La democrazia è un sistema
fondato sul relativismo. L'assolutismo appartiene ad altro. Per
questo è normale che a poco più di un mese e mezzo di esistenza il
governo Monti abbia estimatori e detrattori. Per i primi il
Presidente del Consiglio sta operando al meglio, per i secondi è il
Presidente del Presidente, ovvero una forzatura di Napolitano che ha
preferito mettere la patata bollente dell'esecutivo nelle mani di
tecnici invece che in quelle dei partiti e dell'agone elettorale. I
primi ed i secondi abitano nei diversi schieramenti e spazi di
rappresentanza.
Erano per il voto, ad esempio, sia la
Cgil di Camusso che la Lega di Bossi; gli ex colonnelli di An e gli “
indignati”. Una compagine composita. Poi ci sono quelli che
sembrano giocare su due tavoli. Sono coloro che, pur sostenendo
ufficialmente Monti, non perdono occasione per criticarne l'operato e
rinfacciargli i tempi lenti e riforme non gradite. Dimenticando,
preferendo dimenticare, che l'Italia ereditata da Monti è quella che
negli ultimi dieci anni ha aspettato invano le riforme. Molti la
famosa rivoluzione liberale.
Tra i resistenti più perniciosi ci
sono coloro che confondono dei totem con delle battaglie per i
diritti. Penso al problema della riforma del lavoro. Oggi il mercato
del lavoro è la Babele della precarietà. La discriminazione e la
discrezionalità per i lavoratori e per le lavoratrici,
particolarmente se giovani, è, a parte i fortunati, la regola. Porre
l'art.18 a vessillo della difesa della civiltà è un insulto
all'intelligenza delle cose.
Vedere la Cgil e parte del Pd
arroccarsi in una battaglia di retroguardia lascia allibiti. Vedere
la proposta di Ichino, un sistema di riordino complessivo del mercato
del lavoro dove si mette al primo posto l'eguaglianza del diritto
alle tutele, oggi gravemente lesa, trattata come una proposta
indecente è incomprensibile a chi sia libero da ideologie o da
viscerali resistenze al cambiamento. Ed il fatto che non si spieghi
a sufficienza che gli effetti della riforma non riguarderebbe chi
oggi è protetto dall'art.18 fa pensare. Male.
Troppe davvero sono le resistenze
autoreferenziali e distanti dall'interesse generale che pure dovrebbe
essere al centro degli interessi di chi ha ruoli di rappresentanza.
Come giustificare altrimenti l'unione di Upi e Sindacato nella difesa
delle province con la scusa delle 56 mila famiglie che resterebbero
in mezzo alla strada? Inutile dire che sono menzogne. A perdere il
posto sarebbero solo i posti di Giunta e del Consiglio, visto che i
dipendenti delle province sarebbero allocati in altre istituzioni.
Ma una buona parte del paese questo lo
sa. E infatti, nonostante misure pesanti e campagne non proprio
amiche verso il povero Monti da parte di tanti economisti e politici,
tutti con ricette più efficaci ( a parole) delle sue, il consenso
verso il Governo, è ancora alto, collocandosi intorno al 50%. Quello
che accadrà nei prossimi giorni, quelli in cui dal “ dovuto” si
passerà al “ voluto” per usare le parole del professore,
dipenderà molto da chi oggi ha la responsabilità di accompagnarne
lo sforzo con proposte, correzioni costruttive. Trasparenza,
chiarezza comunicativa.
La crisi chiede a tutti sacrifici ed è
necessario far comprendere che il Governo sta facendo quanto può per
distribuirli con equità. Compito della politica, dei partiti e dei
suoi rappresenti, anche locali, è far comprendere il perchè delle
misure prese e delle riforme attuate. Questa crisi può essere una
occasione per far crescere tutti sul piano della coscienza civile e
del senso vero della democrazia. Può aiutare a comprendere ciò che
meritiamo ed il suo contrario.
Non meritiamo un Parlamento di
nominati. Non meritiamo gli sprechi delle varie caste, di cui quella
parlamentare è solo la più in vista. Non meritiamo una burocrazia
inefficiente e che frena l'economia. Meritiamo, invece, di vivere in
un paese dove il diritto sia una certezza. Dove le tasse se non belle
come le definiva Padoa Schioppa siano un dovere sentito. Come
sentito dovrebbe essere il diritto alla mobilità sociale ed il
riconoscimento del merito.
Non meritiamo un paese dove i giovani
non hanno futuro senza il godimento di rendite familiste. Né
meritiamo vicende come quella dei posti raccomandati della Camera di
Commercio di Rieti. E non meritiamo che la perdita di posti di lavoro
voglia dire finire nella gabbia di ammortizzatori sociali
mortificanti, come la cassa integrazione o i posti di Lsu. Questo e
molto altro non meritiamo e Monti è una rara occasione per farci
fare un salto di qualità.