sabato 14 dicembre 2013

Nomina di primario last minute e la sanità che non cambia verso

La vittoria strepitosa di Matteo Renzi, nuovo segretario del Pd, apre a qualche speranza di cambiamento. Questa è la ragione che ha spinto tanti cittadini a votare un giovane sindaco nel quale hanno visto il coraggio, la pragmaticità della proposta ( checchè ne dicano quelli che ancora non la colgono, nelle parole del nuovo segretario del Pd, la proposta c'è e come), la schiena dritta, la possibilità di “ cambiare verso”.

La speranza c'è, ma non ha grandi scorte di pazienza. E se c'è un ambito dove il bisogno di cambiamento è più pressante è quello del SSN. Nessun altro servizio pubblico è così saldamente tenuto nelle disponibilità di chi oggi riesce a conquistare la presidenza di una regione. Con le dovute differenze, in tutte le regioni italiane si assegna il potere di nomina dei direttori generali ai governatori e quelle dei primari ai direttori generali.

Se il primo caso si può giustificare col principio dell'adesione del nominato agli orientamenti politici del nominante ( una sorta di spoils system), nel secondo caso il metodo appare quanto meno discutibile. La scelta di un primario dovrebbe a vere come unico criterio la qualità della prestazione da offrire ai malati e la salute dell'azienda pubblica. Dotare un ospedale anche di un solo reparto d'eccellenza, ormai è chiaro, è l'unica maniera d'invertire il fenomeno dell'esodo verso altri nosocomi e di mantenere vitali e funzionanti gli ospedali senza correre il rischio di chiusura.

Lo strano caso, temo non insolito, di un concorso per primario di Ortopedia all'ospedale De Lellis, bandito quattro anni fa, dato per morto, poi risorto, di nuovo messo in sonno e giunto in conclusione proprio allo scadere del mandato del Direttore Generale della Asl Riccardo Gianani, sembra andare, invece, in tutt'altra direzione.

Un concorso last minute, si potrebbe dire. La domanda è: da cosa è derivata tanta fretta, dopo tanto rimandare? Ed è giusto che un dirigente scaduto decida per una azienda che ormai passerà in altre mani? Zingaretti era d'accordo? E siamo sicuri che la scelta del nominato sia stata basata sul criterio meritocratico delle qualità richieste ad un primario? ( prestazioni medico-chirurgiche, attività di studio, di ricerca, di programmazione e di direzione dell'unita operativa?). Insomma, è stato scelto il migliore tra gli idonei?

L'ultimo atto di Gianani, direttore generale nominato da Polverini, “in quota” Cicchetti , che è riuscito a scontentare tutti e a lasciare la nostra sanità più squinternata e impoverita di come l'ha trovata , a cosa è dovuto? Sembra quasi l'ultimo sberleffo dato ai malati, al territorio, al De Lellis, ad un'azienda sanitaria che sembra destinata a finire accorpata con Viterbo. E ci possiamo giurare, non sarà Rieti ad avere la meglio. Non sarà Rieti a trarne vantaggio.

Esistono precedenti che aiutano a capire come finirà. Poco dopo la nomina, l'ex direttore generale ha provveduto alla chiusura dei piccoli ospedali di Magliano e Amatrice con una velocità esecutiva non imitata dai colleghi delle altre province laziali. Se i nostri ospedali periferici non ci sono più, resiste quello di Acquapendente ( Viterbo): 8 posti letto e 130 tra medici e infermieri fino al 2010.

Nel convincimento, errato, che si stesse realizzando la necessaria e giusta riorganizzazione del sistema sanitario locale, come avvenuto in altre regioni, chi scrive elogiò la scelta di Gianani. Mai, come in questo caso, vale il detto “ confondere i desideri con la realtà”. Il risultato dell'azione ultra tempestiva del direttore che parlava cinese e che voleva portare a Magliano Sabina la medicina orientale ( continuo a pensare che non fosse intento così peregrino, ma nulla si è fatto) è stato lo smantellamento senza ricostruzione.

Alla chiusura dei presidi ospedalieri di Amatrice e Magliano, poi, non è seguita la nascita di strutture di lungodegenza e riabilitazione. Nulla si è fatto per la medicina territoriale. Non è seguita, soprattutto, un'azione per rendere più efficienti i servizi erogati dal De Lellis, al fine di compensare la perdita dei due piccoli presidi territoriali. Nulla si è fatto in tal senso. E a nulla è servito che accanto a Gianani ci fosse un Direttore amministrativo reatino, di annosa esperienza, come Adalberto Festuccia.

La nomina del primario di Ortopedia, poteva essere l'occasione per il salto di qualità del nostro ospedale almeno in un settore. Qualcosa che avrebbe dovuto interessare anche il nostro sindaco. E invece le cose sono andate avanti con la consueta stracca continuità. Con la complicità, direi culturale , di tutti. Non guardando un tacca più in alto dell'ordinaria amministrazione e dell'orticello da zappare mirando a basse produzioni. Nessun guizzo, nessuna sorpresa. La fine era nota.

Domenico Teodori, segretario della Uil, il 21 giugno scorso, a proposito di Gianani, scriveva su questo giornale di “ smantellamento pianificato” e di “ spregiudicatezza senza precedenti”. Io non lo so se la decisione di lasciare traccia di sé attraverso una nomina sia dovuto alla volontà di danneggiarci.

Senza nulla togliere al prescelto, il dottor Riccardo Mezzoprete, dentista/ortopedico reatino, temo che se non c'è stata la volontà di far male, non ce n'è stata nemmeno quella di far bene. Tra i candidati c'era qualche eccellenza che avrebbero potuto dare al nostro nosocomio, sempre più immiserito, una possibilità di collocarsi sul piano dell'offerta sanitaria regionale in termini competitivi. Non si è fatto.

Dopo aver cercato informazioni sui più diversi fronti, mi sembra di capire che non si è fatto per quel totem che è la “continuità”. A giustificare la scelta sembra ci sia il buon carattere del dottor Mezzoprete, per qualche tempo facente funzioni di primario. Medici ed infermieri lo apprezzano e la struttura procede con armonia. Forse a pesare è stata anche la “reatinità”: meglio non correre rischi con chi viene da fuori.

