L'impressione suscitata dall'attentato
alla scuola di Brindisi intitolata a Morvillo-Falcone si è potuta
misurare dal fatto che tutti i networck del mondo gli hanno riservato
un enorme spazio, da Aljazeera alla CNN, e dal numero delle
manifestazioni spontanee che hanno riempito le piazze d'Italia. Rieti
compresa. L'attentato di Brindisi non ha avuto nulla a che vedere,
per fortuna, in termini di quantità con la strage di giovani
compiuta in Norvegia il 23 luglio dello scorso anno, quando a morire
per mano di un delirante terrorista furono in 69. Ma la qualità è
la medesima. Quando si colpiscono dei giovani si vuole colpire la
carne viva di una società.
Ad uccidere gli studenti norvegesi in
vacanza sull'isola di Utoya fu una mano armata dall'ideologia ultra
nazionalista. Breivik, nome dell'assassino, ora in carcere in attesa
della condanna, è un poveraccio avvelenato d'odio narcisistico verso
chiunque avesse connotati identitari diversi dai suoi. Chi ha colpito
a Brindisi è ancora sconosciuto. Ancora non ha un volto, ma si può
supporre, chiunque sia, che condivida con l'autore della strage il
medesimo risentimento verso la vita che è nel pieno della sua
fioritura e che ossigena gli spazi abitati di futuro . E quale spazio
migliore di una scuola per far risuonare la vita ed il futuro?
“Con la scuola di Brindisi sono state
colpite tutte le scuole d'Italia”, ha detto il procuratore Grasso,
aggiungendo che si tratta di “ terrorismo puro”. Se il
terrorismo, per sua natura, ha lo scopo di seminare insicurezza, non
c'è dubbio che l'intento di chi ha colpito, si tratti di un gesto
isolato o meno, è stato quello di privare la scuola della sua natura
protettiva. Non c'è nulla di peggio, per un genitore, che vivere il
luogo dell'istruzione come un pericolo invece che come uno spazio
dove il proprio figlio va a formarsi per diventare un adulto
consapevole, un cittadino creativo e capace di produrre, non di
sperimentare la distruzione.
Chi colpisce una scuola è un
vigliacco. Come chi, armato, spara su giovani inermi in vacanza su
un'isola. Una comunità ferita che sa reagire con partecipazione
civile, come è avvenuto ieri in Italia e lo scorso anno in Norvegia,
è in grado di sconfiggere qualsiasi volontà distruttiva da parte di
singoli, gruppi organizzati, ideologi del terrore razzista,
criminalità organizzata, folli rinchiusi nella solitudine con i
propri fantasmi. Le piazze d'Italia hanno detto a chi ha colpito a
morte la giovane Melissa e ferito gravemente altri studenti ( ferite
che lasceranno segni odiosi sul corpo e nella mente) che ha fallito.
A Rieti, come altrove, l'odio ha suscitato solidarietà oltre ogni
steccato.
A poche ore da elezioni che hanno
suscitato, come è normale in ogni democrazia, polemiche forti, a
volte sciocche, tra avversari, in tanti ci siamo ritrovati nella
piazza del Comune, in un girotondo intorno ad una pila di libri
portati dai manifestanti, sotto le bandiere a mezz'asta della
Provincia. Sinistra, destra, radicali e moderati, ci siamo ritrovati
insieme, come un'orchestra dove la differenza dello strumento ha
l'unico scopo di produrre la stessa musica. E' stata la risposta
migliore a chi, in balia di chissà quali demoni, ha voluto spezzare
vite, produrre dolore dove fioriscono amicizie, isolare nella paura,
rinchiudere nella propria insicurezza.
“ Abbiamo vinto noi”, hanno detto
i sopravvissuti di Utoya al processo di qualche giorno fa. Ieri
l'Italia ha detto: vinceremo noi. Ora spetta alle istituzioni ed alla
macchina investigativa dimostrare che lo Stato c'è ed è in grado di
rispondere con rapidità e perizia alla domanda di giustizia degli
italiani.