giovedì 29 novembre 2012

Urbanistica " cartina di tornasole"


Ha straragione Andrea Cecilia, ingegnere e assessore della nuova maggioranza comunale, quando dice che l'urbanistica non è solo edilizia. Ricordarlo serve e come in un paese come l'Italia ed in un territorio come quello reatino, dove da decenni si sacrifica l'ambiente alle esigenze del mercato delle costruzioni, considerando il saccheggio di suolo la colonna portante, quasi unica, di quello economico. Un sacrificio senza sacralità e senza altra prospettiva che l'accumulo forsennato di guadagni e di cubature ormai in esubero rispetto ai bisogni demografici.

Ha ragione l'assessore Cecilia a sostenere una urbanistica pensata come recupero del tessuto urbano ed è sacrosanto che un amministratore si preoccupi del futuro di una città abbandonata da troppo tempo all'ingordigia di un Moloch senza prospettive e qualità, come è il settore edilizio. Un Moloch sempre in marcia e senza indirizzo, avendo ai suoi comandi la politica.

Il paesaggio rappresenta una cartina di tornasole, un test per intendere come il cittadino vive se stesso in rapporto all´ambiente e alla comunità che lo circondano”,dice Salvatore Settis, archeologo, storico dell'arte e giurista, in una intervista. Che rapporto ha il reatino con il suo ambiente? Da troppo tempo di puro opportunismo . Ogni spazio è vissuto come vuoto da riempire, invece che da valorizzare. Si agisce come se esistesse solo un dissennato presente. Un presente miope, spiccio, indifferente alla qualità ed incapace di pensare alle generazioni future.

Quanta gratitudine e rispetto proviamo difronte alla bellezza delle città rinascimentali? Quanto orgoglio nutriamo nell'attraversare piazze e vie rese immortali dall'amore per il bello che ne hanno guidato la realizzazione e che ci fanno ammirare dal mondo? E quali sentimenti proveranno i nostri pronipoti nei confronti dei brutti quartieri dove vivranno e di anonimi spazi rubati alla natura? Ogni volta che si agisce in modo invasivo nei confronti dell'ambiente, del paesaggio e della fisionomia urbana bisognerebbe chiederselo.

Ha ragione l'assessore Cecilia, l'urbanistica deve puntare al recupero ed alla riqualificazione di quartieri obsoleti e delle aree dismesse. Soprattutto, ha ragione nel dire che l'urbanistica non può prescindere dall'idea generale di città, dalle attività produttive e dallo sviluppo che si vogliono favorire. Se l'idea di città è quella a cui sta lavorando l'assessore all'ambiente Ubertini, la eco compatibilità dovrebbe essere la caratteristica fondante della nuova urbanistica reatina.

Una urbanistica attenta all'uso razionale delle fonti rinnovabili e dell'energia, disegnata per un territorio dove si favorisce la promozione della green economy in tutte le declinazioni possibili . Dove si incentivano produzioni nuove, come quella della coltivazione del luppolo, materia prima necessaria alle due aziende d'eccellenza produttrici di birra della nostra provincia: quella di “ Alta quota”, di Cittareale, reduce da un recente successo ottenuto al Salone del gusto di Torino grazie alla birra spalmabile, realizzata in collaborazione con la Cioccolateria di Napoleone di Rieti, e quella di Borgorose, “ Birra del borgo”.

Un territorio dove il turismo può diventare realisticamente concorrenziale grazie ad un Terminillo che diviene parco e che ammoderna le sue infrastrutture sciistiche, oltre che ad una storia francescana messa a sistema e capace di renderci unici ed attrattivi, nonostante la povertà delle infrastrutture viarie, creando lavoro. La recente indagine del Sole24Ore ci vede come provincia al 101nesimo posto su 107 per appeal turistico. Inutile recriminare e perdere tempo ad inseguire le responsabilità. Quello che conta è che da uno stato tanto miserabile si esca al più presto.

Alla luce di quanto detto, ha ragione l'assessore Cecilia anche a non essere convinto dai programmi integrati realizzati dopo un bando della precedente amministrazione, considerando che sarebbe la continuazione di ciò che è stato: cementificazione e degrado di una città trattata come generica periferia, invece che come storica città capace di custodisce e valorizzare i suoi tratti identitari.

Ha torto, però, l'assessore, lo dico con il rispetto che merita una persona prestata da poco alla politica e sicuramente competente e desiderosa di far bene, a non comprendere le esigenze di coloro che, rispondendo ad un bando comunale di ieri, oggi vorrebbero conoscere al più presto che fine faranno i progetti per cui stipularono con le banche contratti di fideiussione, oltre che le prospettive del loro settore produttivo, a detta di tutti in crisi.

E sarebbe utile sapere quale tipo di strumento urbanistico ritiene essere più efficace per una edilizia di qualità e sostenibile. Pensa sia meglio tornare all'antico, ovvero al Prg, che, con le sue varianti e grazie alla 167, ha consentito alla politica di cambiare in peggio il volto della nostra città e delle sue periferie, oppure crede che a favorire l'edilizia rigeneratrice si presti di più lo strumento “ piano integrato di riqualificazione urbana”?
E cosa pensa esattamente, Cecilia, dell'Urban Center, nato a Rieti quando era assessore Chicco Costini? Come ogni strumento, un Urban Center può essere usato bene ( in tante città italiane, e non, funziona benissimo) o male. Può essere un progetto che resta sulla carta, oppure a creare uno spazio necessario al confronto, alle proposte, all'informazione, al dibattito ed alla trasparenza. Cose necessarie a fare dell'urbanistica qualcosa di molto diverso rispetto a ciò che è stata fino ad oggi. Una differenza di cui questa città ha un grande bisogno.


lunedì 12 novembre 2012

Le proposte inedite di Silvio Gherardi

Il debito accertato dal faticosissimo lavoro dell'assessore al bilancio Marcello Degni sfiora ormai i 100 milioni. Una follia. Una follia che oggi si spiega meglio: chi doveva controllare la gestione comunale non ha controllato, cominciando da sé: le società esterne di Carlo latini e Massimo Morelli, a cui la vecchia maggioranza, aveva delegato il controllo gestionale, pur avendo tecnici interni nella capacità di farlo, non lo hanno fatto, incassando 450.000 euro per un lavoro mai svolto. Sempre che le accuse di oggi saranno confermate.

Carlo Latini per i reatini è noto per essere stato Sovrintendente della Fondazione Flavio Vespasiano quando arrivavano tanti soldi per il “ Reate Festival”dal braccio lungo di papà Stato sollecitato alla generosità da Gianni Letta. Quando i soldi sono finiti, l'esperto di marketing si dimise.

Molto stimato dall'ex assessore alla cultura Gianfranco Formichetti: “..il Sovrintendente Carlo Latini gode della unanime fiducia del Consiglio di amministrazione della Fondazione...non solo perchè deve essere a pieno titolo considerato uno dei protagonisti del successo ottenuto ma anche un manager capace di tenere i conti e i risultati di bilancio in perfetto ordine”, diceva Formichetti in una intervista, Latini ha sempre suscitato perplessità nell'opposizione. Lo testimonia una interrogazione comunale di Giorgio Cavalli e l'attuale presidente del Consiglio Marroni, IdV , riguardo al Reate Festival nel 2011.

L'ex Sovrintendente più amato dalla destra reatina, ex segretario del Psi di Terni negli anni '80, venne prontamente ricollocato. Dopo le dimissioni di Luigi Gerbino da presidente della Asm, a pochi giorni dalla scadenza del mandato di sindaco di Emili, Latini fu prontamente chiamato a sostituire Gerbino. Simone Petrangeli, allora in campagna elettorale,definì la scelta come un “ colpo di mano di una coalizione allo sbando”. Oggi quelle parole suonano più che veritiere.

Con l'accusa di concorso in peculato sono all'arresto domiciliare il dirigente del settore finanziario comunale, Antonio Preite e Carlo Latini, mentre Massimo Morelli, meno noto, ha il divieto di dimora a Rieti. Le indagini sono in corso, non c'è che aspettare il seguito. L'impressione è che ne vedremo delle belle.

Proprio quando la città veniva attraversata dalle notizie cominciate a trapelare dalla tarda mattinata, Silvio Gherardi, presidente ed amministratore delegato della Baxter, azienda fortunatamente non piegata dalla crisi e premiata a Londra, nel 2011 con lo “ Innovation Award di Cisco” per la produzione ed applicazione di nuove tecnologie, del tutto casualmente, teneva una conferenza stampa.

Candidato sindaco dall'area di centro in zona Cesarini, battuto insieme ad Antonio Perelli da Simone Petrangeli, medico, membro della Giunta di farmindustria, Vice Presidente Esecutivo di Assobiomedica e Presidente del gruppo Emoderivati di farmaindustria, soprattutto galantuomo ( mi si consenta un termine desueto e demodè, ma non ne trovo altri migliori per uno come Gherardi), il consigliere d'opposizione teneva una conferenza stampa con cui invitava i cittadini a partecipare alla vita politica per il bene di Rieti; muoveva qualche critica, in forma gentile ma decisa, all'attuale giunta e faceva proposte per evitare al Comune una fine impietosa.

Il rischio del commissariamento, in effetti, è sempre accucciato dietro l'angolo di una situazione debitoria ancora non scoperta del tutto.

Silvio Gherardi è quello che si dice un rappresentante della società civile prestato alla politica. Lo si capisce dall'uso del non politichese, dal pragmatismo senza ritualità e da alcune ingenuità concettuali di nomenclatura politica. Gherardi parla di “ stato etico”, suscitando qualche brivido in chi scrive, ma poi chiarisce che intende parlare di uno Stato che agisce nel rispetto della legalità e non di Stato “ assoluto” , di “ Leviatano” a cui l'individuo deve sottostare in tutto.

