domenica 30 gennaio 2011

Nobili e l’omogenesi dei fini


Di Lidia Nobili, bi-consigliera, provinciale  e regionale, vanno sicuramente ammirate le doti di resistenza e tenacia. La signora, infatti, nel suo cursus politico, ha tenuto testa a non pochi assalti, più o meno palesi, da parte della componente maschile del suo partito. Non ultimo quello sferrato dal medesimo Berlusconi che, stando alla stampa, non sembrava volerla nel listino regionale.

Ma, l’intrepida politica, fattasi da sé ( titolo ormai di merito), ha sfibrato ogni resistenza ed è volata, non più con la Porsche, ma con macchina blu, tra i banchi dei nominati della Pisana. E siccome il ruolo in politica ormai fa anche, a volte soprattutto, l’estetica, anche per Nobili, impostasi negli anni anche per le sue mise ardite, è arrivato il look “ elegante ”( termine aureo del lessico berlusconiano).

Chapeau! Ma i complimenti finiscono qui, perché l’operato politico della signora è fastidiosamente limitato ad un perimetro che non supera l’autoreferenzialità. Talvolta l’insolenza, visto che ogni sua iniziativa da consigliera regionale si accompagna a sgarbi istituzionali che vanno molto oltre la semplice lesione formale di una doverosa procedura.

Procedura che richiederebbe, quando si invita un assessore regionale, ad estendere l’invito anche i responsabili delle istituzioni di prossimità, Comune e Provincia. Cosa che non fa, con una ripetitività che ha del metodo. E come accaduto in diverse circostanze, anche recentemente, in occasione dell’arrivo a Rieti dell’assessore regionale al turismo, Zappalà, i rappresentanti istituzionali, ad eccezione del Prefetto, non sono stati invitati. Perché? E con quali conseguenze per la collettività?

Alla prima domanda si può tentare di rispondere con varie ipotesi. Forse la consigliera coltiva un proprio disegno che ci sfugge. Forse sta seminando il proprio orto per raccogliere frutti nelle prossime elezioni comunali. Forse è vittima di un egocentrismo fuori misura e fuori controllo. Ma sono, appunto, ipotesi. La verità la sa solo lei. Diverso è il discorso sulle conseguenze per la collettività dei suoi comportamenti. Il minimo è che si sprechino delle preziose occasioni per fare il punto su temi di interesse generale. Come è, senza dubbio alcuno, la riflessione su un altro modello di sviluppo, dopo la fine di quello industriale.  

Alla presenza di alcuni sindaci della provincia, diciamo d’area,  di qualche operatore del settore, di un po’ di amici di Nobili e di qualche componente della sua “ corte”, l’assessore Zappalà ha sinteticamente illustrato il Piano triennale del Turismo ed ha detto cose non del tutto peregrine. Ma, proprio per l’inconsistenza degli obiettivi dell’incontro,  più mirato alla contesa personale verso gli esclusi, che a creare intesa tra i cosiddetti stakeholder (i vari soggetti interessati al tema trattato, rappresentanti istituzionali compresi), l’evento, probabilmente, non produrrà grandi effetti.

Effetti che possono scaturire solo dalla mobilitazione di energie e da un progetto comune. Cosa difficoltosa, in una realtà difficile come la nostra. Una realtà che ci vede protagonisti di una economia di piccola scala, caratterizzata da un’imprenditoria culturalmente pronta più al sostegno pubblico che al rischio privato e ad una scarsa propensione alla cooperazione. In un territorio danneggiato da un sistema infrastrutturale bloccato alle velleità  dei “ promettitori”più che al realismo delle possibilità  e con un sistema bancario per niente disposto a sostenere le piccole e piccolissime imprese.

L’assessore Zappalà è simpatico, spiccio e comunica pragmaticità. Ha subito chiarito di non essere esperto del settore, ma di avere compreso un punto fondamentale: al turismo laziale serve soprattutto la “ promozione”. Molti dei presenti, sindaci  e qualche operatore,  quasi sicuramente se ne sono andati delusi. Del Terminillo non si è parlato. Se ne riparlerà. Riguardo alle sagre, è stato il de profundis: meglio spendere i pochi soldi in una promozione mirata, che sperperarli in municipalismo festaiolo. La sagre, chi le vuole, se le paga.

