzazione a Contigliano; di selezione a Casapenta. 

Un piano complesso, come lo è in generale il ciclo dei rifiuti, avvelenato da interessi economici non sempre limpidi, da resistenze sociali a qualsivoglia soluzione in nome del principio “Nimby”, non nel mio giardino, alla inerzia dei sindaci. Per evitarlo è nata la proposta di una società pubblica provinciale che avrebbe la funzione di governance territoriale del processo dei rifiuti. Naturalmente ci sono favorevoli e contrari, per ragioni accettabili ed altre pretestuose. Giocondi non è contrario, ma pone una questione di buon senso. 

L’idea di per sé è buona, a patto che non finisca nel solito carrozzone”. Di buon senso sono anche le obiezioni fatte attraverso questo giornale al Comune, responsabile di atteggiamenti troppo compiacenti o passivi verso la Asm e la Regione. Meno condivisibili sono, a mio vedere, le critiche rivolte all’assessore Boncompagni, al quale va riconosciuto di aver attivato con fatica e con povertà di mezzi la raccolta porta a porta a Rieti. 

Anche se parziale, con le inevitabili difficoltà che il sistema comporta per chiunque ed al di là della questione legata al rapporto tra demografia e risorse assegnate, il mancato contributo, dovuto e assicurato da tempo al Comune di Rieti, va dato. Se non lo si fa si da’ solo una mano a chi ha tutto l’interesse a far fallire il progetto della differenziata a Rieti ed a mantenere inalterato lo status quo.

domenica 6 marzo 2011

Se la città perde la virtù

Secondo uno studio della Cgia di Mestre sulle conseguenze del federalismo municipale, recentemente approvato da Montecitorio, il comune laziale più penalizzato dalla nuova legge sarà Rieti, con una perdita di 71 euro procapite. Tanto ci dovrebbe costare una riforma che ci regala il triste primato di comune meno “virtuoso” del Lazio, seguiti da Latina, 41 euro e Viterbo, 8 euro.

Forse ci salverà un “Fondo sperimentale di riequilibrio” previsto dal decreto approvato, ma il numero 71 parla della disastrosa conduzione comunale di chi ci amministra da quasi un ventennio. Un ventennio speso a divorare territorio e ad allargare gli spazi edificati in ogni direzione, a scapito dell’ambiente e delle tasche del contribuente, chiamato a pagare i costi di diverse contese legali perse dal Comune per scelte urbanistiche risoltesi, alla fine, a favore di cittadini vittime di espropri, diciamo impropri, risarciti con una montagna di soldi grazie ad un iter iniziato col Tar e concluso dal Consiglio di Stato. Il tutto in nome dell’economia del cemento.

Una economia sostenuta grazie al ricorso alla legge167, nata negli anni ’60, lo ricordo, per favorire la proprietà della casa di ceti popolari, oggi snaturata nello spirito e nella sostanza originari: aumento demografico e condizioni economiche sostenibili dai meno abbienti rispetto all’offerta del libero mercato. Il primo non c’è, mentre i costi sembrano essere per nulla popolari. È in nome della 167 che si sono prodotti i più grandi scempi urbanistici degli ultimi decenni, tanto generosi verso le lobby del cemento quanto dannosi per gli abitanti delle ormai tante periferie reatine, povere di infrastrutture, particolarmente viarie e privati dell’unico bene rimasto ad un piccolo capoluogo di provincia divenuto sempre più marginale come il nostro: la qualità della vita.

È per difendere questo bene che si è costituito il Comitato cittadino via Benucci e via Fedri, ricorso al Tar, contro la localizzazione per l’edilizia economica e popolare del cosiddetto IV decennio, considerato responsabile dell’aumento della densità abitativa di una porzione di territorio che negli anni ha perso del tutto la sua natura semi rurale per assumere quella di denso agglomerato suburbano. Un agglomerato interessato da strani sversamenti fognari e dotato di una stretta via di scorrimento, la via Terminillese, sempre più trafficata ed inquinante. E le cose potranno solo peggiorare quando saranno ultimati i 600 appartamenti in costruzione tra la Zona residenziale e Vazia. Al Tar ha anche fatto ricorso Cittadinanzattiva, allo scopo di fermare la brutale cementificazione prodotta in nome della 167. Ma le cose che ho appena scritte sono note.

Il richiamo è servito solo ad introdurre un episodio, significativo, forse, di un certo modo di procedere della nostra vetusta maggioranza comunale. È da qualche giorno che è stato transennato uno dei terreni destinati alla edificazione sovvenzionata in zona Campoloniano. Uno di quelli che il Comitato e Cittadinanza attiva vorrebbero sottrarre alla colata di cemento. Il curioso che si avvicina trova un cartello dove è scritto: permesso a costruire n° 1466 del 21/02/2011 data inizio lavori 21/02/2011. Caspita che fretta! Penserà. Se il curioso è anche informato sul fatto che il Tar ha fissato l’udienza per i ricorsi il 14/04/2011 si domanderà ancora perché non si sia aspettato per iniziare i lavori.