Insomma, hanno vinto la consuetudine, la voglia di non avere sorprese, di non dover cambiare assetti. Meglio non correre il rischio di “azzardi”. Ha vinto la continuità. E qui torniamo all'inizio, quando parlavo di Renzi e della domanda di cambiamento. Si vedrà qualche cambiamento con Zingaretti, cuperliano e molto introdotto nel sistema dei partiti? Da quanto si vede nel caso che ho raccontato, non sembra probabile. I fatti ci diranno se è l'ultimo colpo di coda del vecchio o la continuazione del vecchio nei tempi nuovi. Peccato, però.


mercoledì 6 novembre 2013

Un «cimiterino» può far male alla 194?

Leggo l'articolo di Marina Terragni intitolato: «Sepoltura dei feti: approvata la delibera della giunta Renzi» e il raccapriccio schizza in alto in un baleno. Il tema delle “sepolture” già di per sé non dispone alla leggerezza, ma se occhi, cervello e cuore corrono lungo righe che parlano di sepolture di «feti», di «dimensione di fosse», di «urne» e «monumentini», di «prodotti abortivi del concepimento» il risultato è che all'inquietudine si aggiunge lo sgomento. 

Sono arrabbiata col sindaco di Firenze. Sarà mica vero che è «destrorso»? Come fa, mi chiedo, a prestarsi a robe simili? Sono cose da lasciare al fanatismo di quelli dei Pro-Life e del Movimento della Vita. È roba da reazionari con tratti marcati d'integralismo cattolicista. Quando la decisione l'ha presa Alemanno sono andata oltre pensando che da uno di destra non c'era da aspettarsi troppo in merito ai diritti civili e «temi eticamente sensibili». Penso.

E mentre penso, cerco articoli e materiale pubblicistico d'attualità, domando, indago nei meandri del senso comune. Trovo l'articolo di Lidia Ravera, giornalista, scrittrice ed ora assessore (strano l'uso del maschile per l'appellativo scelto dal giornale) pubblicato sull'Huffington Post. Dall'incipit comincio ad urtarmi: sento puzza di ostilità. Non solo verso la delibera incriminata. Verso Renzi.

Cerco cosa dice Renzi: «Non capisco le polemiche... Conosco amici che hanno dovuto affrontare il lutto di sapere qualche ora prima del parto che il cuoricino del bimbo atteso per nove mesi non batteva più». E ancora. La delibera è in «riferimento alle sepolture previste di cui all’art.7 del decreto del Presidente della Repubblica del 10/9/1990 e nel rispetto dell’art.50 lett.d, è confermata la prassi consolidata».

Continuo la ricerca e trovo il blog di Civati. Il contendente alla segreteria del Pd di Renzi, scrive: «A chi mi chiede di rispondere  dico che ha ragione a preoccuparsi e che la 194 è stata largamente disattesa, e che è profondamente sbagliato procedere con iniziative come quella assunta a Firenze.. (lo dissi anche quando la stessa cosa passò in Lombardia, anni fa)», ha scritto sul suo blog, aggiungendo di essere preoccupato per la «morale dominante che ha poco di morale e molto di dominante», per il «maschilismo» e per «l'incapacità di comprendere la cultura della differenza». 

«Cultura della differenza».  Penso che il giovanotto, bello come un principe e tanto politicamente corretto e apprezzato dalla sinistra con «la puzza sotto al naso» (Renzi) parla, anzi, scrive con linguaggio datato.  Un linguaggio da femministe che  sotto sotto coltivavano (e coltivano) un pensiero che a me è sempre sembrato reazionario.  Da libro della Genesi: «Maschio e femmina li creò». 

Su una cosa, invece, Civati ha ragione. Bisogna preoccuparsi per la 194.  Convinta sostenitrice del diritto della donna a non essere considerata una macchina riproduttiva senza diritto di scelta e del valore di civiltà della legge nata 35 anni fa, ora mi domando: sono degli spazi cimiteriali dedicati a «genitori» (le tombe sono per i vivi, non per i morti: Foscolo docet) che continuano a sentirsi tali anche verso la vita che non è riuscita a compiersi i nemici della 194? Più ci penso, meno ne sono convinta. 

So quanto i movimenti Pro-Life siano mossi da fanatismo religioso e di quante astuzie siano capaci per colpevolizzare le donne che ricorrono alla Ivg ed i medici abortisti (facendoli sentire assassini ). Ma nemmeno il raccapricciante video, ricevuto su Facebook, di funerali collettivi di embrioni infilati in scatole bianche da scarpe e messi in piccole fosse (una cerimonia che ricorda quello che si fa con gli animali domestici, se non fosse la presenza di preti benedicenti),  mi convince che quella roba possa far regredire il senso comune verso la cultura dell'aborto clandestino.

Cerco conferma o smentita di quanto penso con un sondaggio, di quelli empirici, ma non pretendo scientificità. Cerco solo di capire se la mia percezione ha origini solipsistiche o se ha qualche riscontro altrove. Approfitto di un incontro politico del Pd. Ci sono uomini e diverse donne. Propongo il tema. Dalle storiche ex comuniste alle storiche ex diccine, alle più giovani. La risposta è stata tiepida. Nessuna sembrava particolarmente scossa. Una mi racconta dei suoi aborti naturali e sorridendo malinconica mi confessa di pensare spesso ai due «figli» persi. Mi dice di essersi chiesta più volte che fine avessero fatto. 

Già! Che fine fanno? Non c'è bisogno di essere feticisti pseudo-religiosi (il cristianesimo è amore e misericordia, non accanimento,  se non vado errata) della vita vegetale per essere in grado di condividere la difficoltà a considerare i «prodotti abortivi» rifiuti speciali. Basta essere laici per riconoscere il diritto ad ogni sensibilità, culturale o religiosa che sia, di essere rispettata. E quindi: dove vanno i bambini «non nati»? Insomma, la Lav sta raccogliendo le firme per cimiteri per cani. Una relazione di «amorosi sensi» ha tante declinazioni. 

Il dottor Quirino Ficorilli, direttore del Materno Infantile di Rieti, alla mia domanda risponde con sorpresa: nemmeno lui ci ha mai pensato. Il direttore ha una storia di sinistra. Molto più della mia, che sono «liberal», ma ci ritroviamo a pensare che non è una domanda così peregrina. Si impegna ad informarsi se c'è domanda di luoghi per non nati anche nel nostro ospedale. Poi, mi rassicura sull'applicazione della 194 dalle nostre parti.

«Da noi c'è  grande rispetto per le donne che ricorrono al consultorio chiedendo di abortire. Naturalmente mettiamo a disposizione quanto serve per applicare al meglio la legge. Compresa l'informazione su quanto accadrebbe nel caso si volesse portare a termine la gravidanza. Ma tutto avviene senza forzature. La cosa più delicata sono le minorenni».

