mercoledì 8 aprile 2015

Andrea Paolucci, laureato e autistico

Era il mese di luglio del 2014 e della sua laurea in Scienze della formazione e del servizio sociale presso l’università dell’Aquila si occuparono i giornali. La ragione non era il 110 e lode, risultato eccellente, ma non raro, bensì la condizione di autistico del neodottore,  Andrea Paolucci, ventottenne di Antrodoco. A soffiare il primato ad Andrea di primo laureato in Italia era stato, qualche mese prima, Pier, giovane di Treviso di 33 anni, affetto, anche lui, da autismo severo.

Ma in questo caso non si può parlare di rammarico per la perdita di un primato, quanto, piuttosto, di una straordinaria circostanza: il fatto che a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro, due autistici abbiano ottenuto una laurea, grazie al Metodo della Comunicazione facilitata W.O.C.E. , vuol dire che la capacità cognitiva, almeno in alcuni casi, aspetta solo di essere aiutata a “volare” da facilitatori muniti di vera competenza , conoscenza, professionalità acquisite in centri accreditati nel difficile compito di comprendere le necessità di chi dopo pochi anni di vita, entra in una dimensione d’irreversibile incastellamento comunicativo.

Il 2 Aprile scorso, Palazzo Chigi si è illuminato di blu, perché la Presidenza del Consiglio ha aderito alla campagna di sensibilizzazione “Light in up blue”, illuminalo di blu, in occasione della Giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo promossa dall’Onu, che si celebra il 2 aprile. Illuminazione a costo zero. Così così si legge sul sito della Presidenza del Consiglio, come si dovesse giustificare la spesa.
Le ricorrenze spesso lasciano il tempo che trovano, è vero, ma mai come in questo caso la scelta dell’Onu è opportuna. Troppo facilmente dimentichiamo quanto i malati di autismo ( nel reatino sono almeno 50 casi), e le loro famiglie sono abbandonati alla solitudine di un destino stipato di  difficoltà, speranze, faticosa  ricerca di riduzione possibile dei danni prodotti dalla  tremenda malattia, di cui ancora non si conoscono né cause, né cura. Ricordarlo è un bene.

Andrea, nella sua sfortuna è fortunato. Ha due genitori straordinari che lo hanno aiutato a comunicare attraverso il canale della scrittura facilitata. E’ grazie a quel metodo, integrato con altri, che si è laureato e che ha potuto avere una pagina Fb con cui interagire con amici veri e virtuali. Ed è per questo meraviglioso ( quando se ne fa buon uso) mezzo di comunicazione sociale che lo scorso anno, dopo la notizia della laurea, ho chiesto ad Andrea di fare un’intervista da lontano, ognuno con la sua tastiera. E' così che abbiamo avviato una conversazione, poi interrotta e ripresa dopo un anno grazie al blu, colore scelto per rappresentare l’autismo.
Ieri sono andata al centro diurno di Sant’Eusanio ai Pozzi, della Onlus Loco Motiva, cooperativa che fornisce servizi per l’inclusione delle persone affette da autismo e dove sono attivi laboratori per avviare alla comunicazione facilitata, fondata da Virgilio Paolucci, padre di Andrea, socio fondatore.

Il nome Loco Motiva, mi spiegano, dipende dall’iniziale progetto di riconversione di una stazione situata nei pressi di Antrodoco, ormai inutilizzata, in centro della Onlus. Progetto finito nel nulla in quell’universo sprecone e incapace di darsi utili priorità che è spesso la Regione Lazio. Fortunatamente ci ha pensato la parrocchia di S.Agostino  a dare l’attuale sede in comodato d’uso, mentre le risorse per andare avanti dipendono da iniziative di varia natura: corsi di lingua, mostre d’arte, corsi di degustazione enogastronomici.

