mercoledì 23 febbraio 2011

Magliano e la 'bufala' elettorale di Cicchetti

L’inefficiente e sprecona organizzazione sanitaria della regione Lazio giustifica certamente il suo riordino. Almeno su questo, credo, possiamo tutti convenire. Altra cosa è il merito ed il metodo con cui la ex sindacalista sta imponendo il suo Piano Sanitario, motivato, non tanto dalla necessità di ottimizzare e ammodernare il sistema, bensì da quella di rientrare dal debito. 

Piano che sta producendo un sentimento di profonda frustrazione in chi vive nelle province laziali e nei loro rappresentanti pubblici che tentano di fermare l’ impoverimento dell’offerta sanitaria, ormai del tutto romanocentrica, con risposte anche drastiche, come quella di Magliano Sabina che si prepara al referendum per passare alla regione Umbria. Qualcuno ricorderà la reazione “forte” scatenata da un mio articolo, critico verso la decisione del sindaco di Magliano e della sua giunta di opporsi in modo troppo solitario alle scelte regionali sulla sanità. Il nocciolo del mio argomentare era sostanzialmente che una visione miope, circoscritta e proprietaria dell’ospedale Marini da parte di Magliano, lo avrebbe ridotto ad un “ospedaluccio sotto casa”, piuttosto che farne una importante articolazione del corpo sanitario territoriale per cui impegnarsi tutti insieme, in un’ottica d’interesse comune. 

E così è stato. Ben altro risultato, forse, avrebbe avuto un movimento unanime di tutto il territorio, meglio ancora se di tutte le province laziali, per chiedere la convocazione degli Stati Generali del sistema socio-sanitario, come avviene in regioni dove la sanità funziona, la Lombardia ne è un esempio. Cosa promessa da Emma Bonino in caso di vittoria, al fine di coinvolgere i rappresentanti istituzionali in un processo di riordino difficile, talvolta doloroso, più sostenibile e meglio armonizzato se condiviso. 

Ed è proprio la mancata condivisione il punto dolente della politica regionale. Una mancanza i cui effetti sembrano sfuggire anche a chi, come Antonio Cicchetti, si è fatto garante, durante la campagna elettorale, delle promesse mancate di Polverini. Perché anche su questo non dovrebbero esistere disaccordi: quello che oggi sta facendo la Presidente regionale non è quello che fu assicurato. Cicchetti lo sa e, se lo conosco bene, non ne sarà contento. Forse è proprio la consapevolezza di essersi fatto garante di una “bufala” elettorale a metterlo in difficoltà, essendo un uomo d’onore. Per citare Shakespeare. 

Una difficoltà che si traduce in scortesia, sicuramente involontaria, ma ugualmente ingiustificabile, espressa nel corso di una intervista auto gestita trasmessa dall’emittente Rtr, nei confronti dei maglianesi, almeno quei “pochi” che non accetterebbero il “cambiamento” sanitario proposto per arretratezza culturale. Continuando con le citazioni, all’amico Antonio direi, parafrasando Manzoni, che nell’autoreferenziale intervista «il buon senso se ne stava ben nascosto, non riuscendo a trovare argomenti convincenti (ndr) per il senso comune». Perché è troppo facile accusare chi si è trovato a subire tagli non annunciati e proposte di riordino lontanissime da qualsiasi aspettativa ( come può essere quella della medicina cinese) di essere mentalmente antidiluviano. Non è, appunto, una cosa di buon senso. 

Il buon senso suggerirebbe di mettersi nei panni degli elettori che hanno scelto Polverini proprio perché assicurava che l’ospedale Marini non sarebbe stato chiuso. Perché prometteva di non fare quello che, come ho scritto ormai molte volte, andava fatto da una ventina d’anni e che gli opportunismi politici hanno rinviato a tempi peggiori. A tempi emergenziali, quando le scelte sono giustificate dall’urgenza e liberate da ogni vincolo. Scelte che si calano dall’alto, come quella di fare dell’ex ospedale un presidio della medicina non convenzionale che nemmeno gli addetti ai lavori vicini all’area politica di Cicchetti accettano di buon grado. Penso al dottor Angeloni, segretario dell’Ugl. 

Il buon senso, ma anche “l’onestà intellettuale” invocata da Cicchetti, vorrebbe che non si utilizzasse la riforma Bindi, come egli fa nell’intervista, a sostegno del progetto sulla medicina cosiddetta alternativa . La riforma 229, del ministro Bindi, garantiva, sopra ogni cosa, gli interessi dei malati. Quella di dar vita a Magliano ad un grande centro di medicina cinese, opzione che personalmente non “irrido”, risponde più alle esigenze del mercato sanitario privato che a quelle del riassetto e modernizzazione del SSN regionale al fine di garantire migliori servizi e diritti. 