Al curioso, nemmeno tanto smaliziato, può venire il dubbio che ci sia un nesso tra la fretta e la prossima udienza. Un dubbio che non dispone favorevolmente nei confronti di una amministrazione che negli anni è sembrata più al servizio della autoconservazione clientelare e lobbistica che della res publica. Ad un recente e affollato convegno organizzato dal consigliere Paolo Bigliocchi e da Alessio Pitotti, giovanissimo esponente del Consiglio dei giovani, si è molto invocato il ricambio della classe politica, la partecipazione, la riqualificazione urbana e la protezione dell’ambiente.

È stato consolante ascoltare tanti giovani interessati a fare meglio di chi li precede. Nel frattempo li invito a studiare il mirabile affresco senese di Ambrogio Lorenzetti: un trattato politico in immagini di buon governo e di cattivo governo. Il secondo è quello che guarda a ristretti interessi e non al bene comune. Il primo tiene in gran conto la produttività della città, renderla virtuosa.

Articolo pubblicato sul Giornale di Rieti

mercoledì 2 marzo 2011

La rivoluzione del desiderio

Il fondatore del Censis, Giuseppe De Rita, con il 44° Rapporto sullo stato socioeconomico italiano ci ha fotografato con la solita amara nitidezza: siamo un popolo ammalato di individualismo e con scarso spessore. L’unica energia che riusciamo a trovare è al servizio di un narcisismo che non varca altra soglia che non sia la soddisfazione delle pulsioni più immediate (anche le peggiori), mentre si dà scarso valore alla relazione con l’altro. 

In una società del genere non c’è possibilità di crescita, ma solo regressione, culturale, emotiva, economica, politica, lavorativa, produttiva, istituzionale, democratica, mentre cresce il sentimento di insicurezza. Un sentimento d’insicurezza che si manifesta con paure che in realtà ne mascherano altre molto più profonde. Si crede di aver paura del passaggio di nomadi, fermi per qualche giorno nel nostro territorio, ad esempio, mentre a preoccupare è quello che ricacciamo nell’inconscio, non volendo fare lo sforzo di capire ciò che veramente deve fare paura e che ci manca. 

Per capire dovremmo fare lo sforzo di pensare a cosa desideriamo. E solo dopo nascerebbe il vigore che ci manca. Perché è il desiderio che muove l’energia degli individui e delle società, come sta accadendo oggi per le popolazioni nordafricane e mediorientali. La sua assenza, invece, produce ignavia e rassegnazione, rendendoci vittime e responsabili ad un tempo di una condizione civile ed umana “povera di spessore”. Uno spessore ridotto a niente dalla scomparsa del merito, fattore di qualità nelle società aperte, produttive, capaci di pensiero critico e di pedagogia verso le giovani generazioni. 

Merito inteso come giusta ricompensa ricevuta o data in base all’impegno, alle capacità, alla qualità delle prestazioni richieste per una certa funzione. Merito che ci siamo rassegnati a non pretendere anche per coloro che ci amministrano e ci governano. Non a caso chiamati “onorevoli”. Onorevole vuol dire degno di rispetto, di stima, in quanto giudicato di valore. Ma il giudizio comporta la fatica di conoscere, di valutare,di distinguere ciò che è buono da ciò che non lo è, mentre da noi regna la confusione. Pensiamo ad un presidente del Consiglio che si fa processare in contumacia, producendo una grave ferita alla sostanza democratica e costituzionale del nostro paese cosa che al massimo produce reazioni da tifoseria tra antiberlusconiani e berlusconiani.

Consideriamo lo smantellamento del nostro sistema sanitario regionale, al quale reagiamo con qualche protesta individualistica, restando, tuttavia, collettivamente inerti, anche se ci dicono che nel frattempo la Regione, la cui commissione sulla sanità sembra del tutto superflua, inattiva e costosa ( chi vuole può leggersi in proposito quello che dice Rocco Berardo, consigliere regionale), continua con gli enormi sprechi, inefficienze insensate e pericolose sanatorie di accredito delle strutture private. 

Con la sostanziale correità, bisogna tristemente dirlo, con molta parte dell’opposizione. Nonostante quello che dice Perilli, oggi consigliere e ieri assessore, richiamando l’attenzione sullo scenario pauroso degli ospedali romani, da lazzaretto, descritto nella puntata di domenica scorsa di “ Presa diretta”. Né sembra creare particolare preoccupazione un Presidente del Consiglio che sbeffeggia la scuola pubblica alla stessa maniera con cui ha sbeffeggiato la giustizia. 

Se i giudici sono casi psichiatrici, gli insegnanti “non sono in grado di insegnare”, visto che “ inculcano” idee malsane nei propri allievi. Né il paese sembra preoccupato dei limiti che questo governo vuole porre alla nostra libertà di cura, né delle ridicole proposte per limitare la libera informazione della Rai. Ha ragione De Rita, se vogliamo avere un futuro più dignitoso dobbiamo riprendere a desiderarlo.

Articolo pubblicato