Alla sede di Loco Motivai ho incontrato Virgilio, Andrea, alcuni volontari ( molti dei quali giovani)  in compagnia di una ragazza autistica e la tutor universitaria di Andrea, Karin, da lui chiamata scherzosamente “ Avatar”.  
Se ho aspettato quasi un anno per pubblicare l’intervista, rimasta in sospeso, è stato, lo ammetto, perché la qualità delle risposte che Andrea dava alle mie domande era così straordinaria da farmi dubitare fossero davvero sue. Ho creduto che ci fosse l’aiuto dell’Avatar.  Ieri ho avuto la conferma della notevole intelligenza di Andrea e quella che la sua interiorità è puro distillato di poesia.

Inizierò con la nostra intervista interrotta.

D: Ciao Andrea , sono una giornalista e vorrei farti un’intervista da qui, dai messaggi personali di Fb. Credo che tu abbia realizzato una cosa straordinaria e mi piacerebbe far sapere come sei riuscito a laurearti. Potrebbe essere di aiuto anche agli altri. Ti va?
R. Sarei onorato, ma non sono in grado di aiutare le persone, posso raccontarti soltanto il mio potente impegno di studio. Sono ardito sostenitore di vita con la grazia concessami di scrivere su una tastiera che traduce i miei prigionieri pensieri. Sono prigioniero e libero nel mio autismo severo.
D. Sono io che mi sento onorata e ti ringrazio. Cominciamo col dire quando è iniziato il tuo rapporto con la tastiera che ha liberato i tuoi pensieri.
R: Ero smarrito e confuso, le parole e i pensieri mi comprimevano la testa e il cuore, ero solo espressione goffa di paura, sensazioni difficili da dire a chi conosce il mondo in modo diverso da come i miei sensi lo percepiscono. Un giorno, ero ancora nella scuola, quando mamma comincia esercizi per aiutarmi, prima con figure , poi con parole da pigiare con il dito e poi con tanti esercizi di speranza, fino a scrivere sulla tastiera della mia silenziosa e muta vita. Avevo gli anni della scuola elementare, 11 o 12.
D. Tua madre aveva saputo del metodo della scrittura facilitata o ci era arrivata da sola?
R. Queste domande dovresti farle a lei. Ma i miei genitori hanno sempre ricercato in ogni parte la speranza di farmi guarire. Hanno portato me in molti posti, da gente che studia e ricerca sull’autismo e hanno provato ogni mezzo per aiutarmi.
D. Puoi aiutarmi a capire come mai scrivere con una tastiera ti consente di comunicare? Si può dire che i tasti ti aiutano a mettere ordine nell’intensità delle tue percezioni e pensieri?
R. E’ stato un continuo esercizio ed è una continua fatica d’impegno riuscire ad isolare l’essenza della mia persona nel caos in cui la mia mente si trova costantemente. Ho costante bisogno di stimoli ripetuti per essere quello che voglio comunicare. Tutto di me mi porta a gesti stereotipati e importanti solo per me. Senza un aiuto esterno sarei un’espressione vuota di movimenti coerenti solo col mio essere autistico. Passerei giornate di solitudine e ne avrei poca coscienza se la mia adorata e indomita mamma non combattesse ogni giorno col mio tiranno autismo. Se tu ora stessi qui a vedermi scrivere ne saresti stupita , ma se mi vedessi agire penseresti che sono un povero ritardato.
E’ da qui che riparto per riportare il seguito dell’intervista. Quello di ieri, fatto da vicino, sempre con l’aiuto della sua tastiera. Non ho avuto la minima impressione di avere a che fare con un ritardato. Tutt’altro. Quello che ho visto è stata la fatica fisica di scrivere, più che di pensare. Le risposte sono sempre state rapide e piene di bellezza.
D. Ciao Andrea, ti ricordi di me e dell’intervista che abbiamo iniziato un anno fa circa?
R. Sì, ce l’ho su fb.
D. Bene. Cosa hai fatto dopo la laurea? Cosa fai ora?
R. Sto prendendo la specialistica per diventare educatore sociale.
D. Che lavoro puoi fare con la tua laurea?
R. Posso fare l’assistente sociale, lavorare in centri sociali, in comunità. Mi fa molto piacere aiutare, perché anche io ho bisogno degli altri.
D.  capisco. E posso sapere cosa fai oltre che studiare?
R. Mi piace scrivere. Lo scrivere mi eleva al di sopra della mia condizione. Vorrei scrivere del bello che c’è nel mondo, forse un romanzo. Qualcosa che inneggi alla vita. Ho un bisogno vitale di ricercare la bellezza nelle parole.
D. Sì, ho notato che usi un linguaggio molto ricercato. E ho notato che hai una propensione naturale alla poesia. Conosci gli haiku giapponesi?
R. No, cosa sono.
D. Poesie di tre versi. Dovresti provare.
R. Grazie, ci proverò. Ma che scrivi come giornalista?
D. Spesso di politica, di quello che succede nella vita pubblica. Nulla d’interessante rispetto a questa intervista. Grazie per consentirmi di entrare nel tuo mondo.
R. Grazie a te per la tua attenzione. Nel mio mondo è facile entrare, per me è difficile entrare nel vostro. Il mio mondo è leggerezza e caos.
D. Fai qualche sport? Vedo che hai buoni muscoli.
R. Mi piacerebbe, ma sono imbranato. Però nuoto da quando sono piccolo. Amo l’acqua, somiglia alla mia testa sconfinata.
D. Cos’è che ti dà più fastidio?
R. Il rumore del mondo e l’indifferenza.
D. Quando vedi la televisione che trasmette immagini di violenza e di guerra cosa pensi?
R. L’odio, terribile scelta l’odio, nessuna giustizia genera morte. La guerra è solo aberrazione umana. Sono scelte sbagliate dove il cuore tace e l’uomo trabocca di tristezza.

