martedì 24 maggio 2016
Sì al referendum costituzionale
Sarà una campagna referendaria lunghissima ed estenuante.Conservatori ( anche in buona fede) e progressisti ( anche in buona fede) si sfideranno in una gara ( si spera non una guerra) argomentativa che alla fine porterà il paese a scegliere se restare seduto o provare a camminare più leggero ( e ad evitare la noia di sentir promettere le riforme per un altro quarantennio).
Da laica non capisco la teologia della Costituzione di chi la considera intoccabile. Una Costituzione non è libro un sacro e non dovrebbe nemmeno avere la pretesa di essere " la più bella del mondo". Una Costituzione non dovrebbe avere, sinedri e Consigli sacerdotali deputati alla sua conservazione, ma reale attuazione.
E se solo si volesse andare a vedere con onestà quanto sia davvero applicata nei suoi principi alla realtà si vedrebbe quanto è disattesa. Oggi tanti giuristi e intellettuali si fanno più sinedrio che veri difensori del dettato costituzionale.
Quindi, cos'è una Costituzione? E' uno strumento storico, nato dopo eventi storici importanti, nel nostro caso il Fascismo, per dare organizzazione ideale e pratica a uno Stato. Visto che è uno strumento che deve aiutare la vita di una nazione e favorire la migliore esistenza dei suoi cittadini, ha bisogno di periodiche manutenzioni per essere resa più efficace nell'affrontare i problemi del futuro. Le riforme servono a questo. E mai vanno a toccare, nemmeno questa volta, i principi fondamentali.
I conservatori del No affermano che le riforme del governo Renzi non sono perfette. Giacchè il fronte del No è composito e va dall'estrema destra all'estrema sinistra, ognuno ha il suo pezzetto d'imperfezione da attribuire. Siccome continuo ad amare Popper concordo con lui quando in " Rivoluzione o riforme" scriveva " chiunque ha tentato di creare uno Stato perfetto, un paradiso in terra, ha in realtà realizzato un inferno".
Personalmente penso sia giusto votare Sì, anche accettando l'argomento dell'imperfezione, visto che nonostante le difficoltà del momento continuo ad avere fiducia nella democrazia e nella sua natura di governo imperfetto, basato sul rischio e la scommessa. Quando votiamo accettiamo sempre il rischio di scommettere su qualcuno. E se quel qualcuno ha tradito le attese la volta dopo si cambia.
Siccome non sono giurista e non voglio attribuirmi competenze che non ho, per motivare la mia scelta, molto fondata sull'idea che in un mondo che si fa sempre più complesso sia necessario il metodo della semplificazione, della governabilità e della riduzione degli sprechi ( vedi Cnel), mi servirò di persone competenti e, spero, in buona fede. per entrare con più perizia nel merito.
http://media2.corriere.it/corriere/pdf/2016/Le_ragioni_del_Si.pdf
giovedì 19 maggio 2016
Ciao caro Marco
Non vorrei parlare di me, ma la notizia della morte di Marco Pannella è come se mi avesse portato via una parte importante di un vissuto che quotidianamente, in un modo o nell'altro, si è intrecciato col Partito Radicale.
A Pannella debbo tantissimo. Gli debbo la passione per il coraggio delle idee, anche se non sempre mi riesce di testimoniarlo come fanno i libertari senza rete. Gli debbo il valore della libertà come unico padrone che si traduce nel dar retta a quanto onestamente si avverte, infischiandosene del politicamente corretto e dell'opinione altrui. Finanche della denigrazione altrui. Gli debbo anche il senso del rispetto e dell'impossibilità di provare odio per chi è politicamente e culturalmente distante, che in un mondo feroce come è quello della politica non è poco.
Vorrei, Caro Marco, saper raccontare meglio quella strana cosa che provo oggi, perchè mi viene una sola parola. Una parola semplice, è affetto. Un sentimento che è sopravvissuto anche al fastidio che da diversi anni mi hanno prodotto certe tue scivolate verso un per me incomprensibile e urtante attorcigliamento della tua brillante intelligenza. Ti ho anche detestato parecchio, a volte.
