venerdì 29 aprile 2011

Costini: meglio assessore che santo



L'ossessione del complotto è riscontrabile da sempre nel mondo della politica. La pubblicistica sul tema è ricchissima. Cercando per giorni di raccogliere qualche spiegazione sulle dimissioni da assessore di Chicco Costini tutto induceva a far credere che si trattasse di un caso di scuola di paranoia da politica. Tutto sarebbe dipeso dal fatto che la Commissione sui Piani Integrati sarebbe stata rinviata per ragioni tecniche. Questo avrebbe scatenato il convincimento nell'ex assessore di essere al centro del fuoco amico, ovvero di più di una inimicizia all'interno del Pdl.

Costini, interpellato al telefono ha dato una versione più credibile. Senza infingimenti ha parlato di un partito che non c'è e che non esistendo non può dare forza a politiche innovative come quelle da lui elaborate nei mesi in cui è stato assessore all'urbanistica. La scarsa forza della sua personale posizione politica, attribuita dall'ex assessore anche a proprie componenti caratteriali poco inclini all'amabilità opportunistica, avrebbero messo a rischio il progetto dei Piani Integrati per cui tanto si era speso a favore dell'interesse della città . “ Avendo capito che non sarebbero stati approvati se fossi stato presente in Consiglio, mi sono sacrificato. Ecco la ragione delle mie dimissioni”.

Paranoia, generosità estrema, disegno più o meno intelligente per proporsi alle prossime elezioni comunali con una propria lista? Il tempo ci dirà. Certo è che se sono veri i brindisi pidiellini seguiti alle sue dimissioni, tanto paranoico Costini non è. E non sarebbe nemmeno tanto strano che le sue crude critiche alle politiche urbanistiche dell'ultimo quasi ventennio gli abbiano procurato delle inimicizie tra coloro che ne sono stati i protagonisti. Sono ipotesi, certo. Come è certo che il suo arrivo all'assessorato dell'urbanistica senza uno straccio di conflitto d'interesse era stata già di per sé un'innovazione degna di nota.

“ La prova che dico il vero è che il Consiglio Comunale dopo le mie dimissioni ha approvato i progetti preliminari per i Piani Integrati con una notevole maggioranza. E' una rivoluzione che vede superare la mancanza di programmazione con un disegno di città che cresce rispettando l'ambiente e valorizzando la propria identità”. E' con veemenza che l'ex assessore snocciola la contabilità delle cose fatte, dei fini sottesi: la partecipazione, la trasparenza, la voglia di recuperare la cultura come motore della politica. Il piacere di dare finalmente avvio ad un recupero programmato delle aree dismesse grazie allo strumento della legge regionale del 2009 n.21. Difficile non apprezzarla.

Ma è difficile anche dimenticare che Costini è da anni organico ad una maggioranza che ha amministrato Rieti per un ventennio, rendendola la mostruosità che è oggi: un capoluogo dove ad aumentare sono solo le cementificazioni, i problemi, l'economia sommersa, l'egoismo sociale, l'arretratezza culturale, i disagi. Disagi dovuti all'enorme pendolarismo, alla perdita di lavoro, alla tendenza centrifuga delle nuove generazioni a fuggire altrove; al clientelismo che immiserisce la qualità della politica e della società, mentre appesantisce il bilancio comunale che grava sui contribuenti. La mancanza di una visione di prospettive future che riguarda anche l'opposizione.

Tutto questo accade mentre nel “palazzo” regna la frammentazione più totale. I diciassette gruppi consiliari ne sono una prova. D'altronde che il Pdl sia inesistente come partito lo dice non solo Costini ma anche Moreno Imperatori, uno che si impegna con passione nell'azione politica (poi, si può dissentire sulla sostanza del prodotto) senza godere di grandi favori da parte del partito che non c'è. Il partito di Silvio Berlusconi, artefice della politica basata sugli annunci e sulla capacità di tenere insieme le numerose anime pellegrine, meglio se “bisognose”(definizione magistrale del mio falegname), appiccicate ad hoc col collante degli interessi.