Lascio il centro di Sant’Eusanio portandomi via il seguito dell’intervista come fosse un tesoro sepolto e ritrovato Mi allontano pensando che di tesori sepolti ce ne sono chissà quanti. Se solo le istituzioni fossero meno distratte rispetto alla condizione di chi non ha voce e delle loro famiglie, non tutte attrezzate ad affrontare un percorso tanto complesso, se ne potrebbero scoprire chissà quanti. Ma da noi il 2 Aprile nessun edificio pubblico si è illuminato di blu. Il problema del nostro mondo spesso non è la mancanza di soldi, ha ragione Andrea, è l’indifferenza.


venerdì 20 marzo 2015

Un Comitato vincente e la buona cooperazione umbra

Diversi fattacci di cronaca politico-giudiziaria degli ultimi anni, a partire da quelli noti come «Mafia Capitale» per arrivare alla vicenda fiorentina sui grandi appalti di questi ultimi giorni, coinvolgono il mondo cooperativo. Se la cooperativa «29 giugno» di Salvatore Buzzi, grazie alle commistioni affaristico (criminali) - politico - istituzionali, è diventata un colosso economico che guadagnava ottenendo appalti sui servizi, il verde, la gestione di patrimoni pubblici, ma anche su Rom e immigrati, di coop rosse e cielline si parla anche nell’inchiesta fiorentina sulle grandi opere di questi giorni. 

Una cosa devastante per una realtà imprenditoriale che dovrebbe fare dell’etica e la solidarietà la sostanza del business, delle attività economiche. Qualcosa che potrebbe indurre a pensare che in un paese come l’Italia, piagata dalla corruzione (ancora non piegata, si spera) nulla si salva dal malaffare.

Ma la vittoria di un piccolo comitato reatino, quello dei “soci prestatori”, costituitosi dopo la crisi della Coop76, riesce contemporaneamente a fare scuola sulla forza dellavirtù civile, quando si attiva, e a non fare di tutta l’erba un fascio. 