La sua è una destra liberale che guarda alla famiglia come valore principale (con totale coerenza personale); al rispetto delle regole come fattore di buon governo, alla tradizione come collante per le radici, alla collaborazione politica trasversale come metodo per affrontare le difficoltà: “ togliamoci le casacche”, dice.

Proprio in questa ottica ha avanzato una proposta che può essere scartata come peregrina tanto quanto può essere accolta come ciambella di salvataggio su cui riflettere per governare l'attuale difficoltà comunale. Gherardi propone di costituire una sorta di Direttorio, organo formato da quattro persone competenti e riconosciute come credibili e vicine all'anima della città ( Cicchetti lo è) che integrino l'ordinaria attività degli organi amministrativi.

E' una evidente deroga alla normalità. Ma il “ normale” è una categoria voluttuaria in tempi complicati come il nostro. Le quattro persone dovrebbero essere, Petrangeli, Melilli, Cicchetti e Gherardi stesso. Lascio agli altri giudicare la proposta.

Mi limiterò a dire che nella cultura anglosassone esiste la tradizione del “ think tank”, serbatoi di pensiero, luoghi di riflessione e di elaborazione di strategie politiche, economiche, militari e quant'altro. Se la proposta di Gherardi si indirizza verso questa forma, ben venga.

Durante la conferenza stampa il dottor Gherardi ha toccato i diversi ambiti amministrativi, dall'urbanistica al Terminillo, dalla mancanza di regia per l'attività di Giunta alla situazione economica delle aziende reatine, dalla critica all'accorpamento di urbanistica e lavori pubblici nello stesso assessorato alla necessità di allargare la maggioranza.

“ Speriamo di non perdere i soldi ottenuti per il progetto Plus. Ed i piani integrati che fine faranno?”. “ Mi è stato detto da Ciocchetti, vicepresidente della regione Lazio, che stanno aspettando i progetti per 20 milioni di euro assegnati dalla regione per il Terminillo”. “ La relazione di Regnini, presidente della Camera di Commercio, sulla situazione del commercio reatino è devastante”. Dice.

Né lascia fuori la questione della Provincia accorpata con Viterbo. “ E' bene fare del tutto per salvare la Provincia, ma stare con Viterbo potrebbe significare un vantaggio enorme. I settori dell'agricoltura ed il turismo potrebbero crescere con grande vantaggio per l'economia”. Anche in questo caso Gherardi fa una proposta inedita. “ Per risolvere la questione su chi deve assumere il compito di provincia, Rieti o Viterbo, propongo il “ Capoluogo diffuso”, una delle due città diventerebbe sede istituzionale, l'altra sede delle istituzioni economiche”. Una proposta seria.

Nel giorno degli arresti e delle brutte notizie la conferenza stampa è suonata come una pacca sulle spalle dei reatini ed un invito a reagire. Per qualcuno Gherardi ha solo voglia di ricollocarsi politicamente . Io che al sospetto preferisco il rischio dell'errore credo si tratti solo di passione politica ed amore per Rieti, dimora d'elezione. L'importante è che ci sia un seguito. Ma a questo punto l'onere della risposta spetta agli altri. Simone Petrangeli in primis. Mi scuso per la lunghezza, ma a volte s'impone.


venerdì 2 novembre 2012

La provincia non c'è più. Basta piagnistei


Azzerate, cancellate senza se e senza ma in un sol colpo. Nessuno ci credeva. Molti non ci speravano. Mercoledì scorso il Consiglio dei ministri ha licenziato il decreto legge che ridisegna la mappa delle Province. Un decreto calato come una mannaia sulle attuali Giunte provinciali che saranno soppresse dal primo gennaio 2013. L'appena tornato presidente Melilli sarà il curatore finale di un riordino che si spera sarà per i reatini, diventati viterbesi, il meno doloroso possibile. Soprattutto per chi in Provincia lavora.
Quello del riordino è' un vero uragano per un sistema amministrativo che va “ rottamato” per la semplice ragione che è vecchio. Vecchio, costoso e farraginoso con tutta la burocrazia che produce.
Una burocrazia che crea posti di lavoro dati per favore e pagati con i soldi dei contribuenti, mentre soffoca ogni iniziativa privata. Da anni ormai viviamo la violenza della forza centrifuga di attività produttive perdute. Il tramonto del bel tempo che fu quando Rieti sognò di diventare industriale. Attività produttive fuggite da un territorio sempre più povero ed incapace di individuare la propria vocazione economica, dopo aver rinunciato a creare infrastrutture moderne, pur essendo Provincia.
Peggio di così, per i tanti disoccupati, sottoccupati, cassintegrati, non più aiutati dal sistema degli “lsu” e simili, non può andare. Il cambiamento può rappresentare un'occasione, invece, per una scossa salutare.
Le grida sulla “ abolizione delle giunte demagogica”, di Fabio Melilli e simili, sono solo gli ultimi fuochi di una classe di amministratori preoccupati più di conservare che di innovare, anche contro l'evidente necessità di farlo posta dalla crisi. Chi oggi vede in Monti un nemico pecca solo di miopia e dell'incapacità di accettare i cambiamenti che la globalizzazione impone. Le province dovevano essere abolite tutte. I padri della riforma del Titolo V, la sinistra, lo hanno impedito. Il riordino attuale è quanto è stato possibile fare da parte dell'attuale Governo.
Che cosa succederà ora? Dal primo gennaio 2013 la Giunta provinciale verrà soppressa. Resterà il presidente Melilli che potrà delegare l'esercizio di funzioni a non più di tre consiglieri provinciali. Il nuovo assetto servirà a consentire la gestione ordinaria nella fase di transizione e ad approvare il bilancio di previsione entro il 30 maggio. Qualora le scadenze non venissero rispettate il governo nominerà un commissario. Ma Melilli è persona capace e sicuramente le rispetterà ( a meno che non gli convenga fare il contrario. L'amico Fabio mi perdoni la malizia).
A novembre del prossimo anno ci sarà il voto. Saranno elezioni di secondo livello con i 16 consiglieri provinciali che verranno eletti dai consiglieri comunali in carica e dai sindaci. Il nuovo Consiglio provinciale, a pieno regime da gennaio 2014, eleggerà il presidente. Per tanti presidenti colpiti dal coltellaccio della Spending review quello di Monti è un vero e proprio commissariamento ed un ritorno al centralismo.
Un centralismo che la revisione del Titolo V della Costituzione, di fatto responsabile di aver lasciato sopravvivere costituzionalmente le province in nome della gestione intermedia e della sussidiarietà, ha dovuto aggirare con il riordino.
A riordino ormai avvenuto, ed irreversibile, come promette Patroni Griffi, ministro della Funzione Pubblica, il presidente della Provincia di Rieti, Fabio Melilli, “ di concerto” con il sindaco, Simone Petrangeli, ha convocato per venerdì 9 novembre alle ore 15.30 l'assemblea dei sindaci della provincia di Rieti.”Sarà l'occasione per decidere le azioni da mettere in campo di fronte ad una scelta che rischia di indebolire il territorio e l'economia reatina”. E' scritto sul sito della Provincia. E' il solito annuncio ? Si prenderanno decisioni? E quali?
Qualche giorno fa, Vincenzo Ludovisi, segretario provinciale del Pd, ha scritto un intervento molto ragionevole intitolato “ Riordino fatto, adesso?”. Senza piagnistei, pragmatico, come lo è il termine “ adesso”, Ludovisi ha posto il problema principale del nostro territorio: la eccessiva frammentazione. Abbiamo troppi e troppo piccoli comuni.
Una realtà non più sostenibile con la scomparsa della nostra Provincia. La proposta di ridurre il numero dei comuni dai 73 di oggi a quello di 10-15 sembra l'unica sensata. In Valsamoggia, Emilia Romagna, 5 comuni si sono già fusi. E' un buon esempio da seguire per i sindaci che si incontreranno il 9 Novembre. Coglieranno l'”occasione” per fare finalmente qualcosa di utile per il territorio? Vedremo.

Terremoto dell'Aquila: una sentenza che fa scandalo e giustizia


Certo, la sentenza dell'Aquila che condanna sette membri della Commissione Grandi Rischi per aver troppo rassicurato gli abruzzesi nei confronti del terremoto, può avere come conseguenza uno stato di allerta continuo ogni volta che si appalesi la possibilità di una calamità naturale, ma pone su tutto la delicata questione delle responsabilità delle istituzioni verso la giusta e doverosa prevenzione ed informazione dei cittadini sui reali pericoli che su di loro incombono.

Pericoli che il degrado ambientale e idrogeologico, i cambiamenti climatici, l'abusivismo, gli inevitabili sommovimenti naturali rendono inevitabili. Una inevitabilità accresciuta dalla superficialità con cui si agisce e che causa le famose “tragedie annunciate” che da noi restano sempre impunite. Quasi un milione di persone, per dire, vivono alle pendici del Vesuvio. La sentenza dell'Aquila non restituisce i morti, ma è un caso raro in cui per chi resta a piangere i propri cari c'è almeno un po' di giustizia.

Giustizia, certo, perchè la questione posta dalla sentenza più scandalosa al mondo ( dovunque si è stigmatizzato la condanna di “ scienziati”) non è quella di pretendere che i membri della Commissione prevedessero quello che sarebbe successo. Nessuno, per ora, è in grado di prevedere terremoti. La vera questione è la disinformazione pubblica. E' stata la scelta di chi aveva il compito di proteggere di nascondere il pericolo, invece di comunicarlo nella dovuta maniera, ad essere stata condannata.

