lunedì 21 marzo 2011

Nostalgia di un nazionalismo che fu

La realtà è una complicata mescolanza di oggettività e di soggettività. I fenomeni sono fatti di caratteri propri, ma la loro percezione dipende da chi li guarda. I filosofi hanno speso un bel po’ di materia grigia sul tema e per secoli le contese sono state risolte con la guerra, ma per noi del terzo millennio dovrebbe essere ormai acquisito il principio della dialettica come convivenza civile tra persone che la pensano diversamente e che sanno accettare le ragioni degli altri come basilare principio democratico.  Ma, come dicevo ieri parlando con Fabio, un giovane studente di architettura del movimento Zeitgeist di Rieti, citando Rita Levi Montalcini, l’umanità ha avuto uno sviluppo asimmetrico. Mentre l’intelligenza razionale ha prodotto miracoli sul piano scientifico e tecnico, quella emotiva è più o meno rimasta al tempo dell’uomo di Neandhertal. È questo che porta ancora all’aggressività, alla violenza, alla volontà di potenza, alla sopraffazione sanguinaria, alla guerra. Ed in questi giorni ne è appena iniziata una in un paese dominato dalla dittatura sanguinaria e diviso dall’Italia da uno sputo di mare. Ma non è di questo che voglio parlare.  Qui voglio prendere in carico, perché la cosa è davvero gravosa, sgradevole, deprimente, pesante, stupida, l’ultima vicenda di cronaca politico-delinquenziale seguita ai festeggiamenti del centocinquantesimo anno dell’Italia unita. I protagonisti sono stati gruppi di giovani di destra e di sinistra estreme, il primo cittadino di Rieti, una sede di partito del PdCi, imbrattata. I fatti sono noti. Giovani neo-fascisti di “Casa Pound” hanno colto l’occasione di un concerto di celebrazione del 17 marzo per manifestare le loro nostalgie nazionalistiche e rivoluzionarie. In modo attualizzato, certo.  Ieri, poco meno di un secolo fa, i nazionalisti (niente a che fare con il patriottismo che è amore costruttivo) insufflavano nella pancia e nel cuore degli italiani l’orgoglio nazionale in nome della dannunziana “vittoria mutilata”, oggi, più prosaicamente scrivono sui volantini ”Tu non sei una pizza o una vongola come ti vorrebbero all’estero. Tu non sei ruffiano, parolaio e banale, come ti vorrebbe la tua Tv. Tu sei italiano ed hai una rivoluzione da fare”. Il contesto cambia, ma la sostanza è la medesima dei fascisti del secolo scorso. E demoralizza costatare quanto la Storia sia inascoltata maestra. Ai giovani di “Casa Pound” serve ancora la contrapposizione, l’evocazione di un nemico per immaginare la rivoluzione e suscitare l’orgoglio all’appartenenza nazionale. Serve un “estero” che ci “vorrebbe” “ pizze o vongole”.  Serve un po’ di risentimento verso qualcuno. Ieri era la “perfida Albione”, espressione di un poeta francese che piacque a Mussolini, oggi è l’estero. Vagamente il mondo intero. È demagogia d’accatto, ma esprime un disagio giovanile serio e che va ascoltato ed aiutato a riempirsi di contenuti costruttivi. Non gli fa un buon servizio un primo cittadino di età matura che si fa paladino di quella demagogia rispolverando il solito rosario ideologico del Fascismo, strombazzato in un giorno di festa di popolo, fuori da un teatro, in una città che è di tutti i reatini, anche dei giovani neo-comunisti, estremi e conservatori come quelli di destra.  Una festa che non è più, caro sindaco Emili, una festa dei neo fascisti. Il patriottismo corrente è qualcosa che non va confuso e imbrattato con quello a cui lei fa riferimento. Ha a che vedere con un sentimento di riscatto dalla deriva secessionista della Lega, vostro socio in governo, e con un sentimento patriottico nuovo verso un paese che si vorrebbe facesse parte del mondo moderno con onore e dignità.  Un paese che oggi ha bisogno, certo, di una rivoluzione, iniziando dal fare piazza pulita proprio del vecchiume ideologico e delle pastoie della conservazione che ancora imprigionano tanti giovani, allievi di cattivi maestri. Se si va ad analizzare le parole d’ordine scritte sui volantini di “Casa Pound”, quello che più immalinconisce è il vuoto che comunicano. Non c’è sostanza di pensiero, visione di futuro, anche solo accennata. Solo parole vuote, perimetro del niente. Pensiero al negativo : “tu non sei”. Non c’è nessuno sforzo per dire cosa si è. Cosa si vuole essere dopo la “rivoluzione”.  Da questo pensiero vuoto è nato in qualcuno l’idea di andare ad imbrattare i muri della sede locale della Federazione della Sinistra. “Il sonno della ragione genera mostri” scriveva Goya. La madre degli sciocchi è molto prolifica, dico io per non sprecare parole tanto alte per una vicenda di piccina aggressività preistorica. 
 

