sabato 19 novembre 2011

Se l'Ici fa più paura del default


All'estero tutti si sono domandati per anni cosa fosse successo al nostro paese, guidato da una personalità tanto attratta dal comando, quanto poco disposta ad indossare panni da statista. Le corna fatte in una foto di gruppo istituzionale, la telefonata mentre Merkel aspettava basita, il famoso e sgradevole a dirsi bunga-bunga, le amicizie cafone e chi più ne ha più ne metta, sono state vissute con divertimento solo da chi sottovaluta il valore dello “ stile” in chi è chiamato a decidere per una nazione. Come e più del solito in questo caso la forma è sostanza.

Chi scrive non si è divertita. Negli anni ho misurato gli effetti che l'Italia ha subito dal quasi ventennio berlusconiano: Impoverimento di ricchezza, di cultura, di senso del limite, di capacità di apprezzamento del bello come misura ed equilibrio; impoverimento di risorse umane. E' quotidiana l'esperienza di giovani italiani e reatini fuggiti all'estero. E' quotidiana la scoperta di nuove esasperazioni di diverse categorie sociali e produttive. L'Italia non è un paese povero, o almeno ancora non lo è in modo vistoso. L'Italia è un paese improduttivo e sfiancato dal debito pubblico.


Da troppo tempo il nostro paese è prigioniero di interessi singolari, di posizioni di rendita, di categorie gelose di privilegi acquisiti che non si vogliono mollare, costi quel che costi. E tutto questo tende a permanere mentre l'Europa e il mondo sono scossi da trasformazioni epocali. Il '900 ha portato via con sé un mondo straordinariamente diverso dall'attuale. Quando si dice globalizzazione non si pensa mai abbastanza al suo significato. Oggi le nostre vite non sono più all'interno di perimetri cittadini o nazionali. Oggi il perimetro è il mondo.


Il mercato e la finanza, in tutto ciò, producono effetti complessi e bisognosi di altrettanto complesso governo. A noi poveri mortali non resta che cercare di confidare nel buon senso e nella perizia di chi ha il compito di prendere decisioni. Del bellissimo discorso fatto dal professor Monti, ora capo del Governo, ho condiviso con emozione tutto. Un passaggio, tuttavia, mi è sembrato particolarmente apprezzabile. E' stato quando ha sottolineato l'ingiustizia del sentimento di antipolitica che ci caratterizza da tempo.


Come lui ritengo che la società civile non sia migliore della classe politica. Leggendo oggi quanto scritto nell'articolo intitolato” Paolucci(Uil):con reintroduzione Ici tassa da 56 euro per i reatini” ne ho avuto ulteriore conferma. Mi domando come sia possibile che un sindacalista scriva cose del genere. L'abolizione dell'Ici sulla prima casa, (tassa presente in tutta Europa), è stata una scelta tanto demagogica quanto sciagurata. Ha prodotto l'impoverimento dei comuni, costretti quasi tutti ad operazioni “ creative” di bilancio per poter soddisfare il mantenimento di servizi pubblici.


Ha accelerato la devastazione ambientale, visto che quasi tutti i comuni hanno fatto uso dello strumento urbanistico per fare cassa. E se il sindacalista non se ne fosse accorto, il Governo è caduto non perchè avesse avuto la sfiducia o fosse andato in minoranza. E' semplicemente stato sostituito dal Presidente della Repubblica, il cielo ce lo conservi, perchè ritenuto non all'altezza del compito di governare la crisi galoppante di cui tutti ormai hanno contezza.


Senza piagnistei dovremo tutti accettare ragionevoli ed equi sacrifici. Dovremo farlo per senso di responsabilità e per la consapevolezza che l'alternativa è la recessione, ovvero la caduta nella povertà innanzi tutto di quelli di cui oggi sembra preoccuparsi il sindacalista. Fossi in Paolucci mi preoccupere, piuttosto, del tracollo della Ritel e dei tanti totem che bloccano la riforma del diritto del lavoro. E penserei alle centomila ritel italiane che l'ottimismo e la demagogia berlusconiana ha prodotto. Non è più il tempo di sortite speciose.

Le candidature raccogliticce del PD


l bailamme pubblico delle candidature che sta interessando il Pd, mentre il Pdl da tempo appare scosso da divisioni drammatiche, segnate anche da denunce come quella del sindaco Emili verso Costini, alla città, come alle sue stelle, non resta che stare a guardare. Ma qualche riflessione sul tema del “buono e cattivo governo” della città e sulla funzione di un sindaco male non farà. E dunque, cosa significa ricoprire il ruolo di primo cittadino?