Eppure, come è per i legami forti e veri ti cacciavo dalla porta per farti rientrare dalla finestra. Per poi cacciarti ancora, spegnendo la televisione dove ti perdevi in circonlocuzioni labirintiche da cui chiunque finiva per voler scappare via. E quante volte ho spento Radio Radicale infastidita. Ma anche da quei pastoni verbosi indigeribili uscivo con una strana, incancellabile fiducia verso la tua intelligenza buona.
Buona anche quando eri cattivo, come sei stato con Emma ultimamente.
Caro Marco, è stato bello incontrarti da giovane universitaria. Bello venirti ad ascoltare all'Ergife con mia figlia che sgambettava. Bello quella volta che dopo Tangentopoli sono venuti tutti a rendere omaggio alla tua onestà vera. Mai sventolata come una bandiera, Bello fare cose strane come raccogliere firme contro la pena di morte a Ferragosto, in quel posto meraviglioso che è Fontana di Trevi. Bello scoprire affinità profonde con Sciascia. Bello vederti stare dalla parte di Tortora mentre lo facevano a pezzi.
Bello stare dentro la politica che mai è diventata antipolitica, ma vocazione alla nobiltà della politica. Bella anche l'idea di un partito trasnazionale e bella la radio che tanto ha insegnato a chiunque volesse ascoltarla. Bello non sentirsi mai rappresentante del bene, ma solo dell'impegno democratico, civile e generoso, ripagato solo dall'impegno stesso. Bello il tuo tentativo di salvare dalla forca anche un mostro come Saddam Hussein.
Bello accorgersi grazie a te di aspetti del vivere che da personali sono diventati politici. Penso alle donne sottratte alle mammane. Penso alle donne salvate da matrimoni prigioni. Penso al mondo omosessuale che solo da poco conoscono il diritto ai diritti civili e umani. Penso a Luca Coscioni e la Sla; penso alla condizione sciagurata di chi sperimenta le carceri; penso alla non violenza da non confondersi con il pacifismo ideologico. Penso, ancora, alla fame nel mondo.
Non la voglio fare troppo lunga, tanto, intelligente come sei, hai capito che voglio solo dirti che una parte di me avrà come presenza speciale sempre il tuo ricordo. Grazie Marco. Grazie grande uomo capace di non uccidere mai il fanciullo che era in te.
A Pannella debbo tantissimo. Gli debbo la passione per il coraggio delle idee, anche se non sempre mi riesce di testimoniarlo come fanno i libertari senza rete. Gli debbo il valore della libertà come unico padrone che si traduce nel dar retta a quanto onestamente si avverte, infischiandosene del politicamente corretto e dell'opinione altrui. Finanche della denigrazione altrui. Gli debbo anche il senso del rispetto e dell'impossibilità di provare odio per chi è politicamente e culturalmente distante, che in un mondo feroce come è quello della politica non è poco.
Vorrei, Caro Marco, saper raccontare meglio quella strana cosa che provo oggi, perchè mi viene una sola parola. Una parola semplice, è affetto. Un sentimento che è sopravvissuto anche al fastidio che da diversi anni mi hanno prodotto certe tue scivolate verso un per me incomprensibile e urtante attorcigliamento della tua brillante intelligenza. Ti ho anche detestato parecchio, a volte.
Eppure, come è per i legami forti e veri ti cacciavo dalla porta per farti rientrare dalla finestra. Per poi cacciarti ancora, spegnendo la televisione dove ti perdevi in circonlocuzioni labirintiche da cui chiunque finiva per voler scappare via. E quante volte ho spento Radio Radicale infastidita. Ma anche da quei pastoni verbosi indigeribili uscivo con una strana, incancellabile fiducia verso la tua intelligenza buona.
Buona anche quando eri cattivo, come sei stato con Emma ultimamente.