Costini è un'anima inquieta nutrita di valori di destra rivoluzionaria. Come il sindaco Emili fa spesso proclami sul valore della coerenza e sull'eticità della politica, ma non trova disdicevole “ piazzare i suoi” (parole di molti) nei vari spazi amministrativi pubblici. Se ci sia la consapevolezza del dolo fatto in nome di S. Clientelismo o no, non saprei dire. In ogni caso c'è coerenza con l'appartenenza ideologica ad un fascismo mai ripudiato che preferisce i favori ai diritti. Un elemento che, almeno per chi scrive, depone da sempre a suo sfavore. Tolto questo dettaglio non da poco, come assessore all' Urbanistica, lo confesso, mi aveva fatto sperare. Ma mai avrei pensato di farlo santo, caro sindaco Emili.



martedì 19 aprile 2011

Il 'Cammino di Francesco'

'Il cammino di Francesco' è prima di tutto un'idea. Idea intelligente di Diego di Paolo, elaborata quando era direttore dell'Apt di Rieti. Come tutte le idee, anche quella di creare nella Valle Santa un percorso rivolto al turismo francescano, sul genere di quello che identifica Santiago di Compostela, aveva bisogno di gambe per camminare e la volontà di trasformare un progetto in impresa di successo. Fino ad ora, per diverse ragioni non è accaduto.

La principale è che il “Cammino di Francesco”, nato nel 2002, è rimasto impigliato nella appiccicosa e volubile ragnatela della politica regionale che, con la legge 13 del 2007, aveva decretato la soppressione delle Apt trasformandole temporaneamente in ente commissariale ed in una sorta di dead business walking, aziende condannate a morte. Nei quattro anni trascorsi non si è vista programmazione, mentre i costi per mantenere il braccio dirigenziale delle Apt sono rimasti. Uno dei tanti paradossi italiani.

Oltre le nostre tasche di contribuenti, a pagare per il pasticcio è stato il progetto di Di Paolo, privato della messa a punto del suo ideatore e della visione di ciò che un prodotto di promozione territoriale del genere poteva e doveva diventare. Né sono mancati gli errori della Provincia, responsabile anche di un tentativo di annullare la specificità del percorso inglobandolo, anche nominalmente, nella genericità delle vie francigene. Nel frattempo i “pellegrini” arrivati, come rendita dei due anni di buon funzionamento della promozione del “Cammino”, sono stati accolti dal vuoto dei servizi.

Sembra, tuttavia, che siano finalmente giunte le gambe e la volontà che servivano. Sono gli “Amici del Cammino di Francesco”. Un'associazione aperta ed inclusiva, mi dice uno dei soci, formata da persone di varia provenienza e competenza per dar vita ad una Fondazione che rilanci il “Cammino di Francesco” nel mercato europeo degli itinerari religiosi. È una scommessa e come ogni fenomeno ipotetico ha bisogno di essere supportato da una miscela di ottimismo e di calcoli realistici.

È un fatto che la nostra terra sia ricca di storia, di tradizioni e di bellezze ambientali non comuni . E sono anni ormai che su vari fronti si manifesta l'intenzione di far crescere il territorio promuovendone la vocazione turistica. Intenzione non priva di incertezze e contraddizioni. Anche recentemente, ad un convegno sul lavoro del Pd, un giovane dirigente si è espresso favorevolmente per la nascita del Polo della logistica di Fara Sabina, innegabile danno a scapito dell'ambiente e della storia sabina, visto che va ad insistere sul territorio dove sorgeva l'antica capitale Cures, e nello stesso tempo, dello sviluppo legato al turismo naturalistico.

Certo, la storia non deve impedire alla modernità di avanzare le sue proposte, pertanto, se si è calcolato con esattezza che dalla logistica arriverà il lavoro per tante persone che oggi ne sono sprovviste, ben venga anche questo sacrificio. Quello che non si potrebbe accettare sarebbe una eventuale sproporzione tra investimento e guadagno, tra distruzione e costruzione, tra sottrazione di risorse ambientali e ritorno di benessere. Il “Cammino di Francesco” è quello che si dice una proposta di economia compatibile con le caratteristiche del nostro territorio.