Da quanto si capisce oggi l'ex Direttore del Dipartimento della Protezione Civile Bertolaso chiese di negare i rischi, evidenti a tecnici e scienziati della Commissione. Lo dicono gli scambi intercettati di una telefonata tra lui ed il professor Enzo Boschi, al tempo presidente dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Meglio non allarmare. La Commissione ( oggi Boschi ne parla come di un errore) sciaguratamente ubbidì. In questo caso la scienza è diventata ancella della ragion di stato che chiedeva di nascondere la verità.

E' stata la negazione della funzione della scienza: difesa della verità oggettiva di cui si dispone contro ogni pregiudizio e panzana. La condanna dei membri della Commissione, dovuta al giudice monocratico Marco Billi, è esattamente l'opposto di quanto asserito dal ministro dell'ambiente Clini, che l'accosta a quella contro Galilei. Lo scienziato pisano rischiò la pelle per sottrarre la libertà scientifica alle costrizioni del potere. I membri della Commissione ci si sono adattati.

Un adattamento che ha portato a quello che in miei precedenti articoli sul tema ho definito addomesticamento della paura. Un addomesticamento costato, insieme alle responsabilità di chi non ha controllato lo stato di edifici come la casa dello studente, 300 morti. Un costo che dovrebbe suggerire di fare della la Protezione Civile un presidio ben organizzato ed efficiente della sicurezza dei cittadini contribuenti dovunque. Non è così. Almeno nella nostra regione non è così.

Dopo una chiacchierata con Crescenzio Bastioni, del Cer, Corpo Emergenza Radioamatori, c'è poco da stare allegri. Nel Lazio il problema non è tanto la carenza di risorse disponibili, bensì quello organizzativo. Di volontari ce ne sono migliaia, ma il risultato è una polverizzazione di circa 500 associazioni, a cui arrivano finanziamenti distribuiti senza bando né trasparenza, prive delle necessarie programmazione e cabina di regia.

Solo un esempio. In occasione del terremoto dell'Emilia, le colonne mobili di Marche ed Umbria (circa 80 volontari che allestiscono tendopoli e assicurano assistenza) sono arrivate sul posto dopo 12-14 ore. Quella del Lazio dopo 12 giorni. Mentre a Rieti esistono 27 soggetti di protezione civile in competizione tra di loro ed incapaci di fare rete. Da parte sua la Provincia ha mal dislocato e mal usato ( per il turismo) le strutture abitative realizzate con fondi della Protezione Civile, destinate alle popolazioni in caso d'emergenza.

Ma ci sono anche delle eccellenze, come il Cer. L'associazione, molto presente sui social network, vive di autofinanziamento ed opera a favore della formazione di nuovi volontari e dell'informazione. Tra le attività del Cer ci sono progetti come “ Scuola sicura” che ha coinvolto seimila scolari delle elementari e quello, premiato dalla Presidenza della Camera dei Deputati “ Persona informata..mezzo salvata”, con cui 2000 abitanti del centro storico reatino vengono dotati di una guida pratica in caso di emergenze.

Ma a che punto è il famoso Piano di Protezione Civile, pronto e tenuto nel cassetto dall'amministrazione precedente, con tante polemiche tra l'ex assessore Boncompagni ed il sindaco Emili? E' ancora in attesa di approvazione. Un'attesa che si giustifica, certo, con il disastro generale, non solo di bilancio, trovato dalla nuova amministrazione, ma che espone anche il nuovo sindaco al rischio di essere accusato di inadempienza, visto che entro ottobre andava approvato.

Secondo l'Organizzazione metereologica mondiale, ogni dollaro investito nella prevenzione ne farebbe risparmiare 7 spesi in assistenza umanitaria e ricostruzione. Qualcuno spiega la bassa attenzione verso la prevenzione con l'argomento del cinismo. L'emergenza mette in circolo molti più soldi. Come dimenticare quelli che mentre l'Aquila e dintorni si sbriciolava su poveri corpi “ ridevano” pensando agli affari che avrebbero fatto?

In conclusione vorrei approfittare per rivolgere al sindaco Petrangeli , persona sicuramente sensibile, una preghiera. Il terremoto dell'Aquila ha prodotto tre giovani vittime: Luca, Valentina e Michela. Sarebbe bello che a loro si dedicasse uno spazio della memoria. Memoria di chi non c'è più, ma anche memoria di ciò che causa l'incuria umana.


venerdì 12 ottobre 2012

Esternalizzazioni sanità reatina.Gianani sia generoso


Sicko. Questo è il titolo di un film documentario del regista Michel Moor, del 2006, sul sistema sanitario americano. Per lo spettatore italiano, di qualsiasi sensibilità politica, fu un'occasione per apprezzare, nonostante tutto, l'offerta sanitaria del nostro paese. Nonostante tutto, perchè nel 2006 era già avanzata la consapevolezza che in quel particolare settore della cosa pubblica la politica aveva messo le tende, anzi, aveva elevato gli avamposti più resistenti della sua pratica spartitoria ed invasiva.

Una pratica messa a sistema con l'attribuzione, grazie al riordino del 92/93, delle competenze in materia sanitaria alle regioni. La ragione principale della riforma fu il contenimento della spesa. Se non fosse tragico sarebbe comico, visto che oggi scontiamo gli effetti di gestioni fallimentari da parte di maggioranze di ogni colore politico prodotto dal decentramento. Nel Lazio Badaloni trovò un debito di 800 miliardi di lire che ingrossò. Storace lo portò a 10 miliardi di euro. Marrazzo provò a ridurlo senza fortuna, Polverini ha dato il colpo di grazia con una gestione inefficiente, dannosa, spregiudicata. Con la sostanziale inefficacia dei nostri tanti rappresentanti regionali, impegnati, chi più chi meno ed a diverso titolo, a condividere le spese allegre. Cinque, mai avuti tanti.

Pacta sunt servanda”, dicevano i latini. I patti si rispettano. Quando una istituzione non si sente chiamata ad osservare questo fondamentale principio di civiltà il risultato è quello rappresentato nel consiglio comunale straordinario , aperto ai cittadini ed associazioni, tenutosi a Rieti lunedì scorso, 8 ottobre, per discutere di sanità: l'impotenza. Una impotenza che nasce dal fatto che il rientro sanitario dal debito regionale, che fa del Lazio il principale responsabile di quello nazionale( quasi il 60%), è stato tentato da Polverini sulle spalle di una provincia che, come ha detto il direttore amministrativo Adalberto Festuccia, ha fatto i “ compiti”. L'azienda sanitaria reatina ha ridotto le spese. Ha contribuito con zelo all'obbligo di risparmio, con la riduzione della spesa farmaceutica, il taglio di posti letto e di ospedali.

Ma a nulla è servito. Quanto era stato assicurato ai cittadini sabini col “patto” del decreto 80 non è avvenuto. Allo smantellamento di strutture ospedaliere come quella di Magliano e di Amatrice non ha fatto seguito nessuna compensazione assicurata, né riordino. La medicina territoriale non si è vista. L'ospedale provinciale De Lellis è alla paralisi, con il blocco del turnover a cui è stata negata ogni deroga. Con l'interinalità, per natura precaria ed incapace di produrre stabilità ed efficacia organizzativa. Ai patti è seguita l'indifferenza verso ogni richiesta arrivata da un territorio non più in grado di assicurare ai cittadini i livelli minimi di assistenza e cura.

Cittadini costretti ad aspettare tempi infiniti per le prestazioni e ad aumentare la mobilità passiva verso un'altra regione, essendo più rivolta a Terni che a Roma, producendo costi notevoli. Su tutto, come cacio sui maccheroni, è aleggiato il conflitto tra Polverini ed il direttore generale Gianani.

Un conflitto non utile a nessuno. Particolarmente alla nostra sanità. L'intervento di Santina Proietti, Presidente dell'Alcli, nota associazione per l'assistenza delle famiglie di malati di tumore, lo ha rappresentato meglio di chiunque, sindacati ed amministratori, intervenuti ognuno per la sua parte. I malati, particolarmente quelli di tumore e meno abbienti, sono allo stremo, come lo sono le strutture ospedaliere. Nonostante lo strenuo impegno di Santarelli e Capparella, primari di radiologia ed oncologia, i malati aggiungono disagi a dolore. E non va meglio per altri servizi.

E' per ovviare all'impasse provocata dalle deroghe e dalla sordità di Polverini verso i nostri problemi sanitari che il direttore Gianani vorrebbe avviare tutta una serie di esternalizzazioni. Cosa sono?

L'esternalizzazione, nota come outsourcing è uno strumento aziendale per ridurre il numero di attività, non ritenute strategiche , appaltandole ad un privato specializzato in quel settore. Come ogni cosa, la proposta, motivata da Adalberto Festuccia come risposta ai bisogni del territorio, va considerata senza paraocchi. Soprattutto ideologici. Il privato non va demonizzato. Ma il privato non va nemmeno considerato sempre la risposta giusta. Soprattutto se l'azienda in questione è quella sanitaria.

La domanda che va posta è: qual è la mission del servizio pubblico? E' il profitto e la crescita del fatturato o la cura? Credo si possa convenire che la risposta giusta sia la seconda. Mentre il privato per natura ha come missione il profitto. E dunque, chi potrebbe garantire l'utente, ad esempio, che la prestazione complessa e più remunerativa gli serva davvero? Chi potrebbe garantire che l'interesse a curare ed a prevenire prevarrebbe sul bisogno di produrre il legittimo profitto? E siamo sicuri che si produrrebbe risparmio e qualità maggiore? Quali calcoli sono stati fatti per ritenere giusta la scelta?

Un recente documento della Public Services International Research Unit dell’Università di Greenwich, ha dimostrato che il privato non ha prodotto risparmio ed efficienza nella sanità inglese, dove l'outcourcing è stato ampiamente utilizzato.