Caro Marco, è stato bello incontrarti da giovane universitaria. Bello venirti ad ascoltare all'Ergife con mia figlia che sgambettava. Bello quella volta che dopo Tangentopoli sono venuti tutti a rendere omaggio alla tua onestà vera. Mai sventolata come una bandiera, Bello fare cose strane come raccogliere firme contro la pena di morte a Ferragosto, in quel posto meraviglioso che è Fontana di Trevi. Bello scoprire affinità profonde con Sciascia. Bello vederti stare dalla parte di Tortora mentre lo facevano a pezzi.
Bello stare dentro la politica che mai è diventata antipolitica, ma vocazione alla nobiltà della politica. Bella anche l'idea di un partito trasnazionale e bella la radio che tanto ha insegnato a chiunque volesse ascoltarla. Bello non sentirsi mai rappresentante del bene, ma solo dell'impegno democratico, civile e generoso, ripagato solo dall'impegno stesso. Bello il tuo tentativo di salvare dalla forca anche un mostro come Saddam Hussein.
Bello accorgersi grazie a te di aspetti del vivere che da personali sono diventati politici. Penso alle donne sottratte alle mammane. Penso alle donne salvate da matrimoni prigioni. Penso al mondo omosessuale che solo da poco conoscono il diritto ai diritti civili e umani. Penso a Luca Coscioni e la Sla; penso alla condizione sciagurata di chi sperimenta le carceri; penso alla non violenza da non confondersi con il pacifismo ideologico. Penso, ancora, alla fame nel mondo.
Non la voglio fare troppo lunga, tanto, intelligente come sei, hai capito che voglio solo dirti che una parte di me avrà come presenza speciale sempre il tuo ricordo. Grazie Marco. Grazie grande uomo capace di non uccidere mai il fanciullo che era in te.
P.S. Ho incontrato Pannella a Londra nel 2011 in occasione della " Veglia per la verità" davanti alla sede della commissione che per la seconda volta doveva sentire l'ex premier Tony Blair. Abbiamo chiacchierato un po'. Era seduto su un gradino fuori di un edificio e sembrava un adolescente giocoso. Voglio ricordarlo così.
Sofferto " ristoro "
Il primo
progetto per la realizzazione di un acquedotto
che trasportasse l’acqua dalla provincia reatina a Roma risale al
sindaco Nathan. Era il 1908, ma la richiesta al Ministero dei Lavori Pubblici
da parte del Comune di Roma venne avanzata nel 1913. Fu nel 1926 che si ottenne
la concessione di sfruttamento delle acque reatine per 70 anni.
Il 1996, quindi,
la concessione è scaduta. E’ da quella data che è iniziato un contenzioso
attivato dalla Provincia per avere un indennizzo per lo sfruttamento delle
sorgenti. Da Cesare Giuliani a Giosuè
Calabrese a Fabio Melilli a Giuseppe Rinaldi, presidenti succedutisi negli
ultimi venti anni anni alla presidenza dell’Ente, hanno fatto quanto hanno
potuto per ottenere il “ristoro“. E oggi finalmente il risultato è arrivato.
Non è stato
facile ottenerlo e non riconoscere il merito della vittoria a chi ne è stato
artefice sarebbe ingiusto. Oltre a quelli nominati sopra, un ruolo importante
lo hanno avuto Zingaretti e Refrigeri, ma io non scorderei nemmeno Marrazzo. Ma
ripercorriamo sinteticamente i fatti che hanno portato al risultato di oggi.
Nel 1998,
Acea si è trasformata da azienda municipalizzata in società per azioni. Nello
stesso periodo sono stati istituiti gli Ato, Ambiti Territoriali Ottimali, organi
provinciali competenti della gestione della materia ambientale. Roma è
diventata Ato2 e Rieti Ato3. Nel 2002, con la riforma del titolo
V, è alla regione che viene attribuita la competenza a concedere lo
sfruttamento dell’acqua.
Nel
frattempo non arrivava alcuna richiesta di rinnovo della concessione. Ma è
l’Ato3 che deve occuparsi della manutenzione ordinaria degli impianti.
