venerdì 5 aprile 2013

Sviluppo locale e capacità di fare squadra


Qualche anno fa, chi avesse utilizzato un motore di ricerca on line per avere notizie sul nostro territorio, cliccando su “Provincia di Rieti” avrebbe aperto una pagina con la scritta “Sabina attraente per natura”. Una promessa non ingannevole, perché la nostra terra è davvero magnifica, prolifica di beni naturali, di storia, di paesaggi generosi di bellezza.

Altro discorso è quando si parla di cultura, intesa come modalità di rapportarsi con gli altri e con il mondo circostante. In questo caso a dominare è la chiusura, l'egocentrismo, la diffidenza, l'incapacità ad aprirsi alla cooperazione per rispondere ai cambiamenti prodotti dalla post- modernità. Ognuno per sé e dio per tutti è il valore condiviso da un mondo antropologicamente fermo al contesto contadino e valligiano, cosa che complica l'intrapresa economica di chi non trova sostegno in reti fiduciarie. Un valore che accomuna società civile, istituzioni e mondo politico. 

Ad un incontro organizzato la scorsa settimana al Teatro di Cristallo di Rieti, da Slow Food reatino per far conoscere la filosofia  dell'associazione che promuove la cultura del cibo di qualità, dell'agricoltura compatibile e della sostenibilità ambientale, c'era tanta gente e diversi produttori locali, tra i quali il giovane proprietario di un'azienda agricola ed agrituristica del comune di Contigliano,“Le Chiuse di Reopasto”, Vittorio Piozzo di Rosignano. Mi è sembrato interessante intervistarlo, per conoscere i problemi di chi investe soldi ed energie sul nostro territorio. 

Mi racconti qualcosa di lei, cominciando dal cognome che mi sembra poco reatino

Sì, mio padre è di Torino, mentre mia madre è di Roma. L'azienda è sempre stata trasmessa per via femminile, per cui i cognomi sono cambiati. I proprietari originali sono i Vitelleschi, presenti a Labro dal '300. La proprietà è sempre stata tramandata quindi è sempre stata curata e preservata da interventi ecologicamente dannosi. I miei genitori per lo più vivono a Torino e per questo sono più io ad occuparmi dell'azienda.

Bene. Che tipo d'azienda è questa?

È un'azienda a filiera chiusa. Quello che produciamo nei nostri campi al 90%viene riutilizzato in stalla per i nostri animali, da sempre alimentati dai nostri prodotti. Avevamo scelto, per un fatto puramente burocratico, di non aderire al disciplinare, ma ora siamo in conversione biologica, in attesa della certificazione per avere il marchio di biologico. Una  procedura complessa e lunga, due anni. Noi abbiamo chiesto di poter accelerare, visto che siamo da sempre, di fatto, biologici, ma non si può. Comunque, le regole vanno accettate (sana cultura asburgica ndr). 

Da quanto mi ha detto Monica (Monica Luchetti, una giovane ed efficiente collaboratrice) fate anche una certa sperimentazione

Sì, nel nostro piccolo (ride). Proviamo a mescolare i diversi grani con cui fare la pasta e le farine. I nostri grani sono antichi e geneticamente incrociati ma non modificati, ad esempio Saragolla, detto dei faraoni, e Cappelli.

E in quale mercato collocate i prodotti? Solo reatino?

Rieti e Roma. La nostra, per ora, non è una grande produzione. Abbiamo anche quattro mini appartamenti ed uno più grande, oltre un ristorante e locali per cerimonie. L'unico problema è che sembra che i romani non conoscano Rieti.

Come è possibile?

Me lo chiedo spesso anch'io. Questa è' una zona bellissima, relativamente distante da Roma. E poi Rieti è il centro d'Italia, ma è molto mal collegata. È strano, ma mi succede spesso di sentirmi chiedere dov'è Rieti.

Forse dipende da noi che non sappiamo, o vogliamo, farci conoscere. La mancanza di strade comode non impedisce a certi luoghi di essere molto frequentati. Pensiamo all'Umbria

Beh, sì. A volte mi chiedo se i reatini siano chiusi per colpa dei cattivi collegamenti o se quelli dipendono dalla volontà di restare isolati. Un isolamento che ha aiutato il territorio a preservarsi, ma per i giovani è un problema trovare lavoro. E così il territorio si svuota di risorse umane.

In effetti la promozione del territorio è fondamentale e la voglia di aprirsi al mondo anche. Poi, qui vicino c'è Greccio.

Sì, e San Francesco ha vissuto qui a lungo, ma non lo sa nessuno: sembra che appartenga solo all'Umbria. Manca lo sviluppo anche dei percorsi francescani. Il Cammino di Francesco, ad esempio, passa molto sulla strada asfaltata. Questo succede perchè il Velino forma una barriera, ma basterebbe qualche ponticello per risolvere il problema e rendere più piacevole l'itinerario. Passare su un sentiero alberato e non sotto il sole, senza motori che ti sfrecciano vicino, credo sarebbe meglio, no? Sembrava che la Fondazione Varrone avesse dato la disponibilità per finanziare un ponte nella zona di Montisola, ma non se n'è fatto niente.

Certo, non deve essere piacevole per un pellegrino camminare su una strada asfaltata.

Sì, infatti. Noi abbiamo un nostro passaggio per arrivare al santuario. Ci si arriva con mezz'ora di salita. La Provincia ci aveva chiesto se volevamo renderlo percorribile anche dai pellegrini. Abbiamo dato la disponibilità a patto che il sentiero fosse curato, messo in sicurezza. I nostri animali pascolano allo stato brado ed il contatto potrebbe essere insicuro. Comunque, per noi sarebbe stato un disagio, ma volentieri ci saremmo prestati a trovare soluzioni. Credo sia mancata la disponibilità di altri abitanti del posto. E comunque non abbiamo saputo più niente. Tante belle iniziative finite nel nulla.

Come vogliamo concludere?

È difficile per un privato sviluppare le forze da solo. Un privato deve avere alle spalle qualcuno che promuova lo sviluppo del territorio. Non c'è speranza di crescere senza l'impegno delle istituzioni e lo spirito di cooperazione dei privati, uniti in una visione di sistema. E' un problema italiano, non solo locale, non si riesce a crescere perchè non sappiamo fare squadra. Ad esempio, non siamo riusciti a trovare un mulino in questa provincia per macinare il nostro grano e siamo costretti a rivolgerci a Pescara. Diventa tutto più complicato. Un peccato.

Grazie