 Va da sé che la qualità di un amministratore, dipende dalla funzione che gli si riconosce. Chi è interessato all'occupazione del potere, si curerà più delle conseguenze che ne derivano per sé o per la “ditta”, orrendo termine bersaniano per intendere il partito, che di rendere la città viva, vitale, accogliente e produttiva. In questo caso dopo l'elezione farà prima a tirar fuori dal cassetto il manuale Cencelli con cui scegliere i tecnici, gli assessori ed i collaboratori di varia natura che a ringraziare per la fiducia gli elettori. Le conseguenze sono danni a non finire a scapito della cosa pubblica.

È in nome dei danni compiuti dalla maggioranza che l'opposizione, di solito, le subentra. Quando, nonostante la portata dei danni, l'opposizione non riesce nel compito di mandare a casa la maggioranza, qualcosa di sbagliato c'è. E se invece di fare una onesta analisi di ciò che andrebbe mutato e migliorato, si perpetua nell'errore, non dovendo mai pagare per quelli computi, la sconfitta è scontata e meritata.

Se si dà, poi, l'impressione che un partito sia qualcosa di chiuso, in balia di poteri consolidati e non scalfibili, una specie di “cosa nostra” impenetrabile, strumento di conquista personale, puro esercizio di potere e di cooptazione per “famigli”, fedeli e familiari, da destinare a qualche posticino pubblico messo a disposizione dal consociativismo partitocratico (prescindendo dai meriti e dalle competenze), si fa un cattivo servizio al partito ed alla collettività. Al partito, perché difficilmente acquista consenso. Alla collettività, perché solo la competizione tra migliori aumenta la possibilità di governi migliori.

Il metodo, aveva ragione Cartesio, guida le scelte e ne tradisce gli intenti. Il metodo raccogliticcio che sembra guidare il Pd reatino nell'individuazione del suo candidato per le prossime comunali parla delle ragioni per cui da venti anni non riesce a mandare a casa la destra. Parla dell'assenza di strategia e di insipienza nel preparare per tempo il ricambio. Insipienza da cui nasce la necessità di ricorrere a proposte dell'ultimo minuto. Da decenni, le candidature arrivano sul filo dell'improvvisazione e del ripiego. Segno della limitata disponibilità di persone ritenute di qualità interne al partito.

Oggi, la scelta del “papa straniero” si deve soprattutto alle divisioni correntizie ed ai calcoli tribali. Tribalismo che prima di tutto esclude candidature femminili. Eppure di donne nel Pd ce ne sono. Ad iniziare dalla segretaria cittadina. Un tribalismo partitocratico dove ognuno cerca di arare il proprio campicello. Dove si sostengono candidature difficilmente vincenti (quelle più solide, Claudio Di Berardino e Paolo Annibaldi si sono allontanate subito dopo uno strano sondaggio). Candidature di ripiego, lo dico senza offesa.

E a proposito di divisioni. È da qualche giorno che su questo giornale compare il testo del comunicato di “Area Dem” (ex democristiani) che organizzava pullman per l'Assemblea Regionale di Roma di Giovedì tre novembre, in vista della manifestazione di sabato voluta dal segretario ex Pci, con la contrarietà di ex democristiani come Follini. Accanto al comunicato non c'è la foto di Anna Maria Massimi, segretaria cittadina del Pd, ma quella di Giuseppe Martellucci, coordinatore provinciale dell'area. Un tempo si sarebbe detto corrente. Una delle circa venti, aree nate nel Pd dopo il suo ultimo Congresso, dove si è esaltato il principio di unità.

L'area ha un non so che di immateriale e di arioso, non fa pensare ai confini chiusi che la perimetrano. Le correnti appena le nomini ti viene da starnutire. Eppure le aree per il Pd sono peggio di quello che le correnti furono per la Dc. Le correnti producevano lotte intestine, ma erano anche un segno di pluralismo dialettico, capace di produrre la famosa sintesi politica.

Chi votava per la Dc sapeva per cosa lo faceva. Le aree rappresentano la frammentazione della proposta, il tutto ed il suo contrario. Una moltiplicazione di posizioni che non rassicurano l'elettore. Che non convincono. Che irritano e deludono. E non è un caso che l'indebolimento berlusconiano non si accompagni all'aumento del consenso per il PD.

 Rischio che il Pd corre anche a Rieti dove la pessima prova della giunta Emili (mi scuserà il mio conterraneo, per cui, l'ho scritto altre volte e lo ripeto, provo sincera simpatia umana, ma tant'è) non necessariamente si tradurrà nella vittoria. E intanto nel cittadino cresce la sfiducia verso una politica che sembra aver smarrito il suo senso vero: governare al meglio la res publica. Forse a qualcuno conviene. Le stelle se ne ridono. Per i cittadini è una tragedia.

venerdì 18 novembre 2011

Asm: tra vertenze e inciviltà

Sono stata dal direttore generale Gianani per chiedergli se davvero le notizie diffuse da alcuni organi di stampa su difficoltà a portare avanti le sue strategie aziendali sono vere. La risposta è stata un'espressione tranquilla e un «non è vero niente». «Ma ho letto che ancora non avete presentato il bilancio e che anche Polverini sarebbe irritata per il suo operato, non rispettoso del decreto 80 sulla riorganizzazione ospedaliera», insisto.