A chi sostenne la decisione di chiudere l'ospedale di Magliano, confidando nel riordino promesso e credendo nella necessità della razionalizzazione sanitaria laziale. A chi non trovò scandalosa l'idea di Gianani di promuovere un centro di medicina orientale a Magliano, come chi scrive, l'idea delle esternalizzazioni oggi appare scorretta. Molto più scorretta della destinazione di un milione e 200mila euro per la manutenzione del verde o dei premi di produttività ai dirigenti, dovuti per contratto.

Le dimissioni di Polverini rimettono tutto in gioco ed aprono a nuove possibilità. Il contratto di direttore generale scadrà tra meno di un anno. Credo sarebbe generoso da parte del dottor Gianani aspettare i pochi mesi che ci separano dalle nuove elezioni regionali prima di avviare una outsourcing che chi verrà troverà imposta per cinque anni.

Come sarebbe importante ed efficace politicamente che il sindaco Petrangeli, dopo l'ottimo segnale d'attenzione dato al tema sanitario, cosa non nuova in verità da parte sua, visto che è stato minacciato di denuncia da Polverini per procurato allarme, desse vita subito alla Consulta permanente a costo zero sulla sanità proposta dalla consigliera Massimi. Anche Emili e Melilli organizzarono incontri sulla sanità. Sarebbe brutto che tutto finisse in inutile ritualità.


L'era Melilli è finita


Un'era iniziata con entusiasmo e speranze (anche per chi scrive) è finita con l'epilogo triste delle dimissioni di Melilli da presidente di una provincia che sembra destinata a morire. Inevitabile l'accostamento al capitano che abbandona la nave mentre affonda, pur riconoscendo legittimità alle naturali pulsioni a sopravvivere. Anzi, a salire su navi più solide.

La presidenza di Melilli, miglior allievo di Manlio Ianni, è stata un'era durata 8 anni di perfetto metodo democristiano. Un metodo che ha prodotto pochi risultati, se si vanno a vedere progetti, patti, tavoli, annunci finiti nel nulla, soluzioni di problemi di lavoro. Un'era in cui si è liquefatta una classe dirigente del partito del Presidente, il Pd. Dove sono finiti Gosuè Calabrese, Roberto Giocondi, Giuseppe Rinaldi, Elena Leonardi, Enza Bufacchi, Cristina Costanzi e tanti altri che non elenco per ragioni di spazio? Un piccolo esercito disgregato. Un esercito che un “ generale” intenzionato a vincere la battaglia a favore del territorio avrebbe dovuto e potuto valorizzare e non depotenziare attraverso addomesticamenti o spinte alla fuga.
Un esercito scomparso di un partito che in nemmeno un decennio si è ridotto in provincia all'11% dei consensi, mentre in era Calabrese, Pds e Margherita veleggiavano intorno al 28% e che è riuscito a perdere importanti comuni come Fara Sabina . Mentre ha ceduto Rieti a Sel. Un partito che, dalla seconda sofferta vittoria di Melilli, ha visto nascere l'asse Melilli-Martellucci, a cui hanno fatto da volano le ultime primarie nazionali per la segreteria del Pd. Primarie strane. Primarie che videro gonfiarsi a dismisura tesseramenti poi perduti. Un caso per tutti è Borgo Rose. A votare furono in 100 tesserati. Oggi sono 7.

Saputo delle dimissioni di Fabio Melilli, per nulla sorprendenti, ho voluto ascoltare alcuni pareri. Tra questi quello dell'architetto Roberto Giocondi, a mio vedere, tra i migliori assessori della prima consiliatura di Melilli. “ Melilli è il più bravo di tutti, certo”, dice. “ se la politica va intesa come capacità di tessitura (e di rottura quando non servono più o sono considerati di ostacolo ndr) di rapporti personali, come capacità di moltiplicare le clientele, come creazione di società pubbliche che diventano carrozzoni.

Melilli e' il più bravo se si pensa alla politica come azione autoreferenziale, per cui il vantaggio personale è prevalente sull'utilità collettiva. Allora è indubbiamente il più bravo. Ma è inutile cercare in lui una visione progettuale vera. Ha amministrato la provincia senza idee, senza obiettivi di sviluppo di sistema”.

Lo sviluppo non c'è stato. E' un fatto. E' innegabile che progetti come quello integrato di Montepiano Reatino, di Giocondi, definitivo e finanziato, basato sull'idea che la valorizzazione e lo sviluppo delle aree rurali fossero il volano giusto per rimettere in moto l'economia del reatino, insieme al turismo, è rimasto solo un buon progetto. L'unica cosa conclusa è la famosa pista ciclabile (non percorribile di sera, in quanto pericolosa). Mentre nulla si è fatto per il Cammino di Francesco. Anzi, il pellegrino resta stupefatto per le infinite difficoltà che incontra su un percorso abbandonato a se stesso quanto chi lo percorre.

Melilli si è dimesso a suo modo. Il modo malmostoso che gli è proprio. A chi scrive resta il bisogno di fargli alcune domande. Che fine ha fatto il patto per lo sviluppo? E perchè ci fu tanta insipienza nella gestione dei mondiali di volo a vela costati alla Regione ( cioè noi) 2 miliardi di lire? Una cifra che non ha prodotto alcuna utilità per la città. Che utilità vera ha rappresentato comprare un ecomostro rischioso per più di un motivo per farne una scuola? Ed il Terminillo? La piscina che fine farà? Ed e' riuscito Melilli a tenere insieme l'esigenza dello sviluppo di Leonessa con la salvaguardia ambientale? Come mai il progetto del Parco è finito in nulla?

E come è stato gestito il tema dei rifiuti per la parte di responsabilità provinciale? Dopo traccheggiamenti e rinvii di raccolta differenziata si è arrivati a creare una società che, dopo tre anni dall'approvazione, ancora non è riuscita a nascere, ma che ha nel dna buone possibilità di finire nel solito carrozzone clientelare. E che fine ha fatto il collegamento veloce Rieti-Roma passando per Terni? Ed i soldi gestiti da sub commissario al terremoto e bloccati non sarebbe meglio darli ai terremotati?

E come mai la faccenda Ritel è finita con un nulla di fatto? E la dolorosa vicenda di Coop76 non poteva essere gestita meglio? E perchè sull'abolizione di Rieti provincia non si è coinvolta la città, mentre tutto è stato delegato al vertice?

Qualcuno fa notare che a Melilli si deve l'ultimazione della strada Rieti-Torano. In realtà i soldi furono stanziati da Badaloni, poi bloccati da Storace e ridati da Marrazzo. Melilli ha fatto il bando. Lascio giudicare agli altri se possa essere considerato un gran titolo di merito. A lui si deve anche il recupero di Villa Battistini e l'ampliamento del Palasojurner. Ottime cose, ma quello che non si vede è la visione strategica da cui nascono. Davvero rappresentavano delle priorità per un territorio che ha disperato bisogno di posti di lavoro?

"Se vogliono dimettersi lo facciano per riposarsi ma non pensassero di continuare ad avere ruoli di rappresentanza". Così hanno scritto i giovani democratici campani in una nota congiunta tra GD e segretari provinciali di Napoli, Salerno, Caserta e Benevento. Non ci stanno alle dimissioni di sindaci e presidenti di provincia interessati al Parlamento. Le dimissioni di Melilli non hanno prodotto reazioni. Fossi in lui mi chiederei il perchè.

L'arrocco di Petrangeli


Per i manuali di scacchi la mossa dell'arrocco è “ una manovra difensiva volta a portare al riparo il Re in un angolo della scacchiera”. E i manuali di storia raccontano l'incastellamento medievale dei secoli X e XII come risultato dell'insicurezza prodotta dalle invasioni normanne, saracene ed ungare seguite alla fine dell'impero carolingio. Il fattore comune tra il gioco ed il fenomeno storico è il rinchiudersi per paura.

E di cosa avrà mai paura Simone Petrangeli, sindaco da cinque mesi? L'immagine di oggi è vistosamente dissonante rispetto a quella della campagna elettorale. Una campagna di notevole efficacia, considerando il risultato: il Pd si è fatto sfilare la candidatura alle primarie, mettendoci molto del suo ( slogan felicissimo di Petrangeli che ancora risuona nella memoria reatina), mentre la destra, apparentemente invincibile, grazie ad un radicamento capillare e l'uso collaudato del metodo clientelare, è stata battuta.

Un risultato che aveva acceso l'energia della città. Una energia nuova, fatta di speranza di rinnovamento e di fiducia in spazi di partecipazione democratica di cui si sentiva bisogno. Ma ogni speranza va smorzandosi dopo la strana condotta del giovane sindaco di Sel, perchè a tutti, ad un certo punto, è parso evidente che Petrangeli, quello della “primavera reatina”, non voleva o non era capace di confronto. Né è parso interessato a favorirlo. Eppure è persona generosa ed amabile.

Petrangeli si è arroccato. Diventato sindaco, ha indossato un abito istituzionale inavvicinabile del tutto imprevedibile. E' stata una sorpresa financo per i “compagni” di una vita. Compagni che ancora non digeriscono la sorpresa dell'esclusione da incarichi o concertazioni. Ma anche dalla semplice relazione amicale ( almeno così sembra). Il sindacato, convinto di poter godere di ben altro interlocutore rispetto al passato, è costretto conferenze stampa per ottenere attenzione. Il sindaco appare lontano ed inaccessibile.

“Finita la festa gabbato lo santo”. La città, dopo le promesse, si è ritrovata sola ed amministrata da una maggioranza formata da un rassemblement giocato solo sull'anagrafe e l'inesperienza. Il meno adatto al momento. Risultato preoccupante del cedimento modaiolo all'idea che il rinnovamento in politica passi solo per la giovinezza e non per la sapienza ( in senso ampio del termine) che sa operare a favore del futuro e dei giovani. Miti di ogni dittatura, dal Fascismo alla rivoluzione culturale cinese, con gli effetti che sappiamo.