Dall'ultima relazione del Ministro della Salute risulta che l'Italia oggi è tra i paesi industrializzati a più basso tasso di Ivg, interruzione volontaria di gravidanza. Nel 2012  il calo è stato del 4,9 % rispetto al 2011. Mentre dal 1982 la riduzione è del 54,9%. «Temo che la relazione non dica il vero», dice Ficorilli.

Ecco la vera questione. La 194 oggi ha come nemico, non i «cimiterini», ma quella che gli esperti chiamano «obiezione di coscienza di struttura». In tutto il territorio nazionale ci sono regioni dove l'aborto legale è stato di fatto cancellato. L'80 per cento ed oltre dei ginecologi, ed il 50 per cento di anestesisti e infermieri non applica più la legge 194. 

Stesso problema è quello dei consultori dove non si fanno politiche di informazione e prevenzione. Dove non viene garantita l'interruzione volontaria farmacologica. Dove non si fa nulla per attivare un'azione di educazione sessuale nelle scuole. L'assessore regionale Ravera oggi ha la possibilità di fare molto. Sempre che non preferisca scrivere articoli fervorosi.

«È disarmante quanto si apprende da organi di stampa e da recenti statistiche Istat in merito agli aborti clandestini praticati negli ultimi anni in Italia», ha detto il giugno scorso, alla Camera, Irene Tinagli (Scelta Civica), presentando una mozione basata sul concetto di obiezione «sostenibile» (coniugare il diritto all'obiezione con la piena attuazione della legge)  elaborato dal Comitato nazionale per la bioetica. Mozione approvata. Mentre quella della cattolicissima Binetti non lo è stata.

Sbaglierò, ma queste mi sembrano le cose che val la pena di seguire con attenzione.  Scatenare un putiferio contro una delibera che assegna uno spazio cimiteriale ai non-nati, considerandolo un atto ideologico ed opportunistico (monsignor Betori ha molto gradito, sottolinea Terragni) mi sembra una reazione solo emotiva. Molto ideologicamente emotiva.

lunedì 4 novembre 2013

Reportage dal Congresso del Pd di Antrodoco

Alle 15.00 arrivo ad Antrodoco. Il paese è in festa e fa allegria, nonostante il tempo tenda al grigio. La ragione per cui sono venuta nel paese che tanto piacque a Gheddafi non è la Sagra del Marrone, bensì il Congresso del Pd. Debbono essere eletti il segretario cittadino e quello provinciale, come accade lungo l'intero stivale. Ad interessarmi è il fenomeno delle tessere gonfiate di cui tanto si parla. Voglio verificare di persona se davvero sta succedendo quello che in tanti denunciano.

Sotto la biblioteca comunale, dove si terrà il Congresso, c'è gente in attesa. Vedo un iscritto che conosco, Vincenzo Cardellini, giovane simpatizzante del sindaco di Firenze. La faccia è preoccupata, mi dice che sta succedendo qualcosa che poco ha a che vedere col rispetto delle regole e che quasi sicuramente l'attuale segretario cittadino, Domenico Brandelli, medico, non si ricandiderà e chiederà la sospensione del congresso, come è successo a Frosinone.

Il nervosismo si percepisce e cresce col ritardo del Garante di garanzia, previsto dal regolamento congressuale. La Garante, Carla Franceschini, arriva dopo un'ora e mezza. Si giustifica dicendo di aver avuto un orario diverso da quello stabilito dal Segretario cittadino. Non le 15, ma le 16 ( ma arriva alle 16.30). La spaccatura tra la Federazione provinciale e la segreteria locale, che si evidenzierà successivamente, inizia da qui.

Finalmente saliamo e inizia il rito dei fogli tirati fuori dalla cartella e delle macchinose procedure. Il regolamento è tanto corposo quanto inconsistente risulterà la scelta dei vincitori. Nel senso che non ci sarà scelta, né sul segretario provinciale, nè su quello del circolo di Antrodoco. Per quanto riguarda  quest'ultimo, tutto è deciso da chi ha fatto bingo riuscendo a convincere 31 persone ad iscriversi " in zona Cesarini".  Come regolamento consente. Riguardo ai due candidati alla segretria provinciale, non saranno letti i documenti programmatici. Su cosa si sceglie?

A pochi minuti dall'inizio del Congresso viene presentato alla Garante un pacchetto di 31 nuovi iscritti da un giovane che si rivolge unicamente a lei. Il segretario Brandelli dice di non saperne nulla, che a lui questi tesserati non risultano e che non intende riconoscerli come validi.  Le tessere sono state fatte presso la Federazione provinciale del Pd, non al Circolo di Antrodoco.

Comincia il caos che, a quanto pare, sta riguardando parecchi, se non tutti i circoli del Pd. Gli argomenti per contestare le tessere vanno dal procedurale al semplice buon senso: perchè mai il tesseramento non è avvenuto ad Antrodoco? E quali sono le ragioni di tanta frenesia da iscrizione che sta interessando il Pd?

Il giovane, Antonio Di Berardino, fratello del più noto e importante Claudio, ex segretario provinciale della Cgil e attuale segretario regionale ( uno che conta parecchio ad Antrodoco, mi dice qualcuno), mostra sicurezza e nervosismo insieme. Telefona. A chi gli chiede le ragioni dell'assenza dei nuovi iscritti, spinti dalla voglia di rinnovamento del partito, stando a lui,  risponde sfottente telefonando a qualcuno: “ Vogliono sapere perchè ti sei iscritto..”. Si scopre che due sono presenti.

Uno di loro, di una certa età, dice eccitato di essersi iscritto nella sua vita a diversi soggetti politico-sindacali. Da destra a sinistra al centro e che non gli era mai capitato che gli facessero difficoltà. Continua il tira e molla tra chi pensa che il Congresso dovrebbe essere rinviato e chi non trova nulla d'irregolare nel pacchetto di tessere avallate dal responsabile della Federazione Provinciale. “ A me che ne faccio parte non me ne hanno voluto dare nemmeno dieci, mi dice Filippo Serani. Questo a Rieti dovranno spiegarmelo”.

Nel frattempo la biblioteca si riempie. Forse le telefonate sono servite.  Cristina, non ricordo il cognome, giovane, ma vecchia militante dal fu Pds, pone il problema di un tesseramento “ strano”: “ Passare da 12 iscritti a 63 è molto di più del fisiologico aumento del 25%, o sbaglio?”. Dice.