Naturalmente senza alcun vantaggio sul costo dell’acqua, più cara per i reatini
di quella consumata a Roma. Non solo, la Regione, nel 2001, presidenza Storace,
negherà la titolarità della provincia di Rieti sulle sorgenti, mentre stabiliva con una convenzione che Acea doveva
stipulare accordi coi Comuni che ospitano le sorgenti.
Nel 2003 la
Provincia presenterà ricorso al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche
che metterà in dubbio la regolarità della proroga concessa ad Acea dal Governo
e dalla Regione di continuare a sfruttare la sorgente.
E’ nel 2006
che la situazione sembra sbloccarsi. La Regione Lazio, il Comune di Roma, il Presidente
della Provincia di Roma e il Presidente della Provincia di Rieti sottoscrivono
un accordo in cui viene rinnovata la concessione ad Acea per altri 30
anni. In cambio l’Ato2 si impegna a versare 8 milioni di euro l’anno alla
Provincia di Rieti e all’Ato3. A questo vanno aggiunti 25 milioni di
euro come risarcimento per lo sfruttamento della sorgente nel passato.
Due anni
dopo l’accordo viene riaffermato, ma la provincia di Rieti continua a non
ricevere nessuno dei risarcimenti promessi da Acea. Il comune di Roma, maggior
azionista di Acea, non ha mai voluto ratificare quanto deliberato dalla regione
Lazio, cumulando un debito di 8 milioni di euro con la Provincia di Rieti. Con
la delibera regionale sul ristoro dell’acqua reatina il contenzioso, della cui
portata la sintetica narrazione ha voluto dare conto, sembra finalmente chiuso.
Quali
saranno i benefici? Lo chiedo all’Onorevole Melilli, sicuramente il principale
artefice dell’operazione oggi conclusa. “ La tariffa al metro cubo dell'acqua è
determinata da due fattori: il costo di gestione e gli investimenti su
acquedotti, fognature, depurazione ecc. Se gli investimenti non sei costretto a
pagarli tu la tariffa scende. Visto il
drammatico bisogno di investimenti nel sistema idrico ( l'ultimo finanziamento
ottenuto dai nostri comuni fu l'accordo che feci con Zaratti nel 2008 che fece
arrivare ai nostri comuni 27 milioni di euro) e vista la dimensione modesta del
Nostro Ato che non consente risparmi di scala, avremmo avuto due scelte
davanti: investimenti cospicui e conseguente tariffa molto alta oppure zero
investimenti e tariffa decente”.
E la Società
per azioni a totale capitale pubblico per la gestione del Servizio Idrico
Integrato che ruolo avrà? “La società provinciale è stata costituita in
attuazione della legge Galli che prevede un unico gestore per l'intero ciclo
idrico. È il soggetto che gestisce tutto e fattura ai cittadini (come Acea a Roma).
Finora non decollava per carenza di fondi. Oggi può partire. E, cosa rilevante,
la convenzione prevede 36 milioni di "arretrati", 8 milioni per
l'eternità ( finché esiste una concessione) e prevede che circa 30 comuni che
oggi attingono al sistema Peschiera- Capore non paghino più l'acqua all'Acea al
prezzo di mercato ma sostanzialmente al costo industriale, con un risparmio che
secondo me può aggirarsi anche intorno ai due milioni di euro l'anno”.
venerdì 13 maggio 2016
Il giornalismo serve ancora?
In tanti mi fanno notare che ultimamente scrivo poco. E' vero, sto trascurando il blog e a parte le incursioni quotidiane sui social, Facebook e Twitter, non dedico troppo tempo a buttar giù pensieri e riflessioni su quello che offre il presente politico locale. E' vero, ripeto, ma avviene perchè la mia collocazione emotiva è borderline. La scrittura che nasce dalla passione civile più che da un vero e proprio mestiere, è preda di tutti gli effetti emozionali suscitati dalla realtà vissuta come cittadina. Quando la realtà è povera di stimoli e di interesse e quando quanto si scrive finisce contro il famoso muro di gomma, diventa accidiogena. Neologismo per dire che produce accidia, noia, quasi rassegnazione..