Non solo, la città si è trovata con un palazzo comunale, dispiace dirlo, che fa quasi rimpiangere quello di Emili. Se ieri la “ casa di tutti” appariva almeno ben tenuta, oggi appare un luogo triste dove il sindaco e la strana giunta ( qualcuno sostiene che è il segno del ritorno di poteri messi ai margini da Cicchetti) trascorrono ore ed ore, incupiti dal dissesto e distanti dai cittadini che, attoniti, si domandano le ragioni di un simile ribaltamento delle aspettative create.

“ Diventa sindaco”. “ Mettici del tuo”. “ Trasparenza”, “Partecipazione”, alla luce di quanto si sperimenta oggi sono stati felici slogan e niente più. Formule vuote sparite dalla sfera del possibile immediatamente dopo la vittoria, La luna di miele nemmeno c'è stata, perchè Petrangeli dal giorno dopo si è arroccato.

Come mai? Di chi ha paura? Da chi si difende? Dalla città? Il compito è troppo gravoso? Trovarsi, al tempo della spending review, con una montagna di debiti, un numero di dipendenti debordante da licenziare, dirigenti abituati a nessun controllo e ad una prassi di uscite di soldi fuori bilancio di difficile rendicontazione, richiede nervi saldi ed inflessibilità. Forse il sindaco pensa di poterlo fare solo in solitudine.

Petrangeli, nel Consiglio comunale di lunedì scorso, ha saputo rispondere con efficacia ad una minoranza che fa il suo gioco cercando di metterlo in difficoltà non votando a favore del riequilibrio di bilancio. Il sindaco ha ricordato giustamente, a Gerbino e agli altri, che l'attuale emergenza è dovuta solo in parte alla crisi. I debiti fuori bilancio e lo stato d'emergenza sono dovuti a loro. E a loro si deve lo stato dell'Asm ed il fatto che il preventivo del 2012 nemmeno era stato approvato. La città questo lo sa. E sa che sindaco e giunta hanno cominciato a risparmiare cominciando da sé, riducendosi il compenso del 30%.

La città può capire che restare nei limiti di un riequilibrio di bilancio di 2,3 milioni di euro, che vuol dire sacrificare domande che vengono dal sociale, ponendo dei limiti strettissimi a ciò che appare indispensabile, non deve essere facile per uno che arriva da una cultura politica di sinistra radicale. Ma è il destino di chi passa dall'utopia teorica alla prassi di governo. Forse è da questo che nasce la sua insicurezza. Forse.

Ma forse l'insicurezza nasce anche dalla consapevolezza che trasformare un gruppo di brave persone, quasi tutti alle prime armi nel ruolo difficile di assessore (e qualche conflitto d'interesse), in una squadra capace di operare in modo omogeneo è qualcosa di enormemente complicato. Questo, forse è il punto più delicato. Una giunta come quella scelta dal sindaco richiede una cabina di regia con un regista che sa esattamente quale film vuole girare. Quale città vuole aiutare a crescere. Quali interessi si vogliono servire.

Una cosa complicata per un vendoliano figlio di una borghesia non illuminata (a Rieti è così) e votato dal Pd, ovvero da un partito di centro sinistra riformatore, diventato sindaco grazie alle strambe primarie di coalizione del partito di Bersani e ad una ottima campagna elettorale ( per sua ammissione pagata dal padre). Occorre un equilibrismo notevole.

La squadra per ora non c'è e non sembra essere prossima a venire. La mancata coesione tra gli assessori è stata evidenziata dallo “ scontro” pubblico tra l'assessore Cecilia e la vicesindaca Emanuela Pariboni sui piani integrati. E l'osservatore attento ha la netta percezione che tutti stiano“ ballando”da soli. Belli i programmi. Facili i programmi. Il difficile è realizzarli. E quando il gioco si fa duro per qualcuno non resta che la fuga. Ma è solo un indice di debolezza. Ed è sbagliato.


sabato 29 settembre 2012

La disarmante consigliera Nobili e la trasparenza di Melilli

La consigliera regionale del Pdl Lidia Nobili è disarmante. Parlare con lei del terremoto che sta scuotendo il suo partito regionale significa ricevere una prospettiva che sfugge all'ordinarietà del pensiero. “ In fondo con i soldi che i gruppi regionali ricevono si dà lavoro ed io ho li ho spesi sul territorio”, dice. Difficile darle torto sul principio che mettere soldi in circolo fa bene al mercato ed al lavoro. Peccato che il discorso valga anche per quelli spesi per donnine, ostriche e champagne; per quelli della mafia ( nessun accostamento, si intende con la consigliera la cui onestà non si mette in dubbio) o per quelli del mercato nero, regno dell'evasione selvaggia.

E peccato che i principi di utilità e di produttività siano colonne portanti di contributi pubblici. A chi e a cosa servono? Per ottenere cosa? Se si spendono per ottenere una migliore sanità e migliori scuole portando sul posto chi decide per essi, è una cosa, se servono solo ad essere eletti in tre consigli istituzionali è un'altra.

L'unico argomento su cui non si fa fatica a convenire è che l'utilizzo di Lallaria, azienda di strategia comunicativa di Paolo Campanelli è stata una legittima scelta fatta per stima ed amicizia, oltre che per la volontà di spendere i soldi regionali sul territorio. Paolo Campanelli è un professionista di riconosciuta capacità oltre che di autonomia mentale. Ha lavorato con l'Apt al tempo della direzione di Di Paolo e per cinque edizioni della rassegna “ I giorni di Francesco”, un'iniziativa dove Nobili assessore comunale, ne ha sperimentato l'efficacia da cui è nata la decisione di continuare a servirsene.

Si può convenire anche che sostenere o semplicemente alludere al fatto che Campanelli non sia più credibile nella sua attività di cittadino impegnato politicamente: candidato nelle ultime amministrative a Fara Sabina con “ Sabina virtuosa”; candidato alle ultime amministrative comunali reatine con “ Rieti virtuosa” e fondatore di una associazione che si batte da anni contro la nascita del Polo della logistica, “Sabina Futura”, perchè ha lavorato per Nobili, rientra nella strategia del “ sospetto” che ormai sta inquinando la nostra vita pubblica e civile da cui nessuno sembra salvarsi. E' un modo per dire: tutti colpevoli, nessun colpevole” e lasciare le cose come sono. E invece, evangelicamente la “ verità” si raggiunge distinguendo il grano dal loglio. Lallaria è una cosa. Quello che fa il cittadino Campanelli è un'altra.

Ma quello che scrive il presidente Melilli su Facebook può anche avere il suo senso. ”Se si guida un movimento che fa della trasparenza ed il rigore il suo faro, credo si abbia qualche dovere in più. Non ci si salva dicendo che la contabilità è a posto, ci mancherebbe non lo fosse. Ci si salva rendendo pubblici alcuni dati. Proviamo:quanti incontri sono stati fatti. Quali e dove? Quanto è costato ognuno? Quali le voci di spesa? E qual era il titolo dell'incontro?” Domande legittime a cui il Campanelli politico non dovrebbe sottrarsi al fine di fugare ogni ombra di commistione col partito che lui ha sempre pubblicamente avuto come avversario.

Melilli invoca la trasparenza e quanto sta accadendo può rappresentare una grande occasione per promuoverla come strumento di democrazia matura, da sempre pallino solo dei Radicali e poi di Beppe Grillo. C'è da augurarsi che serva a far conoscere come spendono il contributo tutti i nostri consiglieri regionali: da Cicchetti a Perilli. Che divenga accessibile a tutti ogni rendicontazione delle spese delle campagne elettorali. Che finalmente ciò che è attività pubblica lo sia davvero. Riguardo alla rendicontazione sul lavoro svolto da Lallaria è faccenda che spetta soprattutto alla cliente Nobili.

Il presidente Melilli, quindi, fa bene ad invocare la trasparenza, ma quando Marco Giordani, sempre su Facebook, gli ricorda di non aver dato seguito all'Anagrafe Pubblica degli Eletti, deliberata dal Consiglio provinciale da due anni, promossa da Sabina Radicale e voluta da Vincenzo Ludovisi, la risposta è a dir poco avvilente: “ Ho scritto ripetutamente a tutti perchè lo facciano. Anche per un problema di coerenza(l'hanno votata loro)“. Risposta disarmante quanto quelle di Nobili. Si ha l'idea di un presidente impotente nella sua funzione e sostanzialmente distante dalla decisione presa in merito alla trasparenza. Lui ha fatto la sua parte? Ha pubblicato il suo status?

Si ha l'idea, soprattutto, di una classe politica ormai confusa ed analfabeta su quello che spetta ai rappresentanti istituzionali. Ad essi non compete distribuire soldi e lavoro. Ad essi spetta creare le condizioni per favorire la produttività e la nascita dei posti di lavoro che non vanno considerati una elargizione, favori, ma opportunità di vita, di dignità e di messa a frutto di meriti e competenze. Ad essi non spetta nemmeno rinfocolare polemiche ma far rispettare regole e delibere.

Che Vincenzo Ludovisi, Pd, utilizzi la vicenda come lotta politica è nell'ordine delle cose. A lui va fatto notare, tuttavia, che la conoscenza di 14 milioni 985.544 euro dati ai partiti, mentre si chiudono ospedali e scuole, la si è avuta soltanto per faide interne al Pdl e, soprattutto, alla coerenza radicale, non alla decisa opposizione dei consiglieri del suo partito. Né l'attività del partito di cui è segretario provinciale può vantare la trasparenza che oggi si chiede agli altri. Se il consigliere regionale della Lista Bonino, Giuseppe Rossodivita, non avesse pubblicato il bilancio del suo gruppo sul sito internet del partito radicale non avremmo contezza dell'ammontare vergognoso del “ contributo regionale” per i partiti, mentre si chiudono ospedali e scuole.