 “ Pacchetto Cotral”, lo definisce qualcuno. Chiedo spiegazioni. Mi dicono che molti dei nuovi iscritti sono dipendenti, aspiranti dipendenti, parenti di aspiranti dipendenti dell'azienda di trasporto pubblico regionale. “ Ma c'è anche qualche imprenditore locale...”, mi dice qualcun altro, insinuante. Cristina ricorda i pasticci fatti dal Pd locale nelle ultime comunali, quando si divise in due liste civiche dove destra e sinistra hanno anticipato le “ larghe intese” in declinazione locale.


Il segretario uscente oggi è consigliere d'opposizione, mentre l'unico candidato a sostituirlo, Fabrizio Pascasi sta in maggioranza. “ Serietà vorrebbe che dessi le dimissioni, visto che amministri con un sindaco di destra”, chiedono alcuni.


Personaggio pittoresco, Pascasi. Dalle prime mosse fa capire che gestione avrà il Circolo: uomo solo al comando. Dopo aver fatto un discorsetto di candidatura, come prassi richiede, comincia, sbrigativo e rumoroso, a chiedere gli scatoloni per il voto. Nel mentre sta cercando di parlare Vincenzo Cardellini, trattato come fosse un ectoplasma. Chi ti vede? Gli dico di mostrare rispetto per chi sta parlando e gli dò dell'arrogante. Mi chiede chi sono e che ci faccio lì. Rispondo di essere una ex iscritta. Iscritta per un solo anno ad un partito da cui mi diedi a gambe levate dopo aver visto di che pasta era fatto.

Insomma, mi faccio prendere dal gioco, come succede in certe sedute di psicologia collettiva. Nel frattempo si avvicina Di Berardino che mi spiega che i nuovi tesserati si sono iscritti a Rieti per ragioni pratiche : “ Lavorano a Rieti “. Approfitto per chiedere: “ Per chi voterà alle primarie”? “ Per Cuperlo “, risponde. Penso alla stranezza del fatto che sia proprio Cuperlo a denunciare brogli e tessere fasulle e a chiedere di fermare il tesseramento. Ma quando il “ tacchino”, leggi Apparato, capisce che si avvicina il natale, inevitabilmente si agita scomposto, spargendo intorno a sé penne e piume. 

Dopo aver sentito l'accorato intervento di Elvezio Cipriani, uno di quelli “normali”, di cui si sente la passione politica e la rabbia nel vedere un partito finito per somigliare alla peggiore democristianità al  suo tramonto, decido di andarmene. Dopo la decisione del segretario uscente e dei sostenitori di non votare e di ricorrere al Garante per l'annullamento del Congresso, capisco che i giochi sono fatti. 

Me ne vado pensando che quello a cui ho assistito è molto peggio di quanto mi sarei aspettata. Nella mia unica esperienza in quel partito, quando mi impegnai per sostenere la mozione Marino, di “ stranezze” ne ho viste tante. Procedure applicate in modo grossotto, commissari impreparati su un regolamento da burocrazia sovietica, gente che non ti stava a sentire, tanto era tutto deciso dai “ padroni delle tessere” , di truppe cammellate. Per me le primarie furono questo.

Ma ora tutto assume contorni più aggressivi ed il Pd  somiglia maledettamente ai partiti di cui parlava Berlinguer nella famosa intervista sulla questione morale. A rileggerla oggi vengono i brividi, tanto suona profetica. “Oggi i partiti sono diventati macchine di potere e di clientela, scarsa o mistificata conoscenza dei problemi della gente, ideali pochi, sentimenti e passione civile zero...gestiscono interessi, talvolta anche loschi e non sono più organizzatori del popolo, i partiti sono piuttosto camarille, con un boss e dei sotto boss”.

giovedì 10 ottobre 2013

In morte ( magari sarà un altro Lazzaro) di RL TV: Roberto Pietropaoli imprenditore incompreso

Quando incontro per l'intervista Roberto Pietropaoli, commercialista, presidente della squadra di calcetto Real Rieti Calcio a 5, in serie A e proprietario di RL TV, televisione locale nata ad aprile dello scorso anno ed ora in difficoltà, mi dice di essere stato mio alunno per qualche settimana. Lo guardo nel disperato tentativo di ricordare. Dopo aver sentito il quando e il dove mi viene in mente solo che ero alla mia prima esperienza d'insegnamento, alla scuola media A.M.Ricci e che di tempo ne è passato parecchio. Nient'altro. Solo dopo averlo ascoltato per un po' ritrovo in quella dell'adulto, barba e capelli brizzolati, la faccia di ragazzino vivace dagli occhi sorridenti di tanti anni fa.

Ma la vivacità è diventata impeto, foga di dire, e gli occhi sprizzano elettricità nervosa. Non conosco la sua vita e posso solo cercare di capire. Dopo la lunga chiacchierata capisco che c'è molta amarezza. A dolere non è solo la presa d'atto del fallimento di una iniziativa imprenditoriale. A fare male è la fatica d'intraprendere nella propria città.

Lo scorso anno, dopo l'inaugurazione di una nuova televisione dove avrebbero lavorato tanti giovani e qualche veterano, non per età, ma per mestiere, come Katiuscia Rosati e Simone Fioretti, scrissi un articolo intitolato “RLTV: un progetto ambizioso”. Oggi che quel progetto sembra incontrare difficoltà cerco di rispondere a domande e dubbi: perchè è nata la televisione? Se ne sentiva il bisogno? Quali motivi possono aver spinto l'editore ad investire nella quarta emittente locale, ancorchè regionale? Chi c'è dietro? E dove ha preso i soldi? Le risposte le ho cercate direttamente alla fonte. Ho trovato un ex alunno e una gran voglia di rispondere.

Partiamo dalla tua ultima impresa: come è nata l'idea di diventare editore televisivo?

La mia è una piccola televisione con degli strumenti più innovativi. La gente pensa che chissà che costo abbia avuto, invece è quanto spende chi investe in un piccolo appartamento o nell'apertura di un negozio. Nessuno si fa domande quando la gente spende soldi in queste cose .

Quanto è costata l'operazione RL TV?

Meno di 250mila euro. Ma capisco che la televisione, facendo informazione, può far considerare l'editore un pericolo. Si pensa subito a Berlusconi. A questo va aggiunta la reatinità. Che ci vorrà fare questo? Fedeli ha preso Rieti Calcio: che ci deve fa'? Che ci vuole guadagna'? Perchè Beppe Cattani prende il basket? Che ci vuole fa'? Io, invece che comprarmi la casa al mare ho investito in un'attività commerciale. Sono figlio di commercianti. Mio padre mi diceva che le case non fanno mangiare. E' l'impresa che ti fa vivere.