Il turismo che potrebbe nascere da una sua efficace declinazione in termini di struttura e di offerta di servizi è legato alla domanda di ambiente sano e di turismo “slow”, basato sul piacere della lentezza e del viaggiare per incontrare soprattutto se stessi lungo percorsi legati alla spiritualità francescana. Le potenzialità del “Cammino” sono elevate. Tanto più elevate quanto maggiore sarà la fiducia dei reatini verso un sistema di sviluppo che sappia sfruttare la valorizzazione umana ed ambientale in una prospettiva di crescita prodotta dall'intelligenza e creatività endogene.

Qualche anno fa, a Rieti, in una manifestazione che aveva riunito tutti e tre i sindacati, l'allora segretario della Cgil Epifani invitò i reatini a trovare la forza per la ripresa al loro interno. Senza aspettarsi sempre aiuti dall'esterno o calati dall'alto. Inutile dire che l'invito era pieno di buon senso. E la proposta di dar vita ad una fondazione non pensata per dare un corpo ad un cda, ma per mobilitare quante più energie private possibili: cittadini, imprenditori, commercianti, professionisti, personalità religiose e laiche, impegnate a favorire la fioritura di imprese legate al turismo religioso e naturalistico, va in quella direzione.

martedì 12 aprile 2011

L’arte del mediare nella politica

Compito principale della politica è saper mediare tra interessi contrapposti. Non scopro niente di nuovo, mi limito a ricordarlo. Saper comporre le esigenze dell’umanità in fuga da territori dove ai più sono negate le stesse nostre attese, vuol dire governare un processo che, nell’immediato, vede confliggenti gli interessi di chi fugge e di chi accoglie. Se si produce sofferenza, allarme sociale, allentamento opportunistico delle regole si dimostra di non essere all’altezza del compito. Se si trova la maniera di coniugare le diverse esigenze, si fa buona politica. Il progetto da cui è nata la birra “ Alta quota”, di cui ho parlato alcuni articoli fa, è un esempio di buona politica. Lo stesso discorso vale per la questione della scuola pubblica e scuola privata, evocata recentemente da Mauro Lattanzi, in un incontro organizzato dall’Udc locale presso l’istituto parificato di S. Caterina. Il consigliere comunale, noto dermatologo reatino, ha motivato la scelta del luogo del meeting come simbolica attenzione per la scuola privata, da tenere in conto tanto quanto la pubblica. Nobile obiettivo, se non fosse che oggi ad aver bisogno di cura e attenzioni è la scuola pubblica. «Quando la scuola pubblica è cosa forte e sicura, allora, ma allora soltanto la scuola privata può essere un bene» disse in un famoso discorso Piero Calamandrei, uno dei padri della nostra Costituzione. Una Costituzione che prevede l’istruzione privata, ma «senza oneri per lo Stato». I 100 milioni reperiti in una notte per ripristinare il taglio fatto da Tremonti nella ultima Legge di