La via Francigena? Che ci si fa? Non serve a produrre un turismo che crea economia. Meglio investire sul sistema dell’albergo diffuso, un modello di sviluppo turistico adatto ai territori come il nostro, fatto di piccoli borghi, di un ambiente ancora sano, ricco di storia e di cultura. Un modello che si presta particolarmente all’imprenditoria giovanile e femminile.

Quello di Zappalà è un modello convincente che ripone al centro del sistema un progetto che va recuperato alla sua pienezza identitaria. Il “ Cammino di Francesco”. Un prodotto turistico snaturato in segmento della generica via Francigena e sottratto, in tal modo, della forza che hanno le unicità. Se le tante vie francigene, infatti, rimandano a Roma, il “ Cammino di Francesco” parla di Rieti, del suo territorio, di una cultura cristiana affatto peculiare.

Cosa augurarsi? Che l’omogeneità degli obiettivi di Nobili, si capovolga,  grazie alla provvidenziale eterogenesi dei fini, in una capacità di iniziativa da parte di coloro che oggi sembrano reagire solo con querimonie, o, addirittura, con piccole, inutili ritorsioni che si esauriscono su facebook. Chi vuole intendere intenda.














domenica 23 gennaio 2011

Donne d'Italia:il Pd le tenga a mente

E’ sempre più penoso, quando si va all’estero, dichiarare la propria nazionalità. Ormai, dopo le tante vicende prodotte dalla vita del Presidente del Consiglio, è diffusa e comune esperienza di chiunque viaggi, particolarmente in Europa, di sentirsi collocato all’interno di confini socio-culturali incomprensibili. A stupire non sono le notizie sul libertinismo trimalcionesco del premier, ma l’accidia con cui l’Italia le accoglie. Non è facile spiegarla. Non si può spiegare agli altri quello che non spieghi prima a te stesso.

A Londra per una decina di giorni, non c’è stato giorno che non portasse la sua piccola frustrazione al mio sentimento civile. Dovunque, in piena faccenda Ruby, ho incontrato uno sguardo o parole di esplicita curiosità su quanto succede alla nostra democrazia. Particolarmente incuriosisce la condizione femminile. Ormai si ha quasi l’impressione che tutte le italiane siano disposte opportunisticamente a tutto. Laddove la natura e l’anagrafe lo consenta, sembra che nessuna donna sarebbe refrattaria a praticare un mestiere un tempo indicibile. Oggi elegantemente pronunciato col termine “escort”.

Sembra proprio che il noto familismo “ amorale”italico stia conoscendo una declinazione di  moderna immoralità prodotta dall’ambizione. Il pregiudizio è una pianta a crescita veloce e non puoi passare il tempo a spiegare che l’Itala non è come appare. A dire che nei momenti in cui prevale il rumore la cosa più importante è esercitare la capacità di distinguere tra quello che emerge e quello che vive nei toni più bassi. Ma che c’è ed è solido. A convincere che le donne non disponibili ai compromessi sono la maggioranza e che l’unico problema è la loro marginalizzazione da parte di un sistema paese, di una politica soprattutto, ancora incapace di trarne vantaggio puntando al meglio e non all’addomesticamento.

Che tantissime ragazze, anche se non sono invitate da Signorini in televisione come Ruby; anche se  la loro normalità non ha presa mediatica, vanno fiere della propria  autonomia. Che anche se non vivono sognando la borsa Vuitton, orologi con diamanti o altre mirabilie del “successo”, tantissime nostre giovani rappresentano una realtà di grande valore. Ne ho incontrate alcune ad una cena tra connazionali. Giovani meno che trentenni che lavorano a Londra, entrate in rapporto grazie a Twitter e passione da food blogger. Davanti ad una pizza di discreta qualità, la nostalgia dell’Italia, della famiglia, gli amici, si mescolava con un sentimento di rifiuto a tornare in una patria  che ha ricondotto le donne in una condizione di impensabile minorità.