La consigliera Nobili mi fa notare che con i soldi ricevuti i consiglieri pagano anche i portaborse, tra cui qualche giornalista reatino che, per questo, non può vantare una libertà di stampa al di sopra di ogni sospetto quando scrive di lei e di Campanelli. Una qualche ragione le va riconosciuta, ma quando le regole, scritte e non scritte, diventano un pasticcio confuso, distinguere il lecito dall'illecito, il giusto dall'ingiusto, l'opportuno dall'inopportuno, ciò che compete alla legge da ciò che spetta al politico, è un esercizio faticoso e sfuggente come afferrare un ramo fragile mentre si è risucchiati dalla melma di una palude. Eppure va fatto.

P.S. Apprendo dal presidente Melilli che tutti i suoi dati sono stati pubblicati. Sia il reddito precedente la sua elezione che quello attuale, nonché il patrimonio proprio e della famiglia.
Me ne compiaccio e mi scuso per la svista, auspicando che lil buon esempio sia seguito da tutti e che tutto sia di facile reperibilità per i cittadini

Le “tabelle” al tempo di Marrazzo e Polverini


Sono tutti uguali? No, non sono tutti uguali ed il “tuttougualismo” applicato in politica ha come effetto soltanto di nutrire il pericoloso populismo e lasciare le cose come sono. Bisogna distinguere le responsabilità. Lo ripeto da tempo e me lo impongo, anche se è difficile difronte ad una partitocrazia senza principi e velleitaria. Ad ogni scoperchiamento del malaffare si assiste alla parodia della resipiscenza, del ravvedimento, anche se tardivo e della riparazione. E poi?

E poi si arranca in una battaglia senza fine tra ciò che dovrebbe essere e ciò che riesce ad essere. Il Presidente Fini ha proposto la certificazione esterna dei bilanci dei partiti ed è stato bloccato da Pdl e Lega. Solo grazie al timore della perdita di consenso prodotta dall'informazione ha ottenuto di poter inserire la novità nel regolamento della Camera. Polverini, solo dopo le notizie emerse dalle faide interne del Pdl, ha usato un consiglio straordinario per bacchettare con enfasi guascona e riferimenti personali a “tumori da estirpare”per chiedere che la Regione riduca gli sprechi. Per ora è rimasta al suo posto, insieme agli spreconi. Il tempo ci dirà se alle dichiarazioni seguiranno i fatti.

Ma non sono tutti uguali. Al tempo di Storace esistevano le “ tabelle A e B”, finanziamenti in dotazione dei consiglieri con cui si finanziavano a pioggia e senza trasparenza alcuna associazioni, pro loco, enti locali. Molte sagre paesane ne erano il risultato. Ma la cosa peggiore era la non tracciabilità delle spese. Con l'arrivo di Marrazzo, portato alle dimissioni da una vicenda personale tanto grottesca,quanto finita con nessuna condanna: Marrazzo, ha stabilito la Cassazione, fu vittima di una imboscata tesa da alcuni carabinieri, le cose cambiarono.

Luigi Nieri, Sel, assessore al bilancio, tentò di eliminare la dotazione personale dei consiglieri introdotta da Storace, ma non ci riuscì. I capogruppo dei partiti dissero senza mezzi termini :” Non rinunciamo. Senza “ tabelle” il bilancio non passa”. E così al povero Nieri non restò che accontentarsi dello sconto. I soldi ricevuti passarono da 700mila a 350mila. Non solo, si introdussero tutta una serie di controlli per accedere ai finanziamenti previsti dalle tabelle A e B ( presumo che avessero a che fare con la spesa corrente e quella in conto capitale. Ma potrei sbagliare).

Quello che prima era fuori bilancio finiva nel bilancio regionale. Quello che prima era gestito arbitrariamente e senza computo ora veniva deciso in base alla vera utilità dai diversi assessorati a cui arrivavano le richieste. Una sagra era sovvenzionata dall'assessorato alla cultura, se ritenuta un evento culturale. Quella di leonessa della patata, lo è. Un comune che aveva urgenza di realizzare un'opera pubblica ( la strada del Turano, per dire) inviava domanda e progetto che, dopo l'analisi, veniva accolto dall'assessorato alle opere pubbliche. Anna Maria Massimi, consigliera regionale, con i soldi a disposizione ha sostenuto opere come il recupero di Villa Battistini a Contigliano e l'acquisto di un gommone per la protezione civile. Per dirne alcune.

Con Marrazzo si faceva così. Con l'arrivo di Polverini, tutto è tornato come ai tempi di Storace. Le regole introdotte sono finite in gloria. I partiti, particolarmente quelli della maggioranza, hanno fatto pessimo uso, si può supporre, della inesperienza di una ex sindacalista. La quale tuttavia, usava come gli altri i fondi elargiti tanto generosamente da lei stessa in quanto presidente di Regione. Da quanto dice, a sua insaputa. Ma Marrazzo aveva la stessa inesperienza quando impose ai partiti di introdurre regole e trasparenza.

Tutto dipende dal manico, diceva mio nonno. E se Storace e Polverini hanno prodotto lo stesso risultato dipende solo dalla medesima cultura politica con cui governano. Senza la segnalazione di Bankitalia sulla irregolarità delle spese del Pdl in regione, le faide interne, la fissa della trasparenza dei radicali, nulla sarebbe successo. Si sarebbe continuato ad incassare ed a spendere senza criterio. Nulla si sarebbe fatto per ridurre le commissioni :19, mentre in Lombardia ce ne sono 8. Polverini, che in consiglio ha tuonato contro di esse, avrebbe continuato a tenere nel cassetto le proposte per ridurle.

“Chiedo nuovamente al presidente Abruzzese la discussione in aula della mia proposta, depositata il 22 febbraio scorso per la diminuzione delle commissioni permanenti da 16 a 9. Ciò consentirebbe un risparmio di circa 9 milioni di euro” ha detto in aula, a luglio, Giuseppe Celli, capogruppo di una lista civica. E troppo tardivamente arriva la decisione del Pd di dimettersi dalle commissioni ( cosa consigliata da tempo da Melilli. Inascoltato). Cosa che apre alla tentazione “tuttougualista”, ma le responsabilità della maggioranza vanno ben distinte da quelle ( che pure ci sono) dell'opposizione.

E che dire dei 17 gruppi consiliari? Di staff ignoti anche ad Obama:17 persone per Sentinelli.E delle auto blu? E dei vitalizi dati anche ad esterni? E dell'appalto per la costruzione di una nuova ala del Consiglio per un importo di 7.939.360 euro che tra una cosa e l'altra arrivano a 10 milioni di euro ( metà dei 20 che dovrebbero essere risparmiati per questo anno a detta di Perilli). Sprechi. Sprechi di una cultura da tempi delle vacche grasse, quando si dava l'illusione al Paese di vivere in un Eldorado costruito con il debito pubblico.

Una cultura ben descritta da un racconto che mi fece una volta Massimi. Ogni consigliere regionale poteva spendere 500 euro al mese in giornali. La neo-politica, pescata nella società civile senza preavviso e spedita con listino in regione, non riuscendo ad impegnare mezza giornata per leggersi la montagna di giornali che avrebbe potuto comprare con quella cifra, ne spendeva 150 o giù di lì. Venne invitata ad usarli da qualcuno. Come si dice : guai a dare il “ cattivo” esempio. Oggi Massimi non ha firmato l'interrogazione comunale sulla vicenda Nobili-Lallaria. La sua scelta la qualifica per quello che è: una dirigente di scuola arrivata alla politica credendo fosse una cosa seria.

L'orgoglio di essere cittadino


9 milioni di ragioni per eleggere Polverini posson bastare? Per dirla senza Battisti, possono 9 milioni di euro, tanto è costata la sua campagna elettorale, spiegare la scelta di Polverini da parte degli elettori laziali? Purtroppo sì. Quei soldi sono stati sufficienti ad azzerare il ricordo di ciò che era stata l'occupazione forsennata della Pisana da parte di Storace con tutta la scia degli scandali sanitari e non solo. Quei soldi sono serviti, purtroppo, ad addomesticare un elettore per nulla restio all'addomesticamento. Un elettore che oggi paga lo scotto del suo analfabetismo civile.

Ma se è vero che sbagliando s'impara, quello che accade oggi all'Italia, imbastardita culturalmente dal ventennio berlusconiano, dove è stato sdoganato di tutto, ma soprattutto la spudoratezza, può diventare una occasione da non perdere per gli italiani di uscire dalla condizione di sudditanza nei confronti del potere e diventare finalmente cittadini. Perchè non basta che sulla Costituzione si parli di “ cittadino” per esserlo davvero.

E come si diventa cittadino? Semplicemente con l'orgoglio di esserlo. La vera patologia di questo paese nasce dalla storica inclinazione etico-culturale a barattare il diritto col favore. Lo ripeto, ormai, da troppo. Dalla propensione nazionale a far progredire la “ linea della palma”, l'illegalità., dal Sud al Nord, come scriveva Sciascia nel “ Il giorno della civetta”.

E sempre Sciascia spiega l'insensibilità degli italiani verso l'illegalità ( finchè non tocca da vicino gli interessi propri) con il nostro familismo amorale. Quello che tutto giustifica con il “ tengo famiglia” ed i figli “so' piezz e core”. Tutto viene subordinato alle proprie necessità ed a quelle dei propri figli, inteso nel senso ampio di parentela, costi quel che costi. E' da qui che nascono le parentopoli e le correità allargate e diffuse che troppi italiani coinvolgono e accettano. E' questo che, nonostante tutto, tiene in piedi un sistema che sta scoppiando soltanto perchè i soldi sono finiti.