giovedì 17 marzo 2011

Auguri Italia. Sì, ne è valsa la pena.

L’Italia ne ha viste davvero tante da quando i rappresentanti delle diverse province di una nazione allo stato nascente si riunirono in assemblea nel palazzo Carignano di Torino. Era il 17 marzo del 1861 e all’appuntamento con l’unificazione c’erano personaggi come Giuseppe Verdi.

A fare il miracolo erano state le idee, la politica il coraggio. Mazzini, Gioberti, D’Azeglio, Cattaneo, padri del variegato pensiero risorgimentale, insieme al coraggio di personalità generose come Garibaldi ed al genio politico di Cavour  riuscirono a comporre in entità nazionale  un mosaico di governi srotolati in modo sghembo sullo Stivale. “Un’espressione  geografica”, la definiva Metternich. “ Un paese di morti”, secondo Lamartine.

 Una babele di dialetti e di dinastie, anche straniere, che facevano del nostro paese un aggregato sociale e politico arretrato ed incapace di competere con le altre nazioni europee.  Non fu impresa facile, anzi, costò lacrime e sangue. Allo storico Gaetano Salvemini dobbiamo la contabilità dei caduti di parte piemontese e garibaldina.  Custoza ( 1848) 270. Curtatone: 166. Novara ( 1849) 578. Cernaia ( Crimea) 14. S.Martino(1859)761. Varese:22. Calatafimi: (1860) 30.  Volturno 506. Castefidardo:61. Bezzecca:121. Custoza( 1866) 736. Lissa: 620. Mentana 150.

Ne è valsa la pena? Per rispondere basta risalire alla condizione preunitaria delle classi  sociali, oppresse dall’ingiustizia sociale, dalla diseguaglianza, dall’analfabetismo ( dall’86% al 90%), dalla miseria e dalla mancanza di libertà, da un carico fiscale tutto a carico della povera gente. Il Meridione aveva la condizione peggiore, con l’endemico fenomeno del brigantaggio e della camorra, di cui i Borboni facevano ampio uso. E mentre il mercato europeo aveva da tempo abbandonato il protezionismo, da noi l’industria campava grazie alle commesse pubbliche.

Al centro e al Nord non andava meglio. La rivoluzione risorgimentale, nonostante il pensiero corrente, becero, di una parte politica, la Lega ( paradossalmente responsabile della provocazione di un nuovo sentimento patriottico), ha giovato a tutti, compresi i territori dove oggi corre la parola d’ordine del “ non” festeggiare.  Sì, ne è valsa la pena. La storia non si fa con i se, lo si sa, ma, nonostante il cammino difficile verso la modernizzazione, nonostante non si possa sempre parlare di “ magnifiche sorti e progressive”(Leopardi), nonostante “ l’Italietta” giolittina, il Fascismo, le disfunzioni politiche del passato e del presente, nonostante il permanere di problemi di arretratezza di parti consistenti del Paese, della scarsa coesione nazionale, di tante incomprensioni tra nord e sud, siamo diventati una grande potenza.

Una nazione ricca  e potenzialmente nelle condizioni di competere con il mercato mondiale. Cosa che difficilmente sarebbe potuto accadere se 150 anni fa non fosse avvenuto il miracolo dell’unità. Come ha detto il Presidente Napolitano, divisi in otto staterelli saremmo “ stati spazzati via dalla storia” . E’ con questo pensiero che festeggio l’Italia. Senza retorica.

lunedì 14 marzo 2011

La questione dei rifiuti spiegata da Giocondi

La lunga ed estenuante vicenda della gestione del ciclo dei rifiuti solidi urbani è questione su cui ammattisco da tempo, perché parlando con i diversi protagonisti assisto ogni volta ad un pirandelliano gioco delle parti dove il colpevole è sempre altrove. Per provare a capirci qualcosa di più ho preso al volo la recente uscita dal Pd dell’ex vicepresidente della Provincia Roberto Giocondi. Perdita di rilievo, per inciso, del Partito democratico, visto che è uno dei pochi di cui si possono elencare le cose fatte. Uno che del tema rifiuti si è occupato a lungo.

