venerdì 20 marzo 2015

Un Comitato vincente e la buona cooperazione umbra

Diversi fattacci di cronaca politico-giudiziaria degli ultimi anni, a partire da quelli noti come «Mafia Capitale» per arrivare alla vicenda fiorentina sui grandi appalti di questi ultimi giorni, coinvolgono il mondo cooperativo. Se la cooperativa «29 giugno» di Salvatore Buzzi, grazie alle commistioni affaristico (criminali) - politico - istituzionali, è diventata un colosso economico che guadagnava ottenendo appalti sui servizi, il verde, la gestione di patrimoni pubblici, ma anche su Rom e immigrati, di coop rosse e cielline si parla anche nell’inchiesta fiorentina sulle grandi opere di questi giorni. 

Una cosa devastante per una realtà imprenditoriale che dovrebbe fare dell’etica e la solidarietà la sostanza del business, delle attività economiche. Qualcosa che potrebbe indurre a pensare che in un paese come l’Italia, piagata dalla corruzione (ancora non piegata, si spera) nulla si salva dal malaffare.

Ma la vittoria di un piccolo comitato reatino, quello dei “soci prestatori”, costituitosi dopo la crisi della Coop76, riesce contemporaneamente a fare scuola sulla forza dellavirtù civile, quando si attiva, e a non fare di tutta l’erba un fascio. 

Tutti o molti ricorderanno la vicenda che ha visto una storica cooperativa reatina finire nel fallimento e in un grottesco e incomprensibile percorso scelto dalla Lega Coop regionale (al tempo guidata da Stefano Venditti e commissariata dopo i fatti di “Mafia Capitale” dal presidente nazionale subentrato a Poletti, Mauro Lusetti), dall’amministrazione provinciale guidata da Fabio Melilli e da una parte del sindacato provinciale.

Invece che accogliere e sostenere l’offerta di una delle grandi cooperative di consumo del sistema nazionale, la Coop Centro Italia,2.700 dipendenti, più di 525mila soci, 614 milioni di euro di vendite, pronta ad assorbire i negozi e a garantire la restituzione di 2 milioni e 200mila euro ad 800 soci prestatori, l’allora presidente Venditti in testa, si preferì dare il fitto di ramo d’azienda ad una piccola neo-cooperativa di Latina: Evergreen.

Una cooperativa nata ad hoc: il 6 aprile la Lega Nazionale (guidata dall’attuale ministro Poletti) presenta l’istanza di messa in liquidazione della Coop76 e il 10 aprile nasce Evergreen, con un capitale di 225 euro e guidata da una imprenditrice agricola dell’agro pontino scelta da Nicola Zingaretti come assessore all’agricoltura.

Evergreen garantiva solo l’apertura dei negozi, ma abbandonava al loro destino d’incertezza lavorativa i 100 dipendenti e i creditori della cooperativa reatina: fornitori e soci prestatori. Questi ultimi, come mi disse Pierluigi Coccia, uno dei tre liquidatori, “anello debole della catena”. I meno garantiti di riprendere i 2milioni e 200mila euro prestati alla Coop76. Ma l’«anello debole», ha lavorato per tre anni, con caparbia determinazione, riuscendo ad ottenere quanto in tanti davano per perso.

Roberto Frizzarin, portavoce del Comitato soci prestatori della Coop76 oggi racconta soddisfatto : «Con l’apertura dell’ultimo negozio, abbiamo avuto la conferma dal dottor Raggi che dopo pochi giorni, il 2 febbraio, avremmo potuto riottenere le somme prestate recandoci nei punti delega dei vari negozi rimasti aperti. Ormai siamo quasi tutti rientrati in possesso del dovuto. Ma ancora qualcuno non lo ha fatto. Forse sono quelli rimasti ai margini della nostra azione».

Insieme a Frizzarin incontro altre due «combattenti» del comitato, Irene Giangreco Marotta e Onorina Silvestri. Quest’ultima, «utilissima per la sua competenza del mondo cooperativo», dicono Roberto e Irene, è nota anche fuori Rieti per una protesta messa in atto il 6 dicembre dello scorso anno, insieme ad altri dipendenti della Legacoop regionale, all’esterno del centro Congressi Frentani dove si svolgeva il congresso della Lega Coop Lazio. La protesta è nata da licenziamenti dopo 30 anni di servizio.