Quindi hai pensato di fare impresa nel campo televisivo.

Esatto! Io da anni faccio il commercialista con diversi studi, compreso uno a Milano. Ho messo su famiglia e sentivo il bisogno di stare più a Rieti, dove non ho tanti interessi come tanti colleghi commercialisti. Io non faccio il revisore nei comuni o nelle comunità montane. Né faccio il consigliere regionale. Dieci anni fa sono andato a fare il commercialista fuori. Volevo tornare anche per stare vicino a mia madre e ho pensato a un tipo d'investimento diverso.

Ma perchè una televisione?



E' stato un po' per caso. Diciamo che tutto è cominciato con la presidenza della squadra di Rieti Calcio a 5 e le riprese televisive.Quello che non capisco è perchè ci siano tanti sospetti intorno alla mia iniziativa imprenditoriale. E' da lì che ho cominciato a ettere in piedi un'organizzazione con Katiuscia Rosati e Simone Fioretti. E' così che è nata una cosa più tecnologica. Senza voler sminuire nessuno.

Hai tanto personale. Sono costi che altre televisioni non hanno.

Sì, ma sono tutti lavoratori a contratto. Parecchi vengono pagati in base a quante ore lavorano. Ci sono persone che vengono solo alcuni giorni. Ma ci siamo sempre trovati d'accordo.

Sì, ma poi hai mandato una e-mail per annunciare il licenziamento. Ti sembra normale?

E a te sembra normale che si usi la mia televisione per rendere pubblico un comunicato senza che ne sapessi niente? Non sarebbe stato corretto parlare con me prima?

Anche in passato si sono viste sfasature tra te e i tuoi giornalisti. Prendiamo la vicenda del sindaco Petrangeli. Sembrava che tu intendessi licenziare Marco Fuggetta. Come mai sei tornato sulla decisione?

Non mi sono mai sognato di licenziare Fuggetta. Petrangeli mi chiamò mentre ero a Perugia per dirmi che stava per denunciare il giornalista che aveva fatto uno scivolone. Risposi che Fuggetta era grande e grosso e in grado di difendersi. Poi ho chiamato Fioretti per dirgli di avvertire Marco. Questo è quanto. Guarda che c'è una parte della città che sperava che io dessi una mano a screditare il Sindaco, ma a me non interessa fare questo. Io sono una persona onesta e nei giochetti della politica non voglio entrare.

Ma è vero che hai un interesse per l'appalto comunale delle mense?

Io? Ma quando mai? E chi ne capisce di mense? Io a Rieti non voglio investire più niente. Riguardo a Petrangeli, non è venuto nemmeno all'inaugurazione della mia televisione, né alla partita di venerdì scorso della mia squadra che è in serie A. Un sindaco dovrebbe sentire l'obbligo di farsi vedere Figurati se era tra i miei amici! Come non è venuto Perelli, d'altronde, pur sapendo che io votavo a destra.

Che rapporto hai con l'Onorevole Melilli?

Ecco un'altra faccenda da spiegare. Ho conosco Melilli soltanto quando sono diventato presidente della squadra Rieti calcio a 5. Non avevamo un posto dove giocare. Mi rivolsi al Presidente della Provincia che non sapeva nemmeno cosa fosse una squadra di calcio a5. Mi disse subito di non avere soldi. Chiesi la gestione del Palamalfatti che era in condizioni pessime. Mi rispose: tu sembri una brava persona, meglio che lo prenda qualcuno che vederlo buttato nelle condizioni in cui è. Era uno schifo totale. Siamo arrivati in serie A. Due anni dopo, dopo che io avevo ripulito tutto, la Provincia ha fatto un appalto pubblico per la gestione. Lo vinse qualcuno che gli amici in Provincia li aveva davvero. Non io. Ho dovuto pagare l'affitto a gente che dopo un anno fu mandata via perchè non pagava.

E poi?

E poi, dopo altre peripezie, una volta arrivato in serie A, ho dovuto portare la squadra ad allenarsi a Terni, a Perugia, a Roma. Quello che posso dire è che io non ho mai preso un soldo pubblico da questa città, mentre ho sempre onorato i pagamenti. C'è gente che ha preso quantità enormi di soldi pubblici. Ma nessuno ne parla. C'è uno scandalo su due televisioni reatine. Perchè nessuno si chiede come è finità? Invece parlano di Pietropaoli che per far giocare la serie A a Rieti ha dovuto prendere finanziamenti bancari.

Quindi dietro la tua televisione non c'è l'appoggio di Melilli..

Ma quando mai? Ma almeno Melilli ha fatto quanto poteva per aiutare la squadra di Calcio a 5. Tutti gli altri mi hanno evitato. Cicchetti, Rositani, Petrangeli. Oggi Nobili solidarizza con i ragazzi di RL TV, ma non ha fatto niente per aiutare la nostra televisione, né Rieti calcio a 5. Così la Fondazione. Ho chiesto un contributo per la squadra. Mi ha risposto di no dopo due anni. Non ho avuto niente dall'Ente del Turismo, né dalla Camera di Commercio. Ma siamo in serie A da tre anni. Siamo l'unica serie A in questa città e nessuno se ne occupa.

Ma come ti spieghi tanta indifferenza?

Te lo spiego io. In questa città si fa grande fatica ad avere successo se non sei di una famiglia storica e se non ti butti in politica. Io ho perso mio padre che avevo 22 anni e mia madre vendeva le scarpe. Me ne sono andato da questa città proprio perchè ti fa sentire nessuno. Io ho pensato d'investire in questa città anche per portare del bene. Ora sono stufo e me ne vado.

Per tornare alla televisione. Qualche mese dopo l'inizio sono cominciati ad uscire dei giornalisti, Rosati, Porqueddu, Nicoletti.

Ho dovuto tagliare. Rosati è uscita per ragioni di famiglia. Ma gli altri due non potevamo permetterceli. Tagli dolorosissimi. Erano bravi, ma costosi. Ho dovuto licenziarli per tenere tutto il resto. Speravo che la parte commerciale decollasse, ma non è andata come speravo. Poi, a dicembre è stata fatta una riforma che ha ridotto le licenze per i ponti. Io li affitto, non li posseggo. La cosa ha richiesto un cambiamento costoso.

Ma il prodotto offerto dalla tua televisione in cosa si distingue nel sistema dei media locali? Cosa offre di diverso e di più nel campo dell'informazione?