L’architetto Giocondi ha gentilmente accettato di ripercorrere tutti i segmenti progettuali dell’ultimo decennio per rendere il territorio autosufficiente rispetto allo smaltimento dei suoi rifiuti ed i perniciosi impedimenti venuti dalla Asm, Spa semipubblica di Rieti. Con passione, nel senso pieno del termine compresa la sofferenza, ha ricordato il fallimento della realizzazione a Contigliano, nel 2000, di un Centro di selezione, grazie alla Asm, da lunghissimo tempo guidata da Luigi Gerbino, sostenuto nel boicottaggio da Storace, allora presidente della Regione. 

Con rammarico ha ammesso la sconfitta, da amministratore, da parte di una azienda che, pur avendo “una flotta imponente di mezzi e uomini“, ha prodotto solo guadagni economici, mentre niente ha fatto “sul terreno della raccolta e dello smaltimento”. Che, anzi, impedendo qualsivoglia intervento a favore dell’autosufficienza dello smaltimento, ha regalato ai reatini la Tarsu più alta d’Italia. Non è servito, dice amaramente Giocondi, vincere ricorsi al Tar, né ottenere ragione dal Consiglio di Stato. 

Grazie a Storace, l’Asm ottenne il trasferimento a Casapenta dell’impianto di selezione che non sarà mai realizzato. In compenso, si fece una società: “Rieti Ambiente”, con la Sao, Spa di Orvieto, che scomparve ingoiata dalle tenebre del nulla. Giocondi ha un miliardo di ragioni sulla Asm, una delle tante società miste sospese tra lo status di strumento privatistico e quello pubblicistico. Un’azienda a capitale pubblico di maggioranza comunale, guidata da un decennio dal medesimo presidente, Luigi Gerbino, di nomina politica, ma più attento agli obiettivi economici che alla “tutela degli interessi collettivi”. 

Guadagni che la componente pubblica non utilizza a favore delle politiche ambientali, visto le due lire date all’assessorato dell’ambiente (ndr). Tutto vero, ma dovendo fare l’avvocato del bene pubblico non posso non ricordargli gli errori della Provincia: il ritardo del piano dei rifiuti e l’uso a pioggia dei 6 milioni erogati da Marrazzo per la raccolta differenziata, dispersi in materiale inutilizzato e attrezzature, mezzi e personale distribuiti a comuni che ne hanno fatto tutt’altro uso. Uno spreco inaccettabile che ha aumentato l’impasse. 

Come rischia di finire nell’impasse l’intero Piano, fatto per garantire al territorio la non più rinviabile autosufficienza ( possiamo conferire la nostra spazzatura a Viterbo solo fino al 2015), grazie alla realizzazione di quattro eco centri comprensoriali e di tre impianti per lo smaltimento: di compostaggio, a Cittaducale; di valorizzazione a Contigliano; di selezione a Casapenta. 

Un piano complesso, come lo è in generale il ciclo dei rifiuti, avvelenato da interessi economici non sempre limpidi, da resistenze sociali a qualsivoglia soluzione in nome del principio “Nimby”, non nel mio giardino, alla inerzia dei sindaci. Per evitarlo è nata la proposta di una società pubblica provinciale che avrebbe la funzione di governance territoriale del processo dei rifiuti. Naturalmente ci sono favorevoli e contrari, per ragioni accettabili ed altre pretestuose. Giocondi non è contrario, ma pone una questione di buon senso. 

L’idea di per sé è buona, a patto che non finisca nel solito carrozzone”. Di buon senso sono anche le obiezioni fatte attraverso questo giornale al Comune, responsabile di atteggiamenti troppo compiacenti o passivi verso la Asm e la Regione. Meno condivisibili sono, a mio vedere, le critiche rivolte all’assessore Boncompagni, al quale va riconosciuto di aver attivato con fatica e con povertà di mezzi la raccolta porta a porta a Rieti. 