In tanti rimproveriamo all'opposizione di aver taciuto su quanto stava facendo la maggioranza che governa la Regione Lazio. Di aver partecipato alla spartizione dei 14 milioni di euro dati ai gruppi consiliari. Di non aver fatto quanto spetta alla minoranza:“ la minoranza controlla e contrasta l'azione di governo” è scritto sul sito della Regione Lazio. In tanti notiamo che ad aver sempre denunciato tutto sono stati solo i due consiglieri radicali. Talmente soli da essere stati trascurati anche da chi ha il compito di fare informazione. Lo ascrivo anche a mio demerito.

Ma è giusto sottolineare anche le responsabilità degli elettori.

L'opposizione non ha fatto la sua parte e l'informazione, con l'eccezione di qualche testardo giornalista ( come Stella, Rizzo, Bonini) ha atteso che arrivasse la mano della giustizia per accorgersi di quello che stava succedendo. Anzi, sono emerse pesanti contiguità tra politica e informazione. Né sembra di poter contare sull'efficacia della vigilanza della Corte dei Conti. A questo punto l'elettore se ne faccia una ragione: ora tocca a lui. Nulla cambierà se al momento del voto non smetterà di utilizzare come criterio di scelta la convenienza personale.

Nel 1999 mi capitò di leggere l'omelia del Cardinale Martini in occasione della festa del patrono di Milano, S. Ambrogio. Ne rimasi abbagliata. Incontrai per la prima volta la “ parresìa”, concetto mutuato dalla cultura classica e penetrato fortemente in quella evangelica. Parresìa significa “ libertà di chiamare le cose col proprio nome”. E' l'esatto contrario dell'accidia civile e della “ neutralità appiattita , della paura di valutare oggettivamente le proposte secondo criteri etici, che ha quale conseguenza il decadimento della sapienzialità politica”, disse il cardinale.

Il cardinale Martini è morto il 31 agosto scorso, ma le sue parole sono incredibilmente vive.
La classe politica è ormai travolta da una metastasi etica difficilmente curabile. Soprattutto è impossibile che il malato si autocuri. Anche le migliori intenzioni, temo, non serviranno. Quello che serve è una rapida inversione di rotta da parte dei cittadini. Ritenere che sia giusto votare qualcuno perchè ti invita ad un aperitivo o ad una cena è stupido ed autolsionistico, perchè è un baratto utile solo a chi offre qualcosa per ottenere in cambio molto di più. Un di più comprensivo anche del bene di chi lo ha votato.

Accettare che ad occuparsi dei propri interessi siano personaggi di inesistente spessore politico e di non accertata competenza ( Bonino lo era) è responsabilità di chi vota con miopia, tanto quanto di chi li propone e li sostiene. Abbiamo visto ridurre progressivamente i servizi mentre le tasse aumentavano ed aumentano. Abbiamo visto chiudere ospedali in cambio di niente. In Regione da due anni è ferma l'approvazione di una delibera che assegna 16 milioni di euro per non far pagare il ticket ai disabili, mentre proliferavano gli sperperi. Questo è stato fatto perchè si è consentito che Itaca venisse occupata dai Proci. Una eventualità non solo letteraria in una democrazia di debole cultura civile come è la nostra.

Qualcuno dirà che Nobili, tra i protagonisti principali del Laziogate, non è stata eletta, visto che è diventata consigliere grazie al famigerato premio di maggioranza chiamato listino. Ma è stata eletta recentemente nel Comune di Rieti e siede anche tra i banchi del Consiglio provinciale. E Cicchetti, al di là delle cose che gli vengono attribuite, ha chiesto il voto per sé per portare alla vittoria una ex sindacalista senza altra qualità che buone comparsate televisive.

Come è stato eletto Gianfranco Gatti, ex sindaco ( non rimpianto da quanto mi è capitato di sapere) di Pescorocchiano, fermato sulla terza candidatura solo dal povero Mauro Mattucci. Uno molto vicino a Polverini, Gatti, essendo il segretario della sua lista e grande protettore, da quanto mi dicono, del consigliere comunale Davide Festuccia, eternamente presente nei banchi comunali di Rieti, nonostante rinvii a giudizio e molteplici vicende legate a conflitti d'interesse e quant'altro. Consiglieri entrambi eletti, per chissà quali meriti, Gatti, Festuccia e Nobili (ma l'elenco è lungo). Per chissà quali effetti benefici sul territorio e sulla città. E' una domanda che rivolgo, ancora una volta, agli elettori.


Giovani ubriachi e l'insipienza politica


Renata Polverini non sapeva. Dopo le tardive dimissioni la governatrice “per caso “ ora si difende con l'argomento: chi mi ha preceduto faceva peggio. Un argomento che non regge, se non altro per la semplice ragione che la destra ha chiesto la fiducia con la promessa di fare meglio della sinistra.

Nobili e Cicchetti pensano di ricandidarsi anche la prossima volta? Si accomodino. Alfano prima e Bersani ora promettono di non ricandidare nessuno degli uscenti. Polverini troverà qualcuno che pensa di regalarle uno scranno parlamentare? Lo faccia. Al popolo spetterà punirlo. Vedremo.

Intanto voglio raccontare un episodio che fotografa bene i risultati prodotti a Rieti da chi sembra non capire dove sono i veri problemi del paese, ammalati come sono di cieca autoreferenzialità: quello che conta è la mia ricanditatura; quello che conta è ciò che serve agli addetti ai lavori e al partito.

Voglio raccontare in che modo è massacrato un paese stravolto dalla crisi culturale più di quella economica ( stanca di dirlo! Non ne posso più) e che ha offerto alle nuove generazioni modelli licenziosi e di pratica ordinaria di illegalità piovuti sulla loro quotidianità dall'alto delle istituzioni. Modelli inimmaginabili, dice Napolitano. Ma come faceva il Presidente a non immaginare, quando nel nostro paese non si riesce ad avere la legge anti corruzione, riproposta con forza da Monti dopo essere stata approvata alla Camera e bloccata al Senato dal Pdl?

60 miliardi di euro l'anno è il costo della corruzione, scontato da tutti noi, normali cittadini.
Soprattutto dai disoccupati, cassintegrati, piccoli artigiani, professionisti onesti.

Lunedì scorso ho preso l'autobus per tornare a casa. Era tardi, ero stanca e non me la sentivo di rifare il ritorno a piedi fino al quartiere detto residenziale. Seduta in fondo, guardavo distratta gli alberi e la città che correvano all'indietro persa nei miei pensieri. Solo il volto stranito di un giovane ha attirato la mia attenzione. Era seduto con una biondina carina tenuta sulle ginocchia. Niente di strano. Strani erano solo gli occhi del ragazzo, privi di controllo, come le mani che si muovevano a scatti.

Lei era tranquilla e, senza nessuna preoccupazione di essere vista, ad un certo punto ha sollevato una bottiglia di vino rosso che teneva tra le gambe fasciate dai soliti fuseaux neri . Ne ha bevuto un lungo sorso e poi ha passato la bottiglia al compagno.

Erano ubriachi. Come lo era un altro giovane che sedeva dalla parte opposta del bus e che scambiava continui lanci di cellulare con la ragazza. La scena era agghiacciante. Tutti, da adolescenti abbiamo preso una sbronza. Tutti abbiamo provato cose proibite. Ma sapevamo che erano proibite. Quando avveniva lo si faceva di nascosto e nella consapevolezza che non era una cosa ben fatta. Quei giovani erano del tutto a loro agio nell'esibire la bottiglia di vino semi vuota che si passavano l'uno con l'altro, chiusi in una dimensione di solitudine assoluta.

Questo era agghiacciante: la loro solitudine. La distanza da tutto quello che li circondava. L'irraggiungibilità da qualsiasi scintilla di giudizio.

Non so se sia consentito a dei minori ubriacarsi su un mezzo pubblico. Non condanno gli adulti presenti che evitavano di guardare girandosi dall'altra parte. So perchè lo facevano: per la stessa ragione per cui io stessa mi sono limitata a guardare senza intervenire: è stato per senso d'impotenza. E' stato per resa. A che cosa sarebbe servito avvertire il conducente? Sarebbe servito ad aiutare quei poveri ragazzi? Anche adesso non mi viene in mente un'azione che avrei potuto fare.

Avrei voluto provare a parlarci per dire loro che provavo dolore nel vederli in quello stato e così soli. Ma ho taciuto per impotenza. Niente, non c'era niente da fare, per le ragioni che seguono.

Se il conducente fosse stato avvertito cosa sarebbe successo? Se fosse intervenuto come l'avrebbero presa i genitori dei ragazzi, sicuramente minori? E se fosse stata coinvolta qualche autorità? Come sarebbe finita? Come si sarebbe dispiegato il beneficio della giustizia? Domande a cui, purtroppo, so rispondere.
All'inizio dell'estate ho parlato a lungo con la dottoressa Maria Di Fazio, responsabile del Centro Diurno per tossicodipendenti ed alcolisti di Rieti. Il panorama descritto era disastroso e sconfortante quanto la vista dei giovani ubriachi. L'accesso alle sostanze, sia stupefacenti che alcoliche, è sempre più precoce. Si parla di ragazzini delle medie. I benemeriti progetti della Asl per la promozione della salute e la prevenzione nell'uso delle sostanze, da realizzare a scuola , non bastano. Serve una diffusa coscienza collettiva del dovere di assicurare alle generazioni future la speranza di una vita migliore di quella dei genitori.