Tutti o molti ricorderanno la vicenda che ha visto una storica cooperativa reatina finire nel fallimento e in un grottesco e incomprensibile percorso scelto dalla Lega Coop regionale (al tempo guidata da Stefano Venditti e commissariata dopo i fatti di “Mafia Capitale” dal presidente nazionale subentrato a Poletti, Mauro Lusetti), dall’amministrazione provinciale guidata da Fabio Melilli e da una parte del sindacato provinciale.

Invece che accogliere e sostenere l’offerta di una delle grandi cooperative di consumo del sistema nazionale, la Coop Centro Italia,2.700 dipendenti, più di 525mila soci, 614 milioni di euro di vendite, pronta ad assorbire i negozi e a garantire la restituzione di 2 milioni e 200mila euro ad 800 soci prestatori, l’allora presidente Venditti in testa, si preferì dare il fitto di ramo d’azienda ad una piccola neo-cooperativa di Latina: Evergreen.

Una cooperativa nata ad hoc: il 6 aprile la Lega Nazionale (guidata dall’attuale ministro Poletti) presenta l’istanza di messa in liquidazione della Coop76 e il 10 aprile nasce Evergreen, con un capitale di 225 euro e guidata da una imprenditrice agricola dell’agro pontino scelta da Nicola Zingaretti come assessore all’agricoltura.

Evergreen garantiva solo l’apertura dei negozi, ma abbandonava al loro destino d’incertezza lavorativa i 100 dipendenti e i creditori della cooperativa reatina: fornitori e soci prestatori. Questi ultimi, come mi disse Pierluigi Coccia, uno dei tre liquidatori, “anello debole della catena”. I meno garantiti di riprendere i 2milioni e 200mila euro prestati alla Coop76. Ma l’«anello debole», ha lavorato per tre anni, con caparbia determinazione, riuscendo ad ottenere quanto in tanti davano per perso.

Roberto Frizzarin, portavoce del Comitato soci prestatori della Coop76 oggi racconta soddisfatto : «Con l’apertura dell’ultimo negozio, abbiamo avuto la conferma dal dottor Raggi che dopo pochi giorni, il 2 febbraio, avremmo potuto riottenere le somme prestate recandoci nei punti delega dei vari negozi rimasti aperti. Ormai siamo quasi tutti rientrati in possesso del dovuto. Ma ancora qualcuno non lo ha fatto. Forse sono quelli rimasti ai margini della nostra azione».

Insieme a Frizzarin incontro altre due «combattenti» del comitato, Irene Giangreco Marotta e Onorina Silvestri. Quest’ultima, «utilissima per la sua competenza del mondo cooperativo», dicono Roberto e Irene, è nota anche fuori Rieti per una protesta messa in atto il 6 dicembre dello scorso anno, insieme ad altri dipendenti della Legacoop regionale, all’esterno del centro Congressi Frentani dove si svolgeva il congresso della Lega Coop Lazio. La protesta è nata da licenziamenti dopo 30 anni di servizio.

Il caso di Onorina Silvestri è quanto di più lontano dai valori della cooperazione riguardo al lavoro. Responsabile dell’ufficio provinciale di Legacoop regionale, nel settembre del 2010 venne posta in cassa integrazione e poi licenziata. La giustificazione era la crisi economica dell’ente regionale. Strano che poi i soldi per la presidenza e la vicepresidenza provinciale di Legacoop Lazio ci fossero (lavoravano gratis?). 

Nel marzo del 2011 vennero nominati Alessandro Toniolli e Federico Masuzzo.I fatti di «Mafia Capitale», seguiti dal commissariamento hanno azzerato tutte le nomine. E si spera che i licenziati, come Onorina Silvestri, ottengano giustizia.

Una giustizia che il Comitato dei soci prestatori di Rieti hanno ottenuto grazie al rispetto della parola data dal presidente della Coop Centro Italia, Giorgio Raggi. «Fin dall’inizio abbiamo capito che l’unica speranza per noi era che subentrasse nella proprietà la Coop Centro Italia e che andava seguita la strada della solidarietà e non quella giuridica, lunga e incerta. Va dato merito al dottor Raggi di non aver tradito la nostra fiducia», dice Frizzarin. 