Minorità lavorativa e minorità esistenziale. E quantunque ferisca di sentirsi chiedere da amici e colleghi““ How is being Italian?”- come è essere italiana- strana domanda, ma coerente con una rappresentazione che ormai si ha della nostra antropologia nazionale, non si può pensare di tornare.
Nonostante si avverta una punta di razzismo quando, lamentandosi di qualcosa, ci si sente dire con sarcasmo “ You can always come back to Italy, can’t You?”- puoi sempre tornare in Italia, no? Sai che non puoi farlo. Te lo dicono i tuoi stessi genitori che “ non è aria”. Che i miasmi  di crisi che arrivano all’estero sono solo una parte di quelli che si respirano vivendoci.

Fuori dell’Italia non c’è il paradiso. C’è spesso la fatica, il doversela cavare da sole, dalle piccole alle grandi cose, ma almeno c’è una cosa che non si perde: la dignità. La dignità di essere giovani che non accettano di stare al gioco della rassegnazione e della sottomissione all’insulto della propria vicenda umana e di genere. Ed è proprio l’orgoglio della sottrazione ad un destino nazionale assegnato alle donne dal presente che dà la forza di andare avanti. Di non tornare indietro.

E’ stato di grande conforto sentire giovani donne esporre le ragioni che le hanno condotte a lasciare il proprio paese. Non il bisogno, quello che spingeva gli italiani ad emigrare verso paesi più ricchi, ma il rifiuto di un sistema che di democrazia moderna ha davvero poco. Si va via per dare alla propria vita una pienezza civile ed umana che un contratto di lavoro precario e a nero non ti dà. Si va via perché non ci si rassegna a sentirsi figlia di un dio minore a causa del genere. Si va via perché non si vuole barattare la libertà con la condizione comoda di “ bambocciona”. Si va via perché non è dignitoso dover bussare a  qualche porta per farcela come surrogato del merito.

Questo dovrebbe tenere a mente il consigliere Imperatori, quando critica il Pd che raccoglie le firme per chiedere le dimissioni di Berlusconi. Questo deve tenere altrettanto in mente il Pd quando si presenterà come alternativa al pasticciaccio brutto dell’attuale maggioranza.

  




domenica 9 gennaio 2011

Che colpa abbiamo noi del disastro sanitario laziale

   Dopo lo sciopero il dialogo
   Ma  Bersani lo aveva detto:” Se vince Polverini vincono Berlusconi e Storace”
                  E i cittadini pagano per colpe non loro

Tutti ci auguriamo che il sindaco Alfredo Graziani, con il breve sciopero della fame di dialogo con il Direttore Generale Gianani  e con Polverini, possa ottenere qualche risultato gradito alla sua gente, aggrappata alle sue iniziative per impedire la chiusura dell’ospedale Marini, uno dei ventinove piccoli ospedali  ritenuti non più sostenibili dal disastroso bilancio regionale.
Ad ogni buon conto, niente potrà modificare il giudizio negativo sul metodo adottato dalla governatrice del Lazio per imporre un riordino sanitario pesantissimo per i cittadini della regione, ad esclusione di Roma.

Un riordino atteso da tempo, in altre regioni avvenuto da tempo, ma che oggi arriva accompagnato da un penoso senso di imposizione e di precarietà, oltre che di improvvisazione, come emerge dalla  possibilità di riconvertire l’ospedale di Magliano in poliambulatorio per la medicina non convenzionale. Possibilità di per sé non insensata, ma sbagliata se calata dall’alto, senza  coinvolgimento delle parti in causa.. Nè potrà cancellare la certezza di  tanti elettori di essere  stati turlupinati dall’attuale presidente, arrivata a Rieti, prima della asburgica Bonino, come una madonna pellegrina dalle braccia aperte ad accogliere tutte le richieste, anche le più inaccoglibili, del territorio.

Il miracolo di lasciare gli ospedali Amatrice e di Magliano tal quali in caso di vittoria, nonostante la mannaia sollevata dalla legge di Stabilità, d’altronde, era coerente con le sceneggiate della destra. I romani ancora ricordano la campagna sferrata  nel 2009, contro Marrazzo, disegnato su T-shirt con le sembianze della morte per via del Piano Sanitario che andava a discutere con i ministri Saccone e Fazio. L’ex governatore, attaccato dalla destra regionale, dovette difendere, davanti alla destra governativa, la scelta di non tagliare letti ed ospedali.