I libri comprati da Cicchetti con soldi pubblici servono a questo? E gli incontri di Nobili “ La Regione incontra Rieti”? Nel 461 Pericle sapeva cosa serviva. Chi oggi amministra e governa lo ignora. Giovane e meno, maschio o femmina, nuovo o navigato, in troppi pensano che occuparsi della cosa pubblica sia solo prendere voti, ricevere posti per cooptazione senza corrispondenza tra competenza e funzioni ricevute come dono politico; assicurarsi carriere e benefici senza merito. E ignora anche le conseguenze della propria insipienza. Questa è la vera tragedia.

domenica 20 maggio 2012

Rieti e l'Italia hanno detto no al terrore Sottotitolo: Brindisi come Utoya. Quando si colpiscono i giovani si colpisce la carne viva di una società


L'impressione suscitata dall'attentato alla scuola di Brindisi intitolata a Morvillo-Falcone si è potuta misurare dal fatto che tutti i networck del mondo gli hanno riservato un enorme spazio, da Aljazeera alla CNN, e dal numero delle manifestazioni spontanee che hanno riempito le piazze d'Italia. Rieti compresa. L'attentato di Brindisi non ha avuto nulla a che vedere, per fortuna, in termini di quantità con la strage di giovani compiuta in Norvegia il 23 luglio dello scorso anno, quando a morire per mano di un delirante terrorista furono in 69. Ma la qualità è la medesima. Quando si colpiscono dei giovani si vuole colpire la carne viva di una società.

Ad uccidere gli studenti norvegesi in vacanza sull'isola di Utoya fu una mano armata dall'ideologia ultra nazionalista. Breivik, nome dell'assassino, ora in carcere in attesa della condanna, è un poveraccio avvelenato d'odio narcisistico verso chiunque avesse connotati identitari diversi dai suoi. Chi ha colpito a Brindisi è ancora sconosciuto. Ancora non ha un volto, ma si può supporre, chiunque sia, che condivida con l'autore della strage il medesimo risentimento verso la vita che è nel pieno della sua fioritura e che ossigena gli spazi abitati di futuro . E quale spazio migliore di una scuola per far risuonare la vita ed il futuro?

“Con la scuola di Brindisi sono state colpite tutte le scuole d'Italia”, ha detto il procuratore Grasso, aggiungendo che si tratta di “ terrorismo puro”. Se il terrorismo, per sua natura, ha lo scopo di seminare insicurezza, non c'è dubbio che l'intento di chi ha colpito, si tratti di un gesto isolato o meno, è stato quello di privare la scuola della sua natura protettiva. Non c'è nulla di peggio, per un genitore, che vivere il luogo dell'istruzione come un pericolo invece che come uno spazio dove il proprio figlio va a formarsi per diventare un adulto consapevole, un cittadino creativo e capace di produrre, non di sperimentare la distruzione.

Chi colpisce una scuola è un vigliacco. Come chi, armato, spara su giovani inermi in vacanza su un'isola. Una comunità ferita che sa reagire con partecipazione civile, come è avvenuto ieri in Italia e lo scorso anno in Norvegia, è in grado di sconfiggere qualsiasi volontà distruttiva da parte di singoli, gruppi organizzati, ideologi del terrore razzista, criminalità organizzata, folli rinchiusi nella solitudine con i propri fantasmi. Le piazze d'Italia hanno detto a chi ha colpito a morte la giovane Melissa e ferito gravemente altri studenti ( ferite che lasceranno segni odiosi sul corpo e nella mente) che ha fallito. A Rieti, come altrove, l'odio ha suscitato solidarietà oltre ogni steccato.

A poche ore da elezioni che hanno suscitato, come è normale in ogni democrazia, polemiche forti, a volte sciocche, tra avversari, in tanti ci siamo ritrovati nella piazza del Comune, in un girotondo intorno ad una pila di libri portati dai manifestanti, sotto le bandiere a mezz'asta della Provincia. Sinistra, destra, radicali e moderati, ci siamo ritrovati insieme, come un'orchestra dove la differenza dello strumento ha l'unico scopo di produrre la stessa musica. E' stata la risposta migliore a chi, in balia di chissà quali demoni, ha voluto spezzare vite, produrre dolore dove fioriscono amicizie, isolare nella paura, rinchiudere nella propria insicurezza.

“ Abbiamo vinto noi”, hanno detto i sopravvissuti di Utoya al processo di qualche giorno fa. Ieri l'Italia ha detto: vinceremo noi. Ora spetta alle istituzioni ed alla macchina investigativa dimostrare che lo Stato c'è ed è in grado di rispondere con rapidità e perizia alla domanda di giustizia degli italiani.  

lunedì 23 aprile 2012

Se a guidare la politica è il cervello arcaico. Dal voto clientelare alla sanità che traballa. Montalcini ci aiuta a capire il perchè


Noi umani, insegna Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la medicina e senatrice a vita che ha festeggiato in questi giorni i suoi 103 anni, possediamo due cervelli, quello “arcaico”, involuto e bloccato alla condizione in cui era circa 3 milioni or sono, quando la sopravvivenza era lo scopo della vita, e quello “ cognitivo”, risalente a 150.000 anni fa, quando nacque il linguaggio, attività legata alla relazione. Il primo è piccolo, ma potentissimo. Guida le emozioni, l'istintualità difensiva ed offensiva. E' questo che scatena le guerre e che porta alla miopia emotiva, all'egoismo. L'altro è alla base dell'agire mediato dall'analisi, della comprensione dei fenomeni più complessi, dell'altruismo e del senso etico.

Il “cervello cognitivo” è strettamente interconnesso con la cultura e la conoscenza. Più cresce la cultura, più cresce l'attività cognitiva: “ L'evoluzione culturale alimenta la neocorteccia, sede del cervello cognitivo”, spiega Montalcini. Non fanno eccezione la cultura civile e quella politica. Più si diffondono queste, più capiamo che coltivare il proprio piccolo orticello vale meno del condividere il benessere con gli altri. Più cultura abbiamo, più conosciamo, più siamo in grado di scegliere oculatamente: “ Conoscere per deliberare”, diceva Einaudi.

Più cultura si ha, inoltre, meno si è agiti dal fascino esercitato dal potere in sè e dai vantaggi assicurati a scapito di altri. E' grazie alla cultura civile che si sviluppa l'esigenza della giustizia e della responsabilità. Senza quella, lo spazio pubblico appare più un campo di conquista e di licenza che luogo collettivo organizzato da regole da rispettare. Partendo da questo assunto, quello che ha indotto i partiti a diventare le “macchine di potere” di cui per primo parlò Berlinguer ( se fosse vero che l'antipolitica è il rifiuto dei partiti ad inaugurarla sarebbe stato proprio il segretario del Pci, anche se la sua analisi escludeva il suo, di partito) è stato il cervello più piccolo e rozzo.

E' lui che ha guidato i dirigenti responsabili della degenerazione e della crisi che oggi si sta mostrando in tutta la sua portata. E' sempre lui che fa avvertire come prevalente il proprio “ particulare” su tutto, dando spazio alle pulsioni più primitive: non importa quello che succede agli altri. Io penso solo per me. E' sempre il cervello arcaico che fa considerare il clientelismo una regola del gioco elettorale e non una sua degenerazione. Chiedere il consenso per gestire la cosa pubblica, come si fa da sempre, e ancora, da noi, non per i meriti posseduti, ma con promesse di favori personali, sempre più difficili da mantenere, ha voluto dire bloccare la nostra cultura civile ad uno stadio primitivo della democrazia.

Per evolvere bisognerebbe rinunciare a questa specie di “negozio” tra bisognosi, ma occorrerebbe una cultura politica che andasse oltre l'obiettivo della pura sopravvivenza ed una decisione generale di evitarlo. Perchè chi oggi vi rinuncia, in solitudine, ponendo sulla bilancia elettorale solo i propri meriti, rischia di ricevere meno consenso di chi da decenni occupa posti di comando combinando disastri. Senza cultura civile, è inevitabile, perchè eletto ed elettore sono mossi entrambi dal medesimo cervello arcaico.

Lo stesso cervello che fa trovare normale la bulimia verso doppi, a volte tripli incarichi pubblici. Quello evoluto suggerirebbe di assicurare la difficile amministrazione della res publica nelle mani di persone di specchiata passione civile, non a scalatori finalizzati all'occupazione di posizioni di puro guadagno ed all'autoconservazione. Scalatori indifferenti verso la sofferenza delle persone provocata dalla loro inefficacia politica. Di fronte a questo, il cervello cognitivo s'indigna. Come s'indigna quando la Cgil rimprovera i lavoratori per aver denunciato alla procura della Repubblica la condizione sciagurata dei dirigenti della Coop 76, quando essa stessa ha taciuto quando bisognava alzare il velo su quanto stava accadendo, prevenendo il prevedibile disastro.

Come si stupisce vedendo impennate sociali nella difesa di servizi rilevanti soprattutto per chi li presta, come oculistica di Magliano, capendo che il vero problema sta nello smantellamento dell'ospedale provinciale De Lellis, iniziato con l'arrivo di Polverini e non con la tardiva denuncia di Gianani. Forse anche il direttore generale si è fatto guidare dal cervello arcaico quando con solerzia esecutiva ha tagliato ospedali senza avere alcun progetto che ne prevedesse la compensazione con la medicina territoriale.

Ora il dottor Gianani, sempre più in “ dispitto” della pessima governatrice, ha scatenato la protesta, sollevando la questione dell'insufficienza operativa del nostro ospedale per carenza di personale e della possibile chiusura del reparto neonatale ( nessuno nascerebbe più reatino). Avrà agito in base ai suggerimenti del cervello cognitivo? E con quale cervello si è deciso di attivare in tutte le province laziali il progetto dei laboratori Med, integrazione dell'attività di pronto soccorso, meno che a Rieti?

Vorrei chiudere con un paio di altre domande. Semiserie, perchè senza ironia siamo solo in balia della rozzezza arcaica: quale cervello userà il comandante Aragona quando si abbandona alle sue “ aragonate”? E quale, il quasi uscente sindaco Emili, quando si abbandona alle sue “ emiliate”?