Una regola del giornalismo è che fa notizia l’uomo che morde il cane e non viceversa. In una cronaca italiana fatta quotidianamente di notizie che non lasciano spazio ad altro se non alla corruzione, pubblica, istituzionale e privata, parlare, finalmente, di un colosso cooperativo, come quello umbro, rispettoso della vocazione della propria natura, ovvero del fare impresa contemperando gli affari e i profitti, con i fini mutualistici e solidaristici, che altro è se non una notizia? Una buona notizia. Finalmente.


Amatrice e l’arte di cavalcare il marketing virale

Ci si può anche scherzare sopra, ma quello che hanno fatto il sindaco Pirozzi e gli altri amministratori comunali di Amatrice,  paese montano della provincia di Rieti, è stato, sotto il profilo del marketing,  una mossa  azzeccata.  Per chi ancora non conoscesse i fatti un breve riepilogo. Carlo Cracco, chef  implacabile con gli aspiranti cuochi di Masterchef quando commettono errori , ospite della trasmissione di  Maria De Filippi, “ C’è posta per te”, interrogato sull’Amatriciana, ha rivelato che lui la fa con l’aglio in camicia. 
  
Non è che sia proprio un peccato grave, e in cucina, come in amore, de gustibus non disputandum est.  Ma per Amatrice la pasta all’Amatriciana è quello che la Coca Cola è per l’America e quello che la Nutella è per l’Italia: un marchio identitario  che non ammette variazioni.  Se aggiungi o togli qualcosa, sarà pure più buona, almeno per qualcuno, ma non è vera Amatriciana.

Questo, più o meno,  hanno spiegato gli amministratori  con un comunicato pubblicato sul sito ufficiale del Comune, ricordando che tre prodotti tipici della Città di Amatrice, il pecorino di Amatrice, il Guanciale Amatriciano, gli Gnocchi ricci,  hanno ottenuto il riconoscimento di tutela col marchio De.Co ( denominazione comunale). Insomma, nemmeno ad un famoso chef è consentita la libertà di usare un nome proprio di ricetta per  indicare qualcosa che non gli corrisponde.

Al di là del merito del pronto risentimento  generato dalle parole di  Cracco non si può che provare ammirazione per una amministrazione comunale che ha saputo cogliere al balzo una circostanza, di per sé minuta,  che poteva anche cadere nel nulla. Invece è stata raccolta e rilanciata con maestria: sono bastati pochi giorni per trasformare in slavina comunicativa la notizia sui mezzi d’informazione nazionali e internazionali e sui social network come Facebook e Twitter . I commenti  all’hashtag #Gracco, errore  forse involontario e forse no: tu ci cambi la ricetta e noi ti cambiamo la consonante, sono stati numerosi e babelici: scritti con lingue diverse.

Dall’Inghilterra all’Australia; dalla Francia, alla Spagna, alla Germania,  giornali e food blogger hanno parlato di Amatriciana fatta con guanciale, pecorino, vino bianco, pomodoro San Marzano, pepe e peperoncino. Punto. Insomma, la tradizione è stata difesa dal mondo globalizzato e digitalizzato e la reazione di Amatrice all’incauta variazione di Cracco ha fatto scrivere al The Guardian di Londra ” Italian birthplace of amatriciana denounces  chef’s  secret ingredient”  , la patria dell’amatriciana denuncia l’ingrediente segreto dello chef.

“ Italian birthplace”, certo, a giocare a favore dell’amministrazione comunale c’è un piatto che ha saputo nel tempo raccontare l’eccellenza italiana nel mondo. Una vetrina di un ristorante giapponese di Tokyo mi rese orgogliosa quando vidi che uno dei piatti di plastica, secondo l’arte del “ sampuru”, riproduzione del cibo offerto all’interno,   rappresentava gli  spaghetti all’Amatriciana. Ma negare la capacità di sindaco e amministrazione di cogliere al balzo una occasione per produrre  vantaggi al  il territorio sarebbe sbagliato.