Questo ci fa entrare in un discorso diverso. Ed è qui che nascono i veri problemi. E' chiaro che va offerto un prodotto che faccia venire la voglia di sintonizzarsi sul canale 677. Io avevo in mente un'informazione sul tipo di Sky, ma i miei collaboratori non mi hanno seguito

Certo, se si fa una copia di qualcosa, tanto vale vedere l'originale. Non cambiare abitudini. Diciamo che la competizione sembra aver aiutato più altri che voi. Rtr sembra essersi rivitalizzata.

Hai messo il dito nella piaga. Il contrasto tra me e lo staff nasce proprio dalla diversa idea che abbiamo di come andrebbe fatta l'informazione. A me piace Sky. ma non ho i mezzi di Murdoch e siccome i miei collaboratori non mi seguono ho deciso di lasciare. Speravo che i ragazzi, stimolati, stuzzicati, riuscissero a fare quello che io contavo di fare. Nello sport ci siamo riusciti e siamo i primi.

Ma sei davvero deciso a lasciare...? ( Chiamano da Milano. E' una delle due segretarie dello studio lombardo).

Sì, sì. Andremo avanti fino a quando non troviamo qualcuno interessato. Io mi sono affidato mani e piedi a Fioretti e Rosati, ma mi sono fidato troppo. Alla fine sembra che il problema sia che io urlo, non che non ci vedono. E se non ci vedono l'impresa non ha futuro. E a me interessa fare impresa, non di entrare nelle diatribe politiche.

Peccato.

Sì, peccato. Peccato soprattutto che questa città faccia passare la voglia d'investire a Rieti. La cosa che mi ha dato più fastidio sai cos'é?

Cosa?

E' stato che invece di capire lo sforzo, apprezzare quello che abbiamo cercato di fare, magari venire incontro ai ragazzi che hanno trovato un'occupazione, facendo anche esperienza, in troppi hanno risposto alla solita maniera disfattista del “ que te pensi de fa?” “ do bo' ji issu? “ .





giovedì 20 giugno 2013

Credi al rispetto delle regole? Sei solo una rompiscatole

Il paradiso, se c'è, non è per i vivi, ma beato il cittadino di un paese dove il vero " bene comune" è il rispetto delle regole.
Per capirlo bisogna sperimentare il benessere dato da un paese siffatto e il malessere prodotto da quello dove la regola è d'impaccio.
Me ne andavo verso il centro per affari miei, quando, attraversando il ponte che congiunge il vecchio borgo di Rieti al centro storico, vedo la solita scena che si presenta ad ogni vigilia festiva: le  luminarie vengono allestite in assenza di ogni rispetto della sicurezza, per il passante e per chi lavora. Sospeso nel cestello tenuto in alto da un braccio meccanico vedo l'operaio munito di utensili, ma non del casco.
Cerco un vigile a cui far presente la cosa, ma non ne vedo nemmeno uno.
Comincio a fotografare e attiro l'attenzione.
Mi avvicino al primo operaio e chiedo le ragioni per cui si stava lavorando sulla testa di passanti e ragazzini che transitavano sotto il cestello da cui sarebbe potuto cadere una pinza, un martello, una tenaglia, un pezzo di luminaria.
Il giovane mi chiede che me ne importa.
Spiego che sono una giornalista.
Comincia a maledire la categoria.
Mi avvicino e chiedo rispetto.
" I giornalisti mi fanno schifo, posso"?
L'uomo sul cestello, da lontano, mi fa segno di lasciar perdere il tipo con cui parlavo e abbassa il braccio meccanico.
E' accaldato e non più giovane, d'altronde alle 12 della mattina di questi tempi si bolle.
Spiego.
Mi prega di capire.
Mi dice che non indossa il casco perchè è caldo.
Non possono chiudere la strada, aggiunge, e non posso fare un lato per volta ( non saprei dire perchè).
Mi fa capire che è stanco morto e che è dall'alba che lavora.
Intanto quello giovane continua a urlare e a dare di matto.
Capisco che è il figlio della persona con cui parlo.
Il padre è una persona che si rende conto che ho ragione, ma le cose vanno sempre così.
Mi sento a disagio. Mi dispiace per lui, preoccupato doppiamente: " Non so più che fare con quello, mi dice"
Vorrei non aver iniziato.
Vorrei non dover provare disagio per essere convinta che il rispetto delle regole renderebbe tutto più facile, meno stupido, meno dannoso. 
Mi allontano dicendo al poveruomo che mi parla ( tale mi appare), che la colpa non è solo sua. D'altronde non c'è uno straccio di vigile nei pressi di lavori il cui committente è il Comune (sarà caldo...).
Mi allontano sentendo padre e figlio che litigano.
Ho la sgradevole sensazione di aver solo scatenato una rissa familiare.
In un paese dove le regole servono solo a costruire qualche business ( la formazione sulla Sicurezza non è più di quello) e ad essere trasgredite ( fatta la legge trovato l'inganno) sei solo una gran rompiscatole.
Rompiscatole. 


sabato 1 giugno 2013

Un mio vecchio amico, ma non vecchio, diventato assessore, ogni volta che scrivo qualcosa di critico, di costruttivamente critico, almeno nelle mie intenzioni, tira fuori il mio ego nel corso della discussione.
Ormai alle chiacchierate d'un tempo si sono sostituite le discussioni: maledetta politica che mi ruba da sempre gli amici.
Me li ruba trasformandoli in ciò che da amici criticavamo.
Non voglio evocare Circe, anche se, come la politica è tanto bella quanto maliardamente suinogena.
Comunque, il mio amico parla sempre del mio ego. Meglio, EGO.
Ora, al mio amico, se mi leggerà, vorrei dire che l'ego è sicuramente un energetico indispensabile se t'impegni in qualcosa che non produce guadagni.
Non è come fare l'assessore, per intenderci.
E dirò che io auspicherei un EGO più grande in chiunque sia impegnato a produrre qualcosa di utile per il bene collettivo. Un ego grande ti spingerebbe ad agire per essere apprezzato per le cose buone che fai e ad essere ricordato nella sotria locale come benemerito.
Ecco, oggi auguro al mio amico un ego meno miope  e narciso.
La storia lui la sa, perchè ha studiato: a forza di specchiarsi in solitudine nell'acqua del mare, laghi, paludi o pozze, ed in cerca solo della propria immagine si rischia di annegarci. Il brutto è che annega anche la città che l'ha votato.

venerdì 31 maggio 2013

Insulti a Franca Rame da Rinnovazione di Rieti. Il vero morto è chi li ha scritti



