domenica 20 maggio 2012

Rieti e l'Italia hanno detto no al terrore Sottotitolo: Brindisi come Utoya. Quando si colpiscono i giovani si colpisce la carne viva di una società


L'impressione suscitata dall'attentato alla scuola di Brindisi intitolata a Morvillo-Falcone si è potuta misurare dal fatto che tutti i networck del mondo gli hanno riservato un enorme spazio, da Aljazeera alla CNN, e dal numero delle manifestazioni spontanee che hanno riempito le piazze d'Italia. Rieti compresa. L'attentato di Brindisi non ha avuto nulla a che vedere, per fortuna, in termini di quantità con la strage di giovani compiuta in Norvegia il 23 luglio dello scorso anno, quando a morire per mano di un delirante terrorista furono in 69. Ma la qualità è la medesima. Quando si colpiscono dei giovani si vuole colpire la carne viva di una società.

Ad uccidere gli studenti norvegesi in vacanza sull'isola di Utoya fu una mano armata dall'ideologia ultra nazionalista. Breivik, nome dell'assassino, ora in carcere in attesa della condanna, è un poveraccio avvelenato d'odio narcisistico verso chiunque avesse connotati identitari diversi dai suoi. Chi ha colpito a Brindisi è ancora sconosciuto. Ancora non ha un volto, ma si può supporre, chiunque sia, che condivida con l'autore della strage il medesimo risentimento verso la vita che è nel pieno della sua fioritura e che ossigena gli spazi abitati di futuro . E quale spazio migliore di una scuola per far risuonare la vita ed il futuro?

“Con la scuola di Brindisi sono state colpite tutte le scuole d'Italia”, ha detto il procuratore Grasso, aggiungendo che si tratta di “ terrorismo puro”. Se il terrorismo, per sua natura, ha lo scopo di seminare insicurezza, non c'è dubbio che l'intento di chi ha colpito, si tratti di un gesto isolato o meno, è stato quello di privare la scuola della sua natura protettiva. Non c'è nulla di peggio, per un genitore, che vivere il luogo dell'istruzione come un pericolo invece che come uno spazio dove il proprio figlio va a formarsi per diventare un adulto consapevole, un cittadino creativo e capace di produrre, non di sperimentare la distruzione.

Chi colpisce una scuola è un vigliacco. Come chi, armato, spara su giovani inermi in vacanza su un'isola. Una comunità ferita che sa reagire con partecipazione civile, come è avvenuto ieri in Italia e lo scorso anno in Norvegia, è in grado di sconfiggere qualsiasi volontà distruttiva da parte di singoli, gruppi organizzati, ideologi del terrore razzista, criminalità organizzata, folli rinchiusi nella solitudine con i propri fantasmi. Le piazze d'Italia hanno detto a chi ha colpito a morte la giovane Melissa e ferito gravemente altri studenti ( ferite che lasceranno segni odiosi sul corpo e nella mente) che ha fallito. A Rieti, come altrove, l'odio ha suscitato solidarietà oltre ogni steccato.

A poche ore da elezioni che hanno suscitato, come è normale in ogni democrazia, polemiche forti, a volte sciocche, tra avversari, in tanti ci siamo ritrovati nella piazza del Comune, in un girotondo intorno ad una pila di libri portati dai manifestanti, sotto le bandiere a mezz'asta della Provincia. Sinistra, destra, radicali e moderati, ci siamo ritrovati insieme, come un'orchestra dove la differenza dello strumento ha l'unico scopo di produrre la stessa musica. E' stata la risposta migliore a chi, in balia di chissà quali demoni, ha voluto spezzare vite, produrre dolore dove fioriscono amicizie, isolare nella paura, rinchiudere nella propria insicurezza.

“ Abbiamo vinto noi”, hanno detto i sopravvissuti di Utoya al processo di qualche giorno fa. Ieri l'Italia ha detto: vinceremo noi. Ora spetta alle istituzioni ed alla macchina investigativa dimostrare che lo Stato c'è ed è in grado di rispondere con rapidità e perizia alla domanda di giustizia degli italiani.