«Se così fosse avrei ricevuto qualche chiamata. E invece le uniche telefonate che ricevo da Roma è per mettere a punto questioni tecniche. Riguardo al bilancio, il limite del 30 aprile è stato spostato al 3 giugno e non si possono decidere le strategie se non si conoscono le coperture su cui poter contare». «Ma qualcuno scrive che addirittura potrebbe lasciare l'incarico», lo incalzo. «Senta, io lavoro con i miei collaboratori tutto il giorno ed ho progetti importanti da portare avanti per la sanità sabina. Non ho nessuna intenzione di lasciare e chi dice queste sciocchezze non sa di cosa parla».

A questo punto ci sediamo e quello che segue sono le riflessioni prodotte da quanto ascoltato. Gianani ha ragione nel dire che gestire la sanità laziale, gravata da un debito che rappresenta il 30% dell'intero debito nazionale, dovendo rispettare le leggi nazionali ed i decreti regionali, richiede una bella dose di coraggio. Come ti muovi, ti fulminano. E chiunque fosse chiamato a farlo, se persona seria e non incline alla furbizia, di fulmini ne avrebbe ricevuti quanti ne arrivano a lui.

Pazientemente mi fa notare, con cifre e dati, che recuperare venti anni di arretratezze del sistema sanitario, in condizioni debitorie emergenziali, se non sei coraggioso ti mette solo voglia di dartela a gambe. E come non capirlo? Come non capire che dire ospedale “di” non significa specificarne la proprietà, ma denotarne solo l'ubicazione. Che una sanità che funziona produce buoni servizi e salute e non debiti.

Che le strutture sanitarie di una regione, dopo il decreto legge 56/2000 e l'abolizione del Fondo Sanitario, scaricano i loro disavanzi sul bilancio della Regione e che la visione proprietaria di un ospedale “sotto casa” è insensata, in quanto i costi ed i debiti che produce sono a carico di tutti, mentre non garantisce buone cure.

E davvero qualcuno può negare che i cittadini di Magliano, come quelli dell'intera regione, oggi scontano le colpe di una politica, di destra e di sinistra, preoccupata soltanto di non perdere i consensi e tutt'oggi demagogica nel far credere ai propri cittadini che chi chiude un ospedale non più al passo con i tempi “ attenta alla loro salute”?

Quello che serve oggi è un vero impegno a favore di un riordino sanitario, indispensabile e non rinviabile, rapido e democratico, che assicuri cioè prestazioni a tutti attraverso la medicina territoriale e che non faccia morire gli ospedali generali periferici come il nostro. Ospedale che con la nascita delle macroaree rischia di diventare solo un cronicario, come mi dice spesso Angelo Dionisi. Questi sono i problemi che abbiamo e invece sembra che tutto si risolva col salvare l'oculistica di Magliano.

Nonostante la distanza che mi separa dalla sua posizione politica, riconosco ad Antonio Cicchetti l'onestà ed il coraggio di dire le cose come sono: il Marini era una struttura - frutto di una donazione -un tempo indispensabile, ma capace da anni di assicurare solo posti di lavoro. Ma è difficile accettare la crudezza della verità. E anche in questi giorni si preferisce dar retta a chi diffonde false illusioni (vedi Nobili o Cicolani), mentre si fa del tutto per attaccare l'operato di un direttore generale che, nei limiti del consentito dalle condizioni date, cerca di assicurare iniziali presidi che alleggeriscano la condizione degli utenti della sanità.

L'aver dotato le farmacie del servizio di prenotazione per le visite specialistiche al Cup, è piccola cosa, forse, ma è stata fatta con poca spesa e sicuramente sarà di sollievo per tanti anziani che vivono nei territori periferici sabini. Come trovo apprezzabile l'impegno ad attivare l'Hospice, portando da 4 a 10 l'offerta di posti letto. Per non dire dell'emodinamica che si sta cercando di far funzionare per 24 ore.

E la proposta di utilizzare i duemila e passa metri quadrati, ormai inutilizzati, del vecchio ospedale Marini per la medicina integrata avanzata non è per niente una proposta pittoresca. L'agopuntura, l'omeopatia, ed altre medicine un tempo solo orientali, ormai trovano un largo uso in tutto il mondo. Diventare un centro di offerta di prestazioni mediche considerate ormai complementari a quella cosiddetta allopatica, aprirebbe il territorio maglianese e sabino ad un mercato di tutto rispetto.

Saluto il dottor Gianani mentre entra un indaffaratissimo Adalberto Festuccia. Siamo alle tre del pomeriggio. Non posso andarmene senza fare i complimenti al dg per essersene infischiato dello spoil system e per averlo confermato come direttore amministrativo.