stabilità, cosa sono? Sono risorse tolte alla scuola pubblica massacrata da tagli e dalla mancanza di meritocrazia. Un sistema d’istruzione del genere non sviluppa una utile competizione sulla qualità dei due sistemi e non fa un buon servizio ai giovani ed all’intera società. Di capacità di mediazione avrebbe bisogno il nostro territorio, svalorizzato ed impoverito dal prevalere miope degli interessi di pochi e dalla mancanza progettuale delle politiche comunali sul territorio. Questione spesso evocata da Chicco Costini, da poco impegnato come assessore nel delicato settore urbanistico, ma anche da Antonio Cicchetti nell’incontro dell’Udc, intitolato ”Il futuro del territorio reatino tra urbanistica e ambiente". La cosa più singolare mi è sembrata proprio la denuncia sull’assenza della programmazione comunale arrivata da Cicchetti, primo cittadino per due mandati. Un sindaco che fa parte dell’area politica della maggioranza, da venti anni al governo della città e caposcuola di un corso edilizio lottizzatorio che non conosce arresto. Ma tant’è. Ospite d’onore del convegno è stato l’assessore regionale Ciocchetti, ideatore di un nuovo Piano casa, disegnato per favorire ampliamenti e sostituzioni edilizie, dopo che il primo non aveva suscitato grande interesse. Un interesse che probabilmente resterà apatico dalle nostre parti, anche riducendo vincoli e aumentando gli incentivi, giacché i reatini posseggono un numero di case notevole, grazie alla legge 167 ed al conflitto d’interessi dei protagonisti della politica urbanistica, nello stesso tempo operatori a vario titolo nel campo edilizio. Dove si giocherà la partita tra buona politica ed il suo opposto, ovvero nel mediare efficacemente tra utile generale e quelli particolari, sarà la riqualificazione delle aree ex industriali. L’urbanistica usata appropriatamente è pensata ed agita in base al calcolo delle opportunità di innovazione e di sviluppo che si intende promuovere. È in questa prospettiva che la Federlazio, insieme ad Unindustria, ha manifestato attenzione per il progetto preliminare per la riqualificazione delle vaste porzioni di città ora inutilizzate realizzata con lo strumento dei piani integrati. Me lo ha assicurato personalmente Antonio Zanetti, direttore della Federlazio di Rieti. Ed in un’ottica di buone pratiche si muove certamente la collaborazione del prof. Carlo Cecere, coordinatore della facoltà d’ingegneria di Rieti. Sincere sembrano essere anche le intenzioni dell’assessore Costini di dare un nuovo corso al suo assessorato. Saprà, tuttavia, la politica nel suo insieme, far bene il compito di mediazione? I ritardi comunali nell’inviare un documento che metterebbe fine al lungo iter dell’approvazione regionale del Prg, voci di nuove lottizzazioni, permanenza dei conflitti d’interesse, sostanziale impotenza dell’opposizione, potrò sbagliare, non sono indicatori positivi. 