Il caso di Onorina Silvestri è quanto di più lontano dai valori della cooperazione riguardo al lavoro. Responsabile dell’ufficio provinciale di Legacoop regionale, nel settembre del 2010 venne posta in cassa integrazione e poi licenziata. La giustificazione era la crisi economica dell’ente regionale. Strano che poi i soldi per la presidenza e la vicepresidenza provinciale di Legacoop Lazio ci fossero (lavoravano gratis?). 

Nel marzo del 2011 vennero nominati Alessandro Toniolli e Federico Masuzzo.I fatti di «Mafia Capitale», seguiti dal commissariamento hanno azzerato tutte le nomine. E si spera che i licenziati, come Onorina Silvestri, ottengano giustizia.

Una giustizia che il Comitato dei soci prestatori di Rieti hanno ottenuto grazie al rispetto della parola data dal presidente della Coop Centro Italia, Giorgio Raggi. «Fin dall’inizio abbiamo capito che l’unica speranza per noi era che subentrasse nella proprietà la Coop Centro Italia e che andava seguita la strada della solidarietà e non quella giuridica, lunga e incerta. Va dato merito al dottor Raggi di non aver tradito la nostra fiducia», dice Frizzarin. 

Una regola del giornalismo è che fa notizia l’uomo che morde il cane e non viceversa. In una cronaca italiana fatta quotidianamente di notizie che non lasciano spazio ad altro se non alla corruzione, pubblica, istituzionale e privata, parlare, finalmente, di un colosso cooperativo, come quello umbro, rispettoso della vocazione della propria natura, ovvero del fare impresa contemperando gli affari e i profitti, con i fini mutualistici e solidaristici, che altro è se non una notizia? Una buona notizia. Finalmente.


Amatrice e l’arte di cavalcare il marketing virale

Ci si può anche scherzare sopra, ma quello che hanno fatto il sindaco Pirozzi e gli altri amministratori comunali di Amatrice,  paese montano della provincia di Rieti, è stato, sotto il profilo del marketing,  una mossa  azzeccata.  Per chi ancora non conoscesse i fatti un breve riepilogo. Carlo Cracco, chef  implacabile con gli aspiranti cuochi di Masterchef quando commettono errori , ospite della trasmissione di  Maria De Filippi, “ C’è posta per te”, interrogato sull’Amatriciana, ha rivelato che lui la fa con l’aglio in camicia. 
  
Non è che sia proprio un peccato grave, e in cucina, come in amore, de gustibus non disputandum est.  Ma per Amatrice la pasta all’Amatriciana è quello che la Coca Cola è per l’America e quello che la Nutella è per l’Italia: un marchio identitario  che non ammette variazioni.  Se aggiungi o togli qualcosa, sarà pure più buona, almeno per qualcuno, ma non è vera Amatriciana.

Questo, più o meno,  hanno spiegato gli amministratori  con un comunicato pubblicato sul sito ufficiale del Comune, ricordando che tre prodotti tipici della Città di Amatrice, il pecorino di Amatrice, il Guanciale Amatriciano, gli Gnocchi ricci,  hanno ottenuto il riconoscimento di tutela col marchio De.Co ( denominazione comunale). Insomma, nemmeno ad un famoso chef è consentita la libertà di usare un nome proprio di ricetta per  indicare qualcosa che non gli corrisponde.

Al di là del merito del pronto risentimento  generato dalle parole di  Cracco non si può che provare ammirazione per una amministrazione comunale che ha saputo cogliere al balzo una circostanza, di per sé minuta,  che poteva anche cadere nel nulla. Invece è stata raccolta e rilanciata con maestria: sono bastati pochi giorni per trasformare in slavina comunicativa la notizia sui mezzi d’informazione nazionali e internazionali e sui social network come Facebook e Twitter . I commenti  all’hashtag #Gracco, errore  forse involontario e forse no: tu ci cambi la ricetta e noi ti cambiamo la consonante, sono stati numerosi e babelici: scritti con lingue diverse.

Dall’Inghilterra all’Australia; dalla Francia, alla Spagna, alla Germania,  giornali e food blogger hanno parlato di Amatriciana fatta con guanciale, pecorino, vino bianco, pomodoro San Marzano, pepe e peperoncino. Punto. Insomma, la tradizione è stata difesa dal mondo globalizzato e digitalizzato e la reazione di Amatrice all’incauta variazione di Cracco ha fatto scrivere al The Guardian di Londra ” Italian birthplace of amatriciana denounces  chef’s  secret ingredient”  , la patria dell’amatriciana denuncia l’ingrediente segreto dello chef.