La prontezza reattiva di Amatrice, infatti,  ha scatenato quello che si chiama marketing virale: si frutta la capacità del web di raggiungere una quantità infinita di persone attraverso la diffusione di un messaggio, di una notizia, di un post,  di un tweet.  E’ promozione gratuita. In questo caso, promozione territoriale gratuita.

Quando le risorse economiche scarseggiano, l’unica soluzione possibile è sostituirle con l’intelligenza e la vigilanza. E, trattandosi di una amministrazione, con l’unità d’intenti e di “ visione”. Oltre le divisioni e i recinti politici e di partito.

Giorni fa un amico reatino, piccolo imprenditore con le difficoltà triplicate dai problemi internazionali, nazionali e comunali,  mi chiedeva affranto:  “ Cosa differenzia, secondo te,  Amatrice da Rieti? Si tratta di  orgoglio  della propria storia e delle proprie risorse che a noi manca? Perché non siamo capaci di difendere il territorio e di valorizzare le tante potenzialità che abbiamo”? Vecchia storia, ricorrenti domande. “ Orgoglio e senso di responsabilità verso i cittadini sono leve potenti” , ho risposto, “ Perché  da noi, a Rieti, manchino io non lo so.  Qui si affonda nell’accidia e nell’incapacità di avere una visione comune. Posso dire solo questo”.


Ripetere, al solito, che il problema è antropologico, mi è sembrato riduttivo e inutile. Certo è che se fossi negli amministratori comunali reatini proverei ad apprendere da quelli che con una “ visione” comune stanno lavorando a fare di un piccolo paese laziale un protagonista globale. Un modello da imitare, sempre se ne abbia voglia e capacità.

Un Comitato vincente e la buona cooperazione umbra

Diversi fattacci di cronaca politico-giudiziaria degli ultimi anni, a partire da quelli noti come «Mafia Capitale» per arrivare alla vicenda fiorentina sui grandi appalti di questi ultimi giorni, coinvolgono il mondo cooperativo. Se la cooperativa «29 giugno» di Salvatore Buzzi, grazie alle commistioni affaristico (criminali) - politico - istituzionali, è diventata un colosso economico che guadagnava ottenendo appalti sui servizi, il verde, la gestione di patrimoni pubblici, ma anche su Rom e immigrati, di coop rosse e cielline si parla anche nell’inchiesta fiorentina sulle grandi opere di questi giorni. 

Una cosa devastante per una realtà imprenditoriale che dovrebbe fare dell’etica e la solidarietà la sostanza del business, delle attività economiche. Qualcosa che potrebbe indurre a pensare che in un paese come l’Italia, piagata dalla corruzione (ancora non piegata, si spera) nulla si salva dal malaffare.

Ma la vittoria di un piccolo comitato reatino, quello dei “soci prestatori”, costituitosi dopo la crisi della Coop76, riesce contemporaneamente a fare scuola sulla forza dellavirtù civile, quando si attiva, e a non fare di tutta l’erba un fascio. 

Tutti o molti ricorderanno la vicenda che ha visto una storica cooperativa reatina finire nel fallimento e in un grottesco e incomprensibile percorso scelto dalla Lega Coop regionale (al tempo guidata da Stefano Venditti e commissariata dopo i fatti di “Mafia Capitale” dal presidente nazionale subentrato a Poletti, Mauro Lusetti), dall’amministrazione provinciale guidata da Fabio Melilli e da una parte del sindacato provinciale.

Invece che accogliere e sostenere l’offerta di una delle grandi cooperative di consumo del sistema nazionale, la Coop Centro Italia,2.700 dipendenti, più di 525mila soci, 614 milioni di euro di vendite, pronta ad assorbire i negozi e a garantire la restituzione di 2 milioni e 200mila euro ad 800 soci prestatori, l’allora presidente Venditti in testa, si preferì dare il fitto di ramo d’azienda ad una piccola neo-cooperativa di Latina: Evergreen.