Anche se parziale, con le inevitabili difficoltà che il sistema comporta per chiunque ed al di là della questione legata al rapporto tra demografia e risorse assegnate, il mancato contributo, dovuto e assicurato da tempo al Comune di Rieti, va dato. Se non lo si fa si da’ solo una mano a chi ha tutto l’interesse a far fallire il progetto della differenziata a Rieti ed a mantenere inalterato lo status quo.

domenica 6 marzo 2011

Se la città perde la virtù

Secondo uno studio della Cgia di Mestre sulle conseguenze del federalismo municipale, recentemente approvato da Montecitorio, il comune laziale più penalizzato dalla nuova legge sarà Rieti, con una perdita di 71 euro procapite. Tanto ci dovrebbe costare una riforma che ci regala il triste primato di comune meno “virtuoso” del Lazio, seguiti da Latina, 41 euro e Viterbo, 8 euro.

Forse ci salverà un “Fondo sperimentale di riequilibrio” previsto dal decreto approvato, ma il numero 71 parla della disastrosa conduzione comunale di chi ci amministra da quasi un ventennio. Un ventennio speso a divorare territorio e ad allargare gli spazi edificati in ogni direzione, a scapito dell’ambiente e delle tasche del contribuente, chiamato a pagare i costi di diverse contese legali perse dal Comune per scelte urbanistiche risoltesi, alla fine, a favore di cittadini vittime di espropri, diciamo impropri, risarciti con una montagna di soldi grazie ad un iter iniziato col Tar e concluso dal Consiglio di Stato. Il tutto in nome dell’economia del cemento.

Una economia sostenuta grazie al ricorso alla legge167, nata negli anni ’60, lo ricordo, per favorire la proprietà della casa di ceti popolari, oggi snaturata nello spirito e nella sostanza originari: aumento demografico e condizioni economiche sostenibili dai meno abbienti rispetto all’offerta del libero mercato. Il primo non c’è, mentre i costi sembrano essere per nulla popolari. È in nome della 167 che si sono prodotti i più grandi scempi urbanistici degli ultimi decenni, tanto generosi verso le lobby del cemento quanto dannosi per gli abitanti delle ormai tante periferie reatine, povere di infrastrutture, particolarmente viarie e privati dell’unico bene rimasto ad un piccolo capoluogo di provincia divenuto sempre più marginale come il nostro: la qualità della vita.

È per difendere questo bene che si è costituito il Comitato cittadino via Benucci e via Fedri, ricorso al Tar, contro la localizzazione per l’edilizia economica e popolare del cosiddetto IV decennio, considerato responsabile dell’aumento della densità abitativa di una porzione di territorio che negli anni ha perso del tutto la sua natura semi rurale per assumere quella di denso agglomerato suburbano. Un agglomerato interessato da strani sversamenti fognari e dotato di una stretta via di scorrimento, la via Terminillese, sempre più trafficata ed inquinante. E le cose potranno solo peggiorare quando saranno ultimati i 600 appartamenti in costruzione tra la Zona residenziale e Vazia. Al Tar ha anche fatto ricorso Cittadinanzattiva, allo scopo di fermare la brutale cementificazione prodotta in nome della 167. Ma le cose che ho appena scritte sono note.

Il richiamo è servito solo ad introdurre un episodio, significativo, forse, di un certo modo di procedere della nostra vetusta maggioranza comunale. È da qualche giorno che è stato transennato uno dei terreni destinati alla edificazione sovvenzionata in zona Campoloniano. Uno di quelli che il Comitato e Cittadinanza attiva vorrebbero sottrarre alla colata di cemento. Il curioso che si avvicina trova un cartello dove è scritto: permesso a costruire n° 1466 del 21/02/2011 data inizio lavori 21/02/2011. Caspita che fretta! Penserà. Se il curioso è anche informato sul fatto che il Tar ha fissato l’udienza per i ricorsi il 14/04/2011 si domanderà ancora perché non si sia aspettato per iniziare i lavori.

Al curioso, nemmeno tanto smaliziato, può venire il dubbio che ci sia un nesso tra la fretta e la prossima udienza. Un dubbio che non dispone favorevolmente nei confronti di una amministrazione che negli anni è sembrata più al servizio della autoconservazione clientelare e lobbistica che della res publica. Ad un recente e affollato convegno organizzato dal consigliere Paolo Bigliocchi e da Alessio Pitotti, giovanissimo esponente del Consiglio dei giovani, si è molto invocato il ricambio della classe politica, la partecipazione, la riqualificazione urbana e la protezione dell’ambiente.