“ Italian birthplace”, certo, a giocare a favore dell’amministrazione comunale c’è un piatto che ha saputo nel tempo raccontare l’eccellenza italiana nel mondo. Una vetrina di un ristorante giapponese di Tokyo mi rese orgogliosa quando vidi che uno dei piatti di plastica, secondo l’arte del “ sampuru”, riproduzione del cibo offerto all’interno,   rappresentava gli  spaghetti all’Amatriciana. Ma negare la capacità di sindaco e amministrazione di cogliere al balzo una occasione per produrre  vantaggi al  il territorio sarebbe sbagliato.

La prontezza reattiva di Amatrice, infatti,  ha scatenato quello che si chiama marketing virale: si frutta la capacità del web di raggiungere una quantità infinita di persone attraverso la diffusione di un messaggio, di una notizia, di un post,  di un tweet.  E’ promozione gratuita. In questo caso, promozione territoriale gratuita.

Quando le risorse economiche scarseggiano, l’unica soluzione possibile è sostituirle con l’intelligenza e la vigilanza. E, trattandosi di una amministrazione, con l’unità d’intenti e di “ visione”. Oltre le divisioni e i recinti politici e di partito.

Giorni fa un amico reatino, piccolo imprenditore con le difficoltà triplicate dai problemi internazionali, nazionali e comunali,  mi chiedeva affranto:  “ Cosa differenzia, secondo te,  Amatrice da Rieti? Si tratta di  orgoglio  della propria storia e delle proprie risorse che a noi manca? Perché non siamo capaci di difendere il territorio e di valorizzare le tante potenzialità che abbiamo”? Vecchia storia, ricorrenti domande. “ Orgoglio e senso di responsabilità verso i cittadini sono leve potenti” , ho risposto, “ Perché  da noi, a Rieti, manchino io non lo so.  Qui si affonda nell’accidia e nell’incapacità di avere una visione comune. Posso dire solo questo”.


Ripetere, al solito, che il problema è antropologico, mi è sembrato riduttivo e inutile. Certo è che se fossi negli amministratori comunali reatini proverei ad apprendere da quelli che con una “ visione” comune stanno lavorando a fare di un piccolo paese laziale un protagonista globale. Un modello da imitare, sempre se ne abbia voglia e capacità.

Un Comitato vincente e la buona cooperazione umbra

Diversi fattacci di cronaca politico-giudiziaria degli ultimi anni, a partire da quelli noti come «Mafia Capitale» per arrivare alla vicenda fiorentina sui grandi appalti di questi ultimi giorni, coinvolgono il mondo cooperativo. Se la cooperativa «29 giugno» di Salvatore Buzzi, grazie alle commistioni affaristico (criminali) - politico - istituzionali, è diventata un colosso economico che guadagnava ottenendo appalti sui servizi, il verde, la gestione di patrimoni pubblici, ma anche su Rom e immigrati, di coop rosse e cielline si parla anche nell’inchiesta fiorentina sulle grandi opere di questi giorni. 

Una cosa devastante per una realtà imprenditoriale che dovrebbe fare dell’etica e la solidarietà la sostanza del business, delle attività economiche. Qualcosa che potrebbe indurre a pensare che in un paese come l’Italia, piagata dalla corruzione (ancora non piegata, si spera) nulla si salva dal malaffare.

Ma la vittoria di un piccolo comitato reatino, quello dei “soci prestatori”, costituitosi dopo la crisi della Coop76, riesce contemporaneamente a fare scuola sulla forza dellavirtù civile, quando si attiva, e a non fare di tutta l’erba un fascio. 

Tutti o molti ricorderanno la vicenda che ha visto una storica cooperativa reatina finire nel fallimento e in un grottesco e incomprensibile percorso scelto dalla Lega Coop regionale (al tempo guidata da Stefano Venditti e commissariata dopo i fatti di “Mafia Capitale” dal presidente nazionale subentrato a Poletti, Mauro Lusetti), dall’amministrazione provinciale guidata da Fabio Melilli e da una parte del sindacato provinciale.