martedì 5 aprile 2011

L’Aquila due anni dopo

Rieti tremò a lungo mentre uno dei centri storici più importanti d’Italia veniva travolto, due anni fa, da un sisma che oggi molti ricordano solo per le polemiche che ne sono seguite. C’è chi ogni giorno però, misura il passare del tempo col metro dello struggimento per un figlio che non c’è più.  Sono Rosa e Roberto, genitori di Luca Lunari, studente fuori sede, morto a venti anni sotto le macerie di una Casa dello Studente che ha prodotto vittime per incuria umana, più che per la violenza della natura. Il dolore ha mille declinazioni diverse, anche quando l’intensità è la medesima. Rosa non ha mai smesso di regalare un sorriso a chi le è di fronte e solo chi sa vi scorge l’ombra del vuoto, buio come la notte che le ha strappato un figlio di venti anni.  «È un fatto di carattere», dice lei. Roberto, invece, non ce la fa proprio a guardarti senza tenere alto il muro di difesa eretto tra la sua disperazione ed il mondo. Soprattutto se sei una giornalista che la moglie ha accettato d’incontrare per parlare della tragedia che il 6 Aprile di due anni fa, colpì la sua famiglia e quella di altre due vittime reatine del terremoto: Valentina Orlandi, 23 anni, e di Michela Rossi, giovane ingegnere che di anni ne aveva 36.  Non si fida, Roberto, di chi vuole parlare di suo figlio, giovane studente universitario e padre di una bambina. Non vuole che si frughi nell’intimità di una vicenda umana con l’intento, forse, di trasformarla in giornalistica cronaca del dolore. A lui ora preme solo che si faccia giustizia, solo quello. Perché come si fa a raccontare con le giuste parole di un ramo nuovo troncato mentre è proprio nel momento della gemmazione? Come può farlo un estraneo, quando tu stesso fai fatica ad esprimerlo, ad accettarlo, a trovare una ragione per rassegnarti.  E come puoi rassegnarti quando nel ripercorrere il tempo che ti separa dalla maledetta notte incontri le inefficienze, le omissioni, il disinteresse, la superficialità di chi avrebbe dovuto assicurare a tuo figlio la tutela ed invece ne ha segnato la morte? Come puoi non ribollire di sordo risentimento quando ormai conosci tutta intera la storia dell’edificio crollato su 14 studenti, uccidendone 8? Era un magazzino, in origine. Poi, nel passaggio delle diverse proprietà e destinazioni, nessuno lo ha dotato dei rinforzi necessari a sostenere il carico che veniva aggiunto per le diverse destinazioni d’uso.  «Gli studenti hanno visto che qualcosa non andava, lo hanno denunciato, ma nessuno ha dato loro ascolto». Dice Roberto. È la verità, come è vero che chi avrebbe dovuto fare le perizie per verificare la stabilità di un edificio che ospitava studenti ha solo addomesticato le loro paure, facendoli restare tranquilli anche dopo i segnali inviati dalla natura.  La natura ha avuto solo la colpa di seguire il suo corso, le responsabilità sono tutte umane. Responsabilità che pesano sulle vittime come le macerie che le hanno prodotte. Il padre di Luca non se ne fa una ragione, come non accetta che si dia più attenzione alla ricostruzione che alle tante vite spezzate. «C’è stata più sollecitudine per le statue che per le persone che hanno perso la vita», aggiunge, con un’espressione incerta tra rabbia e dolore, perché un bene culturale, una cosa di pietra, non potrà mai equipararsi a quello che rappresenta tuo figlio.  Rosa lo guarda in silenzio mentre il marito fa con fatica l’elenco delle manchevolezze che si sono aggiunte alla tragedia che li ha colpiti. Una per tutte è quella di un timbro postale messo sulla bella lettera inviata dall’Università degli Studi dell’Aquila che avvisava di un concerto commemorativo che si sarebbe tenuto il 6 Aprile dell’anno successivo alla tragedia. Una commemorazione avvenuta senza la possibilità di parteciparvi, giacché il timbro postale è dello stesso 6 Aprile. Una prova della spedizione tardiva.  Sciatteria? Indifferenza? La stessa che ha macchiato tanti protagonisti delle istituzioni, disattente verso le famiglie ferite dalle manchevolezze pubbliche. Da troppe promesse mancate. Luca era un giovane padre, «chi si è preoccupato e si preoccupa della giovane compagna lasciata con la sua bambina? Nessuno. Nemmeno i soldi della borsa di studio che aveva vinto gli hanno dato. E che fine ha fatto la solidarietà che tanto si è attivata dopo la tragedia? Tanti hanno assicurato che ci sarebbero stati vicini, ma poi non c’è stato nessuno».  Ora c’è solo l’attesa che la giustizia faccia il suo corso. Che le responsabilità vengano verificate e che chi ha sbagliato sia chiamato a rispondere. È la solita fotografia di questo paese. Una fotografia tragica a cui rischiamo di abituarci. È per questo che bisogna ricordare. Per non cadere nell’accidia del fatalismo e per non lasciare nella solitudine chi vive contando il tempo di cui la giustizia ha bisogno per fare la sua parte. L’unica in grado di dare un po’ di sollievo.
 

venerdì 1 aprile 2011

Profughi e sviluppo

La globalizzazione ha il respiro potente di ogni rivoluzione. Come nessuna resistenza servì a fermare il passaggio dal sistema artigianale a quello industriale, con tutte le conseguenze sociali e culturali dovute al travaso umano dalla campagna alle città. 