Se la realtà sotto osservazione, perpetua le sue pochezze, la sua inefficacia, la sua sterile autoreferenzialità tradotta in episodicità che nulla incide sulla qualità dell'esistenza collettiva, imponendo un esercizio critico che finisce per soffrire della medesima sterile autoreferenzialità, di scrivere passa la voglia. Ci si sente superflui, quando non complici di un gioco delle parti che serve solo a tenere in vita se stessi.
Impegnarsi in quotidiane rampogne, talvolta vere cattiverie, rompere un po' le scatole facendo notare quello che non va, serve all'informazione o solo a influenzare negativamente l'opinione pubblica? La domanda se la faceva già don Milani. Oggi me la faccio nel mio piccolo anche io. E tra le tante citazioni, tra i tanti aforismi che hanno come oggetto il giornalismo, quella che mi convince di più è di Gilbert Keith Chesterton, scrittore e giornalista inglese della fine dell'ottocento. " Il giornalismo è popolare, ma lo è soprattutto come finzione. La vita è un mondo e la vita vista sui giornali è un altro".
Raccontare l'intervista fatta al giovane consigliere comunale del Pd Alessandro Fiorenza, fiducioso in un sistema nuovo, senza intermediazioni, che assegna alla cittadinanza attiva un ruolo più efficace di quello giocato dai partiti, sindacati, associazioni di categoria, ad esempio, è una cosa, la realtà dell'efficacia effettiva della democrazia dal basso di cui parla i libro che ne porta il titolo, " Democrazia dal Basso", è tutt'altra.
Faccio un esempio su tutti. La nota e disattesa questione della " Rieti-Torano". Come ormai stranoto esiste un " Comitato pro-Casette" nato per difendere gli interessi di un quartiere caratterizzato dall'orticoltura. Da anni questo campione locale del " citizen lobbyng", cittadini che si fanno "lobby", ovvero gruppi che agiscono nei processi decisionali, è impegnato a combattere le scelte fatte dalla Provincia in termini di tracciato finale di una strada che aspetta la sua realizzazione da quasi mezzo secolo.
A sostenere le ragioni di quella che possiamo definire sostenibilità infrastrutturale: si alla importante arteria stradale, no alla distruzione di un assetto ambientale, culturale e sociale, si sono aggiunti il comune di Cittaducale e la prima Consulta comunale di Rieti. Proprio l'ultimo incontro avuto in Comune dalla Consulta, impegnata su diversi temi:Lavori pubblici, urbanistica e Territorio, Viabilità e Mobilità, Decoro Urbano, lo scorso 11 Maggio, è la riprova dell'esistenza del gap, divario, tra narrazione giornalistica e realtà.
Il presidente della Provincia Giuseppe Rinaldi, per ragioni a me sconosciute, pertanto forse giustificabilissime, non ha partecipato all'incontro, pur essendo stato invitato. Niente da fare poi, con la promessa venuta dal sindaco Petrangeli e dall'assessore all'urbanistica Ludovisi sulla creazione di un tavolo per consentire un dialogo tra Comitato, Consulta e Regione fatta diverso tempo fa. Un chiaro di luna che era già palese al tempo dell'inaugurazione del tratto di completamento di Ville Grotti del 28 Gennaio, quando si chiese inutilmente di poter incontrare Zingaretti. Declinazione della maestà democratica. Ovvero della irraggiungibilità di chi appare distantissimo da chi lo ha messo al suo posto con un voto e non per successione dinastica.