Ieri sulla pagina di Rinnovazione di Rieti qualcuno ha scritto :" Oggi alla notizia abbiamo tutti esultato col solito " EVVIVA". Ciao Franca, mò balla coi vermi troia".
Un amico mi ha invitato a partecipare alla protesta da esprimere con un raduno di piazza. Ho accettato, alla fine, ma senza troppo convincimento.
Credo che la mano che ha espresso sentimenti di una aggressività e irrispettosità morbose sia stata guidata da una mente che qualcuno ha nutrito di ignoranza e rigida appartenenza ad una ideologia di destra accecante.
A me fa profondamente pena.
L'insulto non cambia la storia appassionata ed elegante di cultura civile di Franca Rame.
L'insulto, l'ennesimo, ricevuto anche da morta, in quanto intellettuale di sinistra e, soprattutto, donna è solo l'espressione di una mente aggrumata intorno a qualche imbeccamento ricevuto da uno sventurato maestro ed incapace di esprimere sensatamente un sentimento ed un giudizio.
Non è necessario condividere idee e cultura politica per provare rispetto.
La vita di Franca Rame è stata pienamente ed utilmente vissuta. La persona che ha prodotto gli insulti è la vera morta: almeno per ora è solo un'anima morta. Una entità puramente anagrafica.
Gli (le?) augurò di essere raggiunta da una scintilla di vita. Provi a liberarsi dall'odio e a leggere un buon libro.


I capelli bianchi di Paola Concia

«La vera storia dei miei capelli bianchi» è un libro. Un bel libro. Una di quelle autobiografie che si sviluppano come un romanzo di singolare tessitura. E la vita dell'autrice, Paola Concia, ex parlamentare del Pd, di singolare ha tutto. È una donna, una bella donna, con una vocazione spiccata per l'atletica e per l'amore. Amore per le altre donne, perché Concia è lesbica dichiarata.

L'autrice nasce poco meno di cinquanta anni fa ad Avezzano. Sul libro lo si classifica come “meridione”. Di fatto, Avezzano lo è, ma nel libro la collocazione è più culturale che geografica. Una collocazione e  un tempo che parlano, senza bisogno d'altro, di uno spazio di vita angusto, chiuso ad ogni discordanza con una normalità data per scontata ed immutabile.

Devi conformarti! Questa è la regola delle comunità patriarcali, conservatrici, illiberali. E Avezzano questo chiedeva alla giovane ragazza che cresceva avvertendo e manifestando la sua originalità  alla maniera di ogni adolescente inquieto: con l'oscillazione continua tra concessioni alla libertà e sensi di colpa. Quando s'innamorerà per la prima volta di una donna sarà richiamata al dovere di essere “normale” e ci proverà in tutti i modi. Fino a sposarsi.

A richiamarla al dovere non sarà la famiglia. Sarà il solito amico di famiglia. Non sapremo mai se sua madre, una donna allegra, intelligente, protettiva e rispettosa della personalità stramba di sua figlia, venuta a mancare troppo presto, si sia mai accorta di aver messo al mondo una omosessuale. Né sembra averne contezza suo padre, per lungo tempo, né i tanti fratelli. Tutto avverrà più tardi, quando, ormai adulta e più forte, decide di smettere di “uccidere” la sua omosessualità, cioè la sua vera essenza, iniziando con la separazione dal marito.

Non voglio aggiungere altro per non togliere il piacere alla lettura del libro. Aggiungo soltanto che alla parte privata s'intreccia continuamente quella storico- politica. L'autrice ci offre uno spaccato d'Italia a partire dagli anni cinquanta che in tanti abbiamo conosciuto. Nella narrazione il privato si fa  politico, come si diceva negli anni settanta. La crescita della consapevolezza personale dell'omosessualità ed il bisogno di far lievitare la cultura dei diritti umani e civili avanzano uniti.

Paola Concia, da deputata, si è battuta con tutta la determinazione e la forza che le sono proprie al fine di ottenere una legge  a tutela delle persone lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali). Una legge che prevedeva l'allargamento agli omosessuali di quella Mancino, ovvero l'aggravante per  reati compiuti per discriminazione omofoba

Non ce l'ha fatta. Le resistenze in Parlamento sono state invincibili, a destra, ma anche a sinistra. Restiamo un fanalino di coda nell'etica civile e nella realizzazione vera del principio d'eguaglianza dei diritti prevista dalla Costituzione. Ci riteniamo un paese avanzato perché confondiamo l'avere con l'essere.

Qualcuno rimprovera alla ex deputata di aver esagerato nel forzare la mano. Anche dentro il partito del Pd, dove coesistono le anime del conservatorismo e quelle progressiste. Concia non solo si è battuta e si batte per i diritti delle persone lgbt e per il matrimonio dei gay, si è anche sposata in Germania con Ricarda Trautmann, criminologa tedesca. La cosa, naturalmente ha fatto scalpore.

Qualcuno è stato contento per lei. Altri hanno accettato la scelta, anche se con fatica,  di  due persone dello stesso sesso convolate a nozze come una coppia qualunque. Altri ancora hanno abbassato la leva  del pregiudizio: “strumentalizzazione ideologica”, ha scritto l'Avvenire. Ma la cultura, anche quella della Chiesa Cattolica, è una  creatura che procede come le lumache: lentamente, lasciando lunghe scie di bava, ma poi il cambiamento arriva, se si ha la pazienza d'insistere. Concia questo lo sa e non demorde.


Anche per questo ha accettato l'invito a parlare del suo libro a Rieti. Si potrà ascoltare il racconto della sua vicenda umana, di diritti degli omosessuali negati e le ragioni per cui sono dovuti. Capire perché solo dall'amore civile e religioso può nascere la comprensione di qualcosa che in alcuni produce addirittura repulsione. Quanto ha impiegato l'umanità, d'altronde, a capire che era la schiavitù ad essere ripugnante e non sedere accanto ad una persona di pelle nera sul bus o al ristorante?

«Cara Ricarda e cara Paola, ho oltre 80 anni e neanche per me è stato facile capire ed accettare fino in fondo. Ma quello che voglio dirvi è che né a me né ad altri dovete rendere conto, ma solo l'una all'altra. Perché il diritto di amarvi è scritto più in cielo che in terra. In paradiso i matrimoni non ci sono, ma l'amore sì». Così il padre dell'autrice in una lunga e commovente lettera scritta in occasione del matrimonio.