Invece che accogliere e sostenere l’offerta di una delle grandi cooperative di consumo del sistema nazionale, la Coop Centro Italia,2.700 dipendenti, più di 525mila soci, 614 milioni di euro di vendite, pronta ad assorbire i negozi e a garantire la restituzione di 2 milioni e 200mila euro ad 800 soci prestatori, l’allora presidente Venditti in testa, si preferì dare il fitto di ramo d’azienda ad una piccola neo-cooperativa di Latina: Evergreen.

Una cooperativa nata ad hoc: il 6 aprile la Lega Nazionale (guidata dall’attuale ministro Poletti) presenta l’istanza di messa in liquidazione della Coop76 e il 10 aprile nasce Evergreen, con un capitale di 225 euro e guidata da una imprenditrice agricola dell’agro pontino scelta da Nicola Zingaretti come assessore all’agricoltura. Un assessore con tanto di rinvio a giudizio, ma mai sospesa dal ruolo istituzionale come tanti del Pd oggi chiedono al ministro Lupi.

Evergreen garantiva solo l’apertura dei negozi, ma abbandonava al loro destino d’incertezza lavorativa i 100 dipendenti e i creditori della cooperativa reatina: fornitori e soci prestatori. Questi ultimi, come mi disse Pierluigi Coccia, uno dei tre liquidatori, “anello debole della catena”. I meno garantiti di riprendere i 2milioni e 200mila euro prestati alla Coop76. Ma l’«anello debole», ha lavorato per tre anni, con caparbia determinazione, riuscendo ad ottenere quanto in tanti davano per perso.

Roberto Frizzarin, portavoce del Comitato soci prestatori della Coop76 oggi racconta soddisfatto : «Con l’apertura dell’ultimo negozio, abbiamo avuto la conferma dal dottor Raggi che dopo pochi giorni, il 2 febbraio, avremmo potuto riottenere le somme prestate recandoci nei punti delega dei vari negozi rimasti aperti. Ormai siamo quasi tutti rientrati in possesso del dovuto. Ma ancora qualcuno non lo ha fatto. Forse sono quelli rimasti ai margini della nostra azione».

Insieme a Frizzarin incontro altre due «combattenti» del comitato, Irene Giangreco Marotta e Onorina Silvestri. Quest’ultima, «utilissima per la sua competenza del mondo cooperativo», dicono Roberto e Irene, è nota anche fuori Rieti per una protesta messa in atto il 6 dicembre dello scorso anno, insieme ad altri dipendenti della Legacoop regionale, all’esterno del centro Congressi Frentani dove si svolgeva il congresso della Lega Coop Lazio. La protesta è nata da licenziamenti dopo 30 anni di servizio.

Il caso di Onorina Silvestri è quanto di più lontano dai valori della cooperazione riguardo al lavoro. Responsabile dell’ufficio provinciale di Legacoop regionale, nel settembre del 2010 venne posta in cassa integrazione e poi licenziata. La giustificazione era la crisi economica dell’ente regionale. Strano che poi i soldi per la presidenza e la vicepresidenza provinciale di Legacoop Lazio ci fossero (lavoravano gratis?). 

Nel marzo del 2011 vennero nominati Alessandro Toniolli e Federico Masuzzo.I fatti di «Mafia Capitale», seguiti dal commissariamento hanno azzerato tutte le nomine. E si spera che i licenziati, come Onorina Silvestri, ottengano giustizia.

Una giustizia che il Comitato dei soci prestatori di Rieti hanno ottenuto grazie al rispetto della parola data dal presidente della Coop Centro Italia, Giorgio Raggi. «Fin dall’inizio abbiamo capito che l’unica speranza per noi era che subentrasse nella proprietà la Coop Centro Italia e che andava seguita la strada della solidarietà e non quella giuridica, lunga e incerta. Va dato merito al dottor Raggi di non aver tradito la nostra fiducia», dice Frizzarin. 

Una regola del giornalismo è che fa notizia l’uomo che morde il cane e non viceversa. In una cronaca italiana fatta quotidianamente di notizie che non lasciano spazio ad altro se non alla corruzione, pubblica, istituzionale e privata, parlare, finalmente, di un colosso cooperativo, come quello umbro, rispettoso della vocazione della propria natura, ovvero del fare impresa contemperando gli affari e i profitti, con i fini mutualistici e solidaristici, che altro è se non una notizia? Una buona notizia. Finalmente.