 Il poveraccio invocò anche l’emergenza influenzale per giustificare il rinvio delle “ mazzate” sulla sanità inferte dal Piano di  riordino di Morlacco, sub commissario governativo affiancatogli dal Consiglio dei Ministri, e contenuto in 25 cartelle. Piano Morlacco, accolto e potenziato ora da Polverini,  che lo ha fatto suo e lo ha imposto ai territori, esclusi da un processo frettoloso e caratterizzato dal metodo dei tagli orizzontali. Un metodo che chiude, accorpa, riduce il benessere dei cittadini, nel nome esclusivo di una logica contabile che nulla ha a che fare con le peculiarità di una azienda sanitaria.

La verità è che in modo quasi kafkiano a noi cittadini tocca scontare colpe non nostre, mentre gli sprechi regionali aumentano. Bastano a misurarli le quantità di commissioni, le inutili aziende pubbliche, la miriade degli uffici, spesso chiusi ed inattivi. A noi tocca pagare, ziztti zitti per favore! per quello che è accaduto al tempo di Storace governatore. E’ quasi noioso ricordarlo, la gestione regionale della destra, oltre alla vicenda truffaldina di Lady Asl ( un centinaio di arresti, tre assessori coinvolti,  82 milioni di euro sottratti alla nostra Sanità), ci ha regalato un debito di circa dieci miliardi di euro, per tamponare il quale la Regione, nel 2008, ha dovuto stipulare un mutuo trentennale che ci costerà 280 milioni fissi per altri 17 anni.

E siccome l’impudenza, per definizione, non conosce limiti, oggi, al fianco di Polverini è tornato uno che dello sfascio fu pieno protagonista: Gramazio, tornato nel Cda  di “ Laziosanità “, di cui con Storace era presidente. Senza voler sottovalutare le responsabilità  della sinistra nel non aver avuto il coraggio di fare quello che oggi sta facendo pessimamente la destra, mi sembra giusto ricordare le parole di  Bersani: “ Se vince Polverini comandano Berlusconi e Storace”.

Il consigliere Antonio Cicchetti ha dato assicurazioni circa la bontà della riorganizzazione sanitaria sabina, disegnata sul modello umbro e toscano. Non c’é ragione di dubitare della sua parola. Per ora, però, si capisce soltanto che molte aree periferiche della nostra provincia resteranno senza strutture ospedaliere e senza assistenza domiciliare ed il fatto che in nove mesi si sia partorito solo la nomina del Direttore Generale della Asl, preoccupa.

Ad essere ottimisti potrebbe voler dire che si stanno cercando persone di qualità.. Ad essere pessimisti, invece, il ritardo potrebbe derivare dai consueti giochi dei partiti, ben decisi a non ritrarre le mani dalla sanità. E pazienza se oggi  la malattia, e peggio sarà nel prossimo futuro, farà ancora più paura.

venerdì 7 gennaio 2011

Se la Provincia dimentica il tricolore

Se un passante non reatino ( il famoso turista..) questa mattina, venerdì 7 gennaio, passasse per la piazza Vittorio Emanuele, dove affaccia il bel palazzo Dosi, sede della Provincia, ente di origine preunitaria, si domanderebbe, probabilmente, se, putacaso, a governare la provincia non siano dei leghisti.

 Il fatto è che vedrebbe la bandiera messa a mezz’asta, in segno di lutto, proprio il giorno in cui prendono il via i festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Già altre volte si è costatato che gli inquilini della bella dimora pubblica non prestano grande attenzione allo stato del simbolo del nostro Paese,  lasciato tristemente appeso come uno straccio annerito dallo smog.

Ma dimenticarne anche oggi il valore simbolico, nonostante l’invito del presidente Napolitano a far sentire forte la festa, va oltre la semplice sciatteria. Denuncia, piuttosto, una superficialità ingiustificabile verso il sentimento patrio ( sia detto senza retorica ) e per il senso profondo della nostra storia. Condannabile particolarmente se proviene da chi dovrebbe esserne il custode, in quanto rappresentante di una delle sue istituzioni. Mi dispiace, Presidente Melilli, la mia critica va a lei.