E' a questo punto che, avendo scritto più e più volte, sulla questione "Rieti-Torano", senza sortire effetti, almeno evidenti, mi chiedo quanto sia utile quello che sto scrivendo. Forse può servire, certo, ricordare che dopo mesi e mesi dall'annuncio la palla è stata rimessa nelle mani della Regione. Meglio una flebile voce del silenzio, lo riconosco. Forse dire che c'è una promessa formale di Ludovisi sul tentativo, perchè questo è, di organizzare il famoso tavolo in una decina di giorni, può spingere a farlo. E magari servirà anche dire a Sel e al M5S, autori di interrogazioni regionali sulla vicenda, che è troppo facile buttare giù qualche foglietto da presentare a un'assemblea istituzionale se poi non segue niente.
Di, tagli di nastro, incontri, tavoli, convegni, comunicati e di bla, bla, bla, è pieno il rituale della democrazia svuotata dal suo senso: governo di popolo per il popolo. Uso sempre con cautela il termine popolo, non volendo caricarlo di significati ideologici. Per me il popolo non è un aggregato da considerare paternalisticamente, è, invece, insieme di cittadini consapevoli e responsabili delle scelte perchè esattamente informati. A questo serve il giornalismo. La domanda che mi vado facendo negli ultimi tempi è se non faccia parte esso stesso di uno stanco e inutile rituale.
giovedì 5 maggio 2016
Questione morale e uso politico delle indagini
Se avessi voglia di andare a ritrovare la quantità di articoli
scritti negli ultimi venti anni dove evoco la famosa intervista di Scalfari a
Berlinguer potrei dimostrare solo una cosa: la questione morale è cosa trita e
ritrita e la famosa e stra citata intervista è un manifesto
dell'impotenza. Qualche volta, spesso, dell'ipocrisia.
In Italia, per il partito o per sè, la politica ha sempre rubato e
la corruzione, come il mancato rispetto delle regole, è qualcosa che riguarda
il nostro tessuto connettivo storico-culturale.
Sulla corruzione politica romana sono stati scritti montagne di libri.
Con ciò non dico che bisogna rassegnarsi o consolarsi. Dico solo che bisogna
fare attenzione alle esplosioni provvisorie,
interessate ed effimere della " questione morale", perché da
sempre lasciano il tempo che trovano.
Il moralismo etico, l'onestà senza macchie, periodicamente invocata rumorosamente è l'altra faccia della
facilità con cui si perpetua la disonestà.
Da questo deriva un assetto di paese vocato al truffaldinismo politico (
ma non solo) statico e destinato a
perpetuarsi con forme anche più numerose e talvolta mascherate dalla liceità.
Dopo Tangentopoli la corruzione è aumentata, dice il dottor Davigo. Sembra sia
vero. E forse è la conferma di quanto ho detto sopra. Forse, a cambiare le cose
servono i processi. Ma non quelli giudiziari, servono quelli culturali che
richiedono pazienza e vera volontà di cambiare le cose.
Facciamoci qualche domanda
terra terra su quello che succede nella pratica politica. Quanto è lecito usare un'amministrazione
pubblica per favorire chi è vicino politicamente a chi la governa? Quanto è
facile rilevare la correttezza e il dolo nell'assegnazione di un incarico o di
una consulenza?
Mesi fa ha fatto scalpore la nomina nel Cda dell'azienda pubblica
ASM di una persona molto vicina al sindaco Petrangeli che non appariva
giustificata dalle competenze. La domanda è non tanto se un sindaco, o chiunque
ricopra ruoli istituzionali, possa usare il criterio della fedeltà per selezionare
le persone a cui affidare una funzione pubblica. Forse può. La vera questione è
se prima della fedeltà debba venire il merito. E se prima del proprio
interesse di politico e di esponente di partito debba venire quello della collettività. E’ un
problema culturale, prima che politico.
E quante volte un bando pubblico è cucito addosso a qualcuno
che, per ragioni anche ritenute utili all'amministrazione e vantaggiose per la
collettività ( sembra il caso del sindaco di Lodi) si vuole far vincere?
E quanti concorsi premiano i più capaci e meritevoli? E quante
opere pubbliche sono realizzate nei giusti tempi e con la giusta spesa,
preoccupati di fare buon uso delle risorse pubbliche?