È stato consolante ascoltare tanti giovani interessati a fare meglio di chi li precede. Nel frattempo li invito a studiare il mirabile affresco senese di Ambrogio Lorenzetti: un trattato politico in immagini di buon governo e di cattivo governo. Il secondo è quello che guarda a ristretti interessi e non al bene comune. Il primo tiene in gran conto la produttività della città, renderla virtuosa.

Articolo pubblicato sul Giornale di Rieti

mercoledì 2 marzo 2011

La rivoluzione del desiderio

Il fondatore del Censis, Giuseppe De Rita, con il 44° Rapporto sullo stato socioeconomico italiano ci ha fotografato con la solita amara nitidezza: siamo un popolo ammalato di individualismo e con scarso spessore. L’unica energia che riusciamo a trovare è al servizio di un narcisismo che non varca altra soglia che non sia la soddisfazione delle pulsioni più immediate (anche le peggiori), mentre si dà scarso valore alla relazione con l’altro. 

In una società del genere non c’è possibilità di crescita, ma solo regressione, culturale, emotiva, economica, politica, lavorativa, produttiva, istituzionale, democratica, mentre cresce il sentimento di insicurezza. Un sentimento d’insicurezza che si manifesta con paure che in realtà ne mascherano altre molto più profonde. Si crede di aver paura del passaggio di nomadi, fermi per qualche giorno nel nostro territorio, ad esempio, mentre a preoccupare è quello che ricacciamo nell’inconscio, non volendo fare lo sforzo di capire ciò che veramente deve fare paura e che ci manca. 

Per capire dovremmo fare lo sforzo di pensare a cosa desideriamo. E solo dopo nascerebbe il vigore che ci manca. Perché è il desiderio che muove l’energia degli individui e delle società, come sta accadendo oggi per le popolazioni nordafricane e mediorientali. La sua assenza, invece, produce ignavia e rassegnazione, rendendoci vittime e responsabili ad un tempo di una condizione civile ed umana “povera di spessore”. Uno spessore ridotto a niente dalla scomparsa del merito, fattore di qualità nelle società aperte, produttive, capaci di pensiero critico e di pedagogia verso le giovani generazioni. 

Merito inteso come giusta ricompensa ricevuta o data in base all’impegno, alle capacità, alla qualità delle prestazioni richieste per una certa funzione. Merito che ci siamo rassegnati a non pretendere anche per coloro che ci amministrano e ci governano. Non a caso chiamati “onorevoli”. Onorevole vuol dire degno di rispetto, di stima, in quanto giudicato di valore. Ma il giudizio comporta la fatica di conoscere, di valutare,di distinguere ciò che è buono da ciò che non lo è, mentre da noi regna la confusione. Pensiamo ad un presidente del Consiglio che si fa processare in contumacia, producendo una grave ferita alla sostanza democratica e costituzionale del nostro paese cosa che al massimo produce reazioni da tifoseria tra antiberlusconiani e berlusconiani.

Consideriamo lo smantellamento del nostro sistema sanitario regionale, al quale reagiamo con qualche protesta individualistica, restando, tuttavia, collettivamente inerti, anche se ci dicono che nel frattempo la Regione, la cui commissione sulla sanità sembra del tutto superflua, inattiva e costosa ( chi vuole può leggersi in proposito quello che dice Rocco Berardo, consigliere regionale), continua con gli enormi sprechi, inefficienze insensate e pericolose sanatorie di accredito delle strutture private. 

Con la sostanziale correità, bisogna tristemente dirlo, con molta parte dell’opposizione. Nonostante quello che dice Perilli, oggi consigliere e ieri assessore, richiamando l’attenzione sullo scenario pauroso degli ospedali romani, da lazzaretto, descritto nella puntata di domenica scorsa di “ Presa diretta”. Né sembra creare particolare preoccupazione un Presidente del Consiglio che sbeffeggia la scuola pubblica alla stessa maniera con cui ha sbeffeggiato la giustizia. 

Se i giudici sono casi psichiatrici, gli insegnanti “non sono in grado di insegnare”, visto che “ inculcano” idee malsane nei propri allievi. Né il paese sembra preoccupato dei limiti che questo governo vuole porre alla nostra libertà di cura, né delle ridicole proposte per limitare la libera informazione della Rai. Ha ragione De Rita, se vogliamo avere un futuro più dignitoso dobbiamo riprendere a desiderarlo.

Articolo pubblicato