Per parte mia, voglio ricordare le parole di Carlo Azeglio Ciampi, ex presidente della repubblica e patriota  appassionato, pronunciate dieci anni fa a Solferino: “Non è un caso che i Padri Costituenti, come simbolo di questo insieme di valori fondamentali, all’art.12, indicarono il tricolore italiano. Il tricolore non è semplice insegna di Stato. E’ un vessillo di libertà conquistata da un popolo che si riconosce unito, che trova la sua identità nei principi di fratellanza, di uguaglianza, di giustizia nei valori della propria storia e della propria civiltà. Per questo adoperiamoci perché in ogni  famiglia, in ogni casa ci sia un tricolore a testimoniare i sentimenti che ci uniscono fin dai giorni del glorioso Risorgimento.

martedì 4 gennaio 2011

Rieti e l'assessore che diventa opera d'arte

Il Consiglio regionale del Lazio, poco prima delle Feste di Natale ha approvato il Piano del Turismo di Marrazzo. Sì, perché il programma triennale adottato dalla maggioranza guidata da Polverini è lo stesso varato da quella guidata dallo “sfortunato” Governatore. In sintesi, vi si legge, grazie a numeri e percentuali, che l’industria principale del Lazio è quella turistica, con l’80% di imprese operanti nel settore.

Roma, certamente, gioca il ruolo principale, ma, da quanto ha affermato l’assessore Zappalà, ogni territorio può prendere parte alla partita dell’economia turistica, grazie al principio della diversificazione dell’offerta. Gli strumenti previsti dal Piano sono tanti e vanno dall’avvio della istituzione della Scuola di Alta Formazione del Turismo, già prevista dalla legge 13/2007, alle facilitazioni per l’accesso al credito attraverso il “Fondo Rotativo” e la “Banca Impresa Lazio”.

A detta di qualche esperto, però, il Piano mutuato dalla passata maggioranza manca di “ vision” e abbonda di vaghezza. E forte è il rischio che, in fase di attuazione, gli unici a guadagnarci davvero saranno i territori compresi nel Litorale romano. Per quanto riguarda, invece, la nostra provincia, un fatto che calza a pennello con la considerazione di Oscar Wilde: “ il diavolo si nasconde nei dettagli” , non induce all’ottimismo. Quella che segue è la narrazione dei fatti da cui scaturisce la pessimistica previsione.

È con un accattivante sorriso che l’assessore provinciale al Turismo, Mezzetti, compare in una operazione editoriale di difficile attribuzione: “L’Agenda Lazio 2011, una regione tra monti e mare: più la conosci e più la ami”( non sono riuscita a capire chi fosse il committente: la Regione? La Provincia?), come solitario rappresentante pubblico tra tante immagini del ”patrimonio artistico, culturale, architettonico, archeologico, storico, del Lazio”. L’ho scoperto sfogliando il patinato libriccino che mi hanno regalato mentre assistevo ad un dibattito sulle meraviglie enogastronomiche della Sabina e le sue tante biodiversità, piacevolmente seduta tra le tele ad olio di una bella sala del palazzo Dosi.

Lo comincio a sfogliare solo con qualche pregiudizio rispetto all’utilità di un simile prodotto editoriale, non riuscendo a non farmi domande su quanto sarà costata l’operazione e, soprattutto, su chi davvero ci ha guadagnato dalla sua realizzazione. Ma, quanto meno per amor di patria, sono disposta a perdermi nell’elenco infinito delle consuete proposte artistiche e ambientali della regione. Disponibile a regalare un po’ del mio tempo all’esagerazione delle promesse tipiche delle operazioni promozionali. Curiosa di vedere quale opera artistica fosse stata scelta per promuoverci come territorio d’arte, ancorché minore, e di bellezze naturali.