Se si volesse davvero analizzare quanto è successo, anche in un
solo ventennio, negli ottomila comuni d'Italia, lasciando perdere province e
regioni, se ne vedrebbero delle belle. Nel senso che si vedrebbe un sistema
malato. Forse fatto proprio per essere malato.
Anche questo è un problema culturale. Nelle democrazie sane le
leggi servono a favorire funzionamenti fisiologici non patologici. Le
patologie, sono l’eccezione da curare, non la prassi. E la cattiva prassi a
lungo andare uccide le democrazie.
Nei prossimi mesi di "belle", per dire brutte, se ne
vedranno di numerose. Tra elezioni
amministrative e referendum istituzionale, l’Italia apparirà un bollitore
impazzito. La licenza di agire malamente se se ne dà qualche convenienza a
qualcuno, facilmente si trasforma in esposizione al rischio giudiziario. In un
modo o nell'altro l'errore, voluto o involontario, se si vuole trovare lo si
trova.
E il Far West delle querele e delle informazioni di garanzia trasformate
in giudizio di colpevolezza, invece che
di tutela, al paese fa bene? Fanno bene
i cappi sollevati quotidianamente dai presunti onesti di ogni collocazione ad
una società sfinita da una crisi economica e lavorativa stagnante; da paure
naturali e comprensibili, ma anche alimentate, dovute a fenomeni che appaiono
senza efficace governo, come è quello immigratorio?
Fanno bene le generalizzazioni e le individuazioni di categorie
specifiche, i politici, quando non un partito, come responsabili unici, o
quasi, di pratiche illecite, invece che rendere davvero partecipe l’opinione
pubblica, informandola al meglio? A me non sembra. A me, invece, preoccupa
molto questa stagione urlata e conflittuale. E molto mi preoccupa l'uso
politico delle indagini che da decenni sostituisce la sana competizione politica . Che è,
dovrebbe essere, competizione d'idee e di programmi.
Questa mattina ho letto un post di Facebook che dice così
"Simone Petrangeli, sindaco di Rieti, è indagato per concorso in falso e
turbativa d'asta". A pubblicarlo è una parte politica avversa al sindaco.
La cosa davvero brutta è che se a trovarsi nella condizione di Petrangeli fosse
il suo avversario, c'è da giurare che oggi lui o la sua parte politica farebbe
altrettanto.
Fermatevi. Qualcuno fermi il frullatore che sta frantumando la
nostra democrazia. Non c'è paese che non viva le sue difficoltà, anche il suo
malaffare. Il nostro ha bisogno di
credere nella possibilità e volontà di diventare
migliore. Generare quotidiani sconforti, genera solo disastri per tutti.
martedì 3 maggio 2016
A proposito di corruzione
L'ottantadue per cento degli italiani pensa che la corruzione sia aumentata e che riguardi quasi esclusivamente la classe politica.E' il principio del capro espiatorio, del lavacro delle colpe diffuse e proprie scaricandole tutte sulle spalle di qualcuno.Scelta facile. Troppo.A me questa architettura barocca del pregiudizio nazionale e del risentimento, quotidianamente alimentato comincia a dare sclaustrofobia civile.Su, cari connazionali, cominciamo a guardare a casa nostra.passiamo dal Barocco all'Illuminismo, che vuol dire uso della ragione cominciando a liberarsi dei pre-concetti con cui aggiriamo la realtà.Osservare, analizzare, criticare è doveroso in democrazia, ma ricorrere a scorciatoie danneggia una democrazia. Non lo so se davvero la corruzione sia aumentata, ma anche fosse quelli che delinquono siete voi che li avete preferiti e votati. Come scegliete quelli che dovranno occuparsi delle vostre necessità?Diversi anni fa accettai di candidarmi con i Verdi, esperienza bastante. Mi fu chiaro cosa cercano gli elettori. Dico mediamente.Basta fumetti dove ci si assolve.Ci conviene.
Iscriviti a:
Post (Atom)