Paola Concia sarà a Rieti il 7 Giugno, alle ore 17.30, presso la biblioteca comunale.

venerdì 5 aprile 2013

Sviluppo locale e capacità di fare squadra


Qualche anno fa, chi avesse utilizzato un motore di ricerca on line per avere notizie sul nostro territorio, cliccando su “Provincia di Rieti” avrebbe aperto una pagina con la scritta “Sabina attraente per natura”. Una promessa non ingannevole, perché la nostra terra è davvero magnifica, prolifica di beni naturali, di storia, di paesaggi generosi di bellezza.

Altro discorso è quando si parla di cultura, intesa come modalità di rapportarsi con gli altri e con il mondo circostante. In questo caso a dominare è la chiusura, l'egocentrismo, la diffidenza, l'incapacità ad aprirsi alla cooperazione per rispondere ai cambiamenti prodotti dalla post- modernità. Ognuno per sé e dio per tutti è il valore condiviso da un mondo antropologicamente fermo al contesto contadino e valligiano, cosa che complica l'intrapresa economica di chi non trova sostegno in reti fiduciarie. Un valore che accomuna società civile, istituzioni e mondo politico. 

Ad un incontro organizzato la scorsa settimana al Teatro di Cristallo di Rieti, da Slow Food reatino per far conoscere la filosofia  dell'associazione che promuove la cultura del cibo di qualità, dell'agricoltura compatibile e della sostenibilità ambientale, c'era tanta gente e diversi produttori locali, tra i quali il giovane proprietario di un'azienda agricola ed agrituristica del comune di Contigliano,“Le Chiuse di Reopasto”, Vittorio Piozzo di Rosignano. Mi è sembrato interessante intervistarlo, per conoscere i problemi di chi investe soldi ed energie sul nostro territorio. 

Mi racconti qualcosa di lei, cominciando dal cognome che mi sembra poco reatino

Sì, mio padre è di Torino, mentre mia madre è di Roma. L'azienda è sempre stata trasmessa per via femminile, per cui i cognomi sono cambiati. I proprietari originali sono i Vitelleschi, presenti a Labro dal '300. La proprietà è sempre stata tramandata quindi è sempre stata curata e preservata da interventi ecologicamente dannosi. I miei genitori per lo più vivono a Torino e per questo sono più io ad occuparmi dell'azienda.

Bene. Che tipo d'azienda è questa?

È un'azienda a filiera chiusa. Quello che produciamo nei nostri campi al 90%viene riutilizzato in stalla per i nostri animali, da sempre alimentati dai nostri prodotti. Avevamo scelto, per un fatto puramente burocratico, di non aderire al disciplinare, ma ora siamo in conversione biologica, in attesa della certificazione per avere il marchio di biologico. Una  procedura complessa e lunga, due anni. Noi abbiamo chiesto di poter accelerare, visto che siamo da sempre, di fatto, biologici, ma non si può. Comunque, le regole vanno accettate (sana cultura asburgica ndr). 

Da quanto mi ha detto Monica (Monica Luchetti, una giovane ed efficiente collaboratrice) fate anche una certa sperimentazione

Sì, nel nostro piccolo (ride). Proviamo a mescolare i diversi grani con cui fare la pasta e le farine. I nostri grani sono antichi e geneticamente incrociati ma non modificati, ad esempio Saragolla, detto dei faraoni, e Cappelli.

E in quale mercato collocate i prodotti? Solo reatino?

Rieti e Roma. La nostra, per ora, non è una grande produzione. Abbiamo anche quattro mini appartamenti ed uno più grande, oltre un ristorante e locali per cerimonie. L'unico problema è che sembra che i romani non conoscano Rieti.

Come è possibile?

Me lo chiedo spesso anch'io. Questa è' una zona bellissima, relativamente distante da Roma. E poi Rieti è il centro d'Italia, ma è molto mal collegata. È strano, ma mi succede spesso di sentirmi chiedere dov'è Rieti.

Forse dipende da noi che non sappiamo, o vogliamo, farci conoscere. La mancanza di strade comode non impedisce a certi luoghi di essere molto frequentati. Pensiamo all'Umbria

Beh, sì. A volte mi chiedo se i reatini siano chiusi per colpa dei cattivi collegamenti o se quelli dipendono dalla volontà di restare isolati. Un isolamento che ha aiutato il territorio a preservarsi, ma per i giovani è un problema trovare lavoro. E così il territorio si svuota di risorse umane.

In effetti la promozione del territorio è fondamentale e la voglia di aprirsi al mondo anche. Poi, qui vicino c'è Greccio.

Sì, e San Francesco ha vissuto qui a lungo, ma non lo sa nessuno: sembra che appartenga solo all'Umbria. Manca lo sviluppo anche dei percorsi francescani. Il Cammino di Francesco, ad esempio, passa molto sulla strada asfaltata. Questo succede perchè il Velino forma una barriera, ma basterebbe qualche ponticello per risolvere il problema e rendere più piacevole l'itinerario. Passare su un sentiero alberato e non sotto il sole, senza motori che ti sfrecciano vicino, credo sarebbe meglio, no? Sembrava che la Fondazione Varrone avesse dato la disponibilità per finanziare un ponte nella zona di Montisola, ma non se n'è fatto niente.

Certo, non deve essere piacevole per un pellegrino camminare su una strada asfaltata.

Sì, infatti. Noi abbiamo un nostro passaggio per arrivare al santuario. Ci si arriva con mezz'ora di salita. La Provincia ci aveva chiesto se volevamo renderlo percorribile anche dai pellegrini. Abbiamo dato la disponibilità a patto che il sentiero fosse curato, messo in sicurezza. I nostri animali pascolano allo stato brado ed il contatto potrebbe essere insicuro. Comunque, per noi sarebbe stato un disagio, ma volentieri ci saremmo prestati a trovare soluzioni. Credo sia mancata la disponibilità di altri abitanti del posto. E comunque non abbiamo saputo più niente. Tante belle iniziative finite nel nulla.

Come vogliamo concludere?

È difficile per un privato sviluppare le forze da solo. Un privato deve avere alle spalle qualcuno che promuova lo sviluppo del territorio. Non c'è speranza di crescere senza l'impegno delle istituzioni e lo spirito di cooperazione dei privati, uniti in una visione di sistema. E' un problema italiano, non solo locale, non si riesce a crescere perchè non sappiamo fare squadra. Ad esempio, non siamo riusciti a trovare un mulino in questa provincia per macinare il nostro grano e siamo costretti a rivolgerci a Pescara. Diventa tutto più complicato. Un peccato.

Grazie