E, davvero, sono rimasta di stucco vedendo la foto dell’assessore Mezzetti, stampata sotto la scritta “provincia di Rieti”, mentre altre località regionali erano accompagnate da facciate di palazzi storici. Non l’Angelo Custode dello Spadarino, splendida tela conservata nella chiesa di S. Rufo. Non l’ovale dell’Immacolata Concezione dell’altare di S. Barbara, opera di Bernini. Né gli affreschi tardo medievali di S. Agostino o la sua facciata trecentesca. Neanche i resti di S.Vittoria, chiesa romanica di Monteleone Sabino, né l’abazia di Farfa, né alcuna delle opere conservate in qualche museo della provincia, hanno meritato di figurare come nostre risorse turistiche. E al diavolo i laghi Lungo e Ripasottile, la cui vista dall’alto nei giorni di sole basterebbe a giustificare un viaggio nella Valle Santa.

O i panorami suggestivi offerti dai laghi artificiali, dai borghi, dai castelli. Così come non sono parse interessanti le tante mura antiche che irridono al tempo che scorre. I possessori dell’Agenda regionale del Lazio, il cui numero non sapremmo dire, ma si può credere saranno molti ( in queste cose i “tutori” dei quattrini pubblici non badano a spese), assoceranno Anzio alla sua Villa Sarsina; Castelnuovo di Porto alla Rocca Colonna; Cerveteri al Complesso di Santa Severa; Roma a Palazzo Valentini, le Domus romane e Villa Altieri; Zagarolo a Palazzo Rospigliosi e Rieti all’assessore Mezzetti.

Il Consigliere Regionale del Pd Mario Mei ha chiesto di rafforzare le intese istituzionali con le Province, particolarmente del Nord, quindi anche con Rieti. Con il “dettaglio”appena raccontato, sia detto con preoccupazione, c’è poco da stare allegri. Perché il giovane assessore è simpatico ed avrà sicuramente meritato il delicato posto che ricopre, ma, insomma, farne un motivo promozionale della provincia mi pare una esagerazione. Nemmeno fosse il Colosso di Rieti.

 giornale di rieti

Auguri al "Giornale di Rieti", agorà moderna

Di positivo nella vita pubblica di questo paese, almeno in questo momento, non sembra essercene molto. E l'esercizio più facile da mettere in atto è sicuramente l'elenco delle negatività. Ma a cosa e a chi può servire la solita litania sui mali del nostro territorio recitata mentre ci si appresta a stare in festa intorno a zamponi e cotechini? A non molto di più che ad assolvere ad un inutile rituale.

È in ordine a questo pensiero che desidero accompagnare i miei auguri ad uno sguardo positivo su quanto di buono mi sembra andare incontro al nuovo anno. Una cosa buona e positiva mi sembra questa agorà moderna che è "il Giornale di Rieti". Uno spazio libero di opinione e di confronto che fa della democrazia una possibilità infinita di dialogo: linfa vitale di ogni società aperta.

Uno spazio come quello che offre "il Giornale di Rieti", nell'era della società e della comunicazione globali, fattori di estraniazione collettiva e di condizione esistenziale "liquida", è un prezioso collettore territoriale e di vittoria sulla "spirale di silenzio"che per Noelle Neumann è responsabile della dannosissima disintegrazione sociale. Come accadeva duemila e cinquecento anni fa nelle piazze delle polis greche, anche su questo giornale si diffondono le notizie prodotte dal'attualità. Come allora, i soggetti di rappresentanza se ne servono per le proprie rappresentazioni, fare annunci, promettere allo scopo di promuovere se stessi e la propria azione politica o sindacale.

Perché chi ha un ruolo pubblico "non può sottovalutare l'importanza di avere buona o cattiva immagine davanti al resto degli uomini "( Platone.Leggi, XII). E come allora ci sono cittadini, intellettuali, pensatori, più o meno elevati, impegnati a dare,per passione civile, il proprio contributo alla riflessione. Una riflessione più efficace grazie alla mancanza di una linea editoriale, troppo spesso utilizzata più a favore della "fabbrica del consenso"e della omologazione che della libertà di pensiero e di formazione dell'opinione pubblica.

E dunque, mentre l'ultimo tratto di un anno di vita pubblica senza gloria, rimbalzato tra chiacchiericcio gossipparo, attese territoriali deluse e rari guizzi di speranza, se ne scivola via, auguri alla redazione del "Giornale di Rieti", ai suoi tanti lettori. E che il piacere della democrazia e della libertà di confronto ci accompagni sempre.