Una cooperativa nata ad hoc: il 6 aprile la Lega Nazionale (guidata dall’attuale ministro Poletti) presenta l’istanza di messa in liquidazione della Coop76 e il 10 aprile nasce Evergreen, con un capitale di 225 euro e guidata da una imprenditrice agricola dell’agro pontino scelta da Nicola Zingaretti come assessore all’agricoltura. Un assessore con tanto di rinvio a giudizio, ma mai sospesa dal ruolo istituzionale come tanti del Pd oggi chiedono al ministro Lupi.

Evergreen garantiva solo l’apertura dei negozi, ma abbandonava al loro destino d’incertezza lavorativa i 100 dipendenti e i creditori della cooperativa reatina: fornitori e soci prestatori. Questi ultimi, come mi disse Pierluigi Coccia, uno dei tre liquidatori, “anello debole della catena”. I meno garantiti di riprendere i 2milioni e 200mila euro prestati alla Coop76. Ma l’«anello debole», ha lavorato per tre anni, con caparbia determinazione, riuscendo ad ottenere quanto in tanti davano per perso.

Roberto Frizzarin, portavoce del Comitato soci prestatori della Coop76 oggi racconta soddisfatto : «Con l’apertura dell’ultimo negozio, abbiamo avuto la conferma dal dottor Raggi che dopo pochi giorni, il 2 febbraio, avremmo potuto riottenere le somme prestate recandoci nei punti delega dei vari negozi rimasti aperti. Ormai siamo quasi tutti rientrati in possesso del dovuto. Ma ancora qualcuno non lo ha fatto. Forse sono quelli rimasti ai margini della nostra azione».

Insieme a Frizzarin incontro altre due «combattenti» del comitato, Irene Giangreco Marotta e Onorina Silvestri. Quest’ultima, «utilissima per la sua competenza del mondo cooperativo», dicono Roberto e Irene, è nota anche fuori Rieti per una protesta messa in atto il 6 dicembre dello scorso anno, insieme ad altri dipendenti della Legacoop regionale, all’esterno del centro Congressi Frentani dove si svolgeva il congresso della Lega Coop Lazio. La protesta è nata da licenziamenti dopo 30 anni di servizio.

Il caso di Onorina Silvestri è quanto di più lontano dai valori della cooperazione riguardo al lavoro. Responsabile dell’ufficio provinciale di Legacoop regionale, nel settembre del 2010 venne posta in cassa integrazione e poi licenziata. La giustificazione era la crisi economica dell’ente regionale. Strano che poi i soldi per la presidenza e la vicepresidenza provinciale di Legacoop Lazio ci fossero (lavoravano gratis?). 

Nel marzo del 2011 vennero nominati Alessandro Toniolli e Federico Masuzzo.I fatti di «Mafia Capitale», seguiti dal commissariamento hanno azzerato tutte le nomine. E si spera che i licenziati, come Onorina Silvestri, ottengano giustizia.

Una giustizia che il Comitato dei soci prestatori di Rieti hanno ottenuto grazie al rispetto della parola data dal presidente della Coop Centro Italia, Giorgio Raggi. «Fin dall’inizio abbiamo capito che l’unica speranza per noi era che subentrasse nella proprietà la Coop Centro Italia e che andava seguita la strada della solidarietà e non quella giuridica, lunga e incerta. Va dato merito al dottor Raggi di non aver tradito la nostra fiducia», dice Frizzarin. 

Una regola del giornalismo è che fa notizia l’uomo che morde il cane e non viceversa. In una cronaca italiana fatta quotidianamente di notizie che non lasciano spazio ad altro se non alla corruzione, pubblica, istituzionale e privata, parlare, finalmente, di un colosso cooperativo, come quello umbro, rispettoso della vocazione della propria natura, ovvero del fare impresa contemperando gli affari e i profitti, con i fini mutualistici e solidaristici, che altro è se non una notizia? Una buona notizia. Finalmente.