Come inutili furono i tentativi delle principali potenze europee di cancellare, col Congresso di Vienna, gli effetti della Rivoluzione francese e dell’avventura napoleonica, nel tentativo di cancellare i valori acquisiti con la diffusione della cultura illuministica. Così oggi sarà inutile tentare di fermare gli effetti della comunicazione globale prodotta da internet. Quello che sta interessando il mondo arabo è l’Illuminismo che nel ‘700 non ebbero? Mi colloco tra quelli che lo credono. 

Che lo sperano. Che lo leggono come aspirazione alla libertà da parte dei popoli e degli individui. Orazio, il poeta che ha vissuto nella nostra Sabina, d’altronde ce l’ho ha detto già duemila anni fa: “Naturam espelle furca, usque recurret”, potrai scacciare la natura con la forca, tuttavia sempre ritorna. Niente, stiamone certi, potrà fermare l’impulso naturale delle popolazioni arabe che, grazie alla comunicazione globale, sono attratte dalle società aperte occidentali. 

Società che oggi appaiono poco generose verso i fratelli che fuggono dalle terre bloccate nello sviluppo, materiale e civile, da dittature amiche dei governanti del mondo ricco. Se noi abbiamo goduto di standard di vita molto alti lo dobbiamo anche alla condizione di illibertà e di miseria di quelli che ora reclamano per sé quello che noi abbiamo. La storia non fa salti. E se i sommovimenti arabi sono il risultato di un lungo processo, anche l’ ingenerosità sociale è un prodotto. Normalmente a provocarla sono politiche vincenti grazie alla paura. 

Restando a casa nostra, in Italia, certamente la responsabilità maggiore dell’attuale cultura del rifiuto di chi fugge in cerca di una vita migliore, ce l’ha la Lega. Personalmente non riesco ancora a capacitarmi di come, dopo il Fascismo, siamo potuti arrivare ad essere governati da un partito secessionista e dichiaratamente xenofobo. Ma, ancora di più mi stupisco se è la mia terra, la Sabina, a sembrare investita da un’ondata di avversione nei confronti dello straniero. 

Sia che presenti connotati dei Rom, sia che abbia quelli dei profughi arrivati a Lampedusa, pensando di trovare la terra accogliente dei Feaci. Invece hanno trovato isolani ostili, perché stremati dalla quantità degli arrivi e dalla cattiva qualità delle strategie di governo, intenzionato più a far scoppiare l’emergenza che ad alleggerire il peso comprensibile dei lampedusani. Ora che Berlusconi, tra una barzelletta, promesse solenni e l’acquisto dell’ennesima casa sull’isola, ha attivato lo spostamento dei profughi altrove, toccherà anche a noi sabini fare la nostra parte. Non intendo rappresentare il buonismo non problematico che produce effetti opposti a quelli che apparentemente si prefigge. 

Dico, conoscendo la storia, che quando novità epocali bussano alla porta, conviene tirar fuori intelligenza e cuore per affrontarle nel modo migliore e trarne vantaggio. L’Occidente ha faticosamente conquistato la cultura dei diritti umani e della democrazia. Ci sono volute due guerre mondiali per arrivare alla condizione di cittadini titolari di diritti oltre che di doveri. 

Quello che dobbiamo ricordare è che ogni democrazia, ogni società aperta si impoverisce quando si chiude al rapporto con l’altro, portatore non solo di richieste di aiuto, ma anche di un patrimonio di diversità culturali, competenze, umanità. La Sabina, così segnata dalla crisi e dai tagli di Tremonti, particolarmente il suo capoluogo, Rieti, ha oggi l’occasione di confermare la sua tradizionale capacità di dare accoglienza, rigettando con un colpo d’ala generoso un destino di progressiva regressione e di chiusura. 

Facendo mio il pensiero del premio nobel Amartya Sen, svolto nel libro “Libertà è sviluppo”, la vecchia Europa e la vecchia Sabina, se non avranno uno sguardo miope ed indifferente ai diritti umani di chi chiede asilo, potranno trarre benessere e sviluppo dalle energie liberate delle persone che la storia oggi manda da noi. Noi, ieri esuli per le stesse ragioni e ugualmente determinati a trovare una vita migliore.