In conclusione, vorrei dire che il muro contro muro è quasi sempre una scelta perdente. Che chi ha la responsabilità di rappresentare il territorio in Regione ha, prima di tutto, quello del rispetto verso coloro che gli hanno accordato fiducia. Che imbastire uno sproloquio televisivo, mescolato ad alcune cose con divisibilissime sul necessario potenziamento dell’ospedale di Rieti, per difendere una riconversione di cui l’autore sembra vedere soprattutto gli aspetti economici (come se quella sanitaria fosse un’azienda qualsiasi), mi scuserà il mio fraterno amico Antonio, è fare tradimento più alla sua intelligenza che a quella di chi l’ascolta.







 

venerdì 18 febbraio 2011

Birra 'Alta quota', un modello da seguire

Gli ultimi sono arrivati qualche giorno fa dalla terra dei Fenici, di Didone, della divina Cleopatra. Sono circa cinquemila, arrivati dalla Tunisia, terra ricca di storia, di sventure antiche e di nefandezze moderne, secondo quello che Amnesty International da anni denuncia: la violazione violenta dei diritti umani. Sono arrivati a Lampedusa con barconi poco più sicuri di quelli che trasportavano Ulisse ed i suoi compagni nel percorso raccontato da Omero nell’Odissea lungo lo stesso mare. Ed è sempre odissea, nonostante il terzo millennio, quella di chi fugge da una terra che nega pace e vita ai suoi figli. 

Cosa fare per coniugare la compassione umana con il diritto degli italiani alla sicurezza? Si può, soltanto che si comprenda che con la semplice pietà, quella buonista, senza progetto, si creano solo esasperazioni razziali, se non razziste. Mentre i respingimenti, sono aberrazioni del diritto, oltre che uno scandalo delle coscienze. L’unica alternativa è studiare, per chi non abbia vere alternative ( tra cui tornare nel proprio paese una volta che la fase emergenziale sia trascorsa, anche grazie all’aiuto della comunità internazionale), il modo per favorire l’integrazione di singoli e famiglie nel tessuto connettivo delle popolazioni italiane. 

A questo proposito mi sembra opportuno ricordare un caso esemplare di felice integrazione di rifugiati a Cittareale, paese dell’alta valle del Velino, di almeno cinquanta persone arrivate da paesi lontani. Grazie al progetto “Falacrina”, finanziato dal Fai , Fondo di Accompagnamento per l’Integrazione, la cooperativa sociale “Il gabbiano”, il cui presidente è Claudio Lorenzini, si è realizzato un felice matrimonio tra umanitarismo e ricaduta positiva locale. 

Questo, sia in termini di produttività che di cultura dell’accoglienza. Sto parlando della birra “Alta quota”, prodotto artigianale di eccellenza, per usare un termine d’attualità, realizzata con farro cittarealese ed acqua delle sue sorgenti montane, da Amid e Mohammed, afgani arrivati da un paese senza pace, aiutati a superare la condizione infelice di esuli grazie alla formazione professionale, intento primario per cui si è costituita la cooperativa “Il Gabbiano”. E davvero è difficile immaginare percorsi diversi dalla formazione professionale e la selezione di territori disposti all’accoglienza, per contribuire alla soluzione dei problemi posti dalla questione dell’emigrazione clandestina. Una delle questioni più difficili per l’Italia, geograficamente esposta alle conseguenze migratorie dell’incendio che sta infuocando l’intera regione del Maghreb ed alcune aree mediorientali. 

Questione che i nostri territori montani, demograficamente depauperati, potrebbero assumere in prima linea con progetti efficaci come quello “Falacrina”. Come a Cittareale il progetto è stato capace di dar vita a filiere produttive nuove ed utili sia ai rifugiati che alle popolazioni ospitanti, così potrebbe avvenire nelle tante enclavi geografiche del nostro articolato territorio. Nelle favole, che ormai non si raccontano più, la morale ricorrente era che la generosità è, a lungo andare, pagante. 

Oggi, la birra “Alta quota” sta ricevendo l’apprezzamento del mercato qualificato, a cominciare da quello riunito al salone del gusto di Torino nel 2010. Realizzata con ingredienti biologici e senza conservanti, la neonata birra è un prodotto promosso da Slow Food, associazione grazie alla quale ho avuto il piacere di conoscerla e di gustarne la opalescente fragranza. 

Il presidente, Claudio Lorenzini, che ho incontrato recentemente ad Amatrice, in una cena di Slow Food, nell’agriturismo “Lo scoiattolo”, sorpreso lui stesso dai risultati raggiunti, ora è preoccupato solo dal successo, visto che la domanda è superiore alla produzione. Non c’è che dire, le buone pratiche, l’entusiasmo nel realizzarle e la valorizzazione delle risorse umane, non possono che fare bene al bene.
Aric

domenica 13 febbraio 2011

Anche a Rieti la manifestazione 'Se non ora quando'

Questo che segue è il mio intervento tenuto a Rieti in occasione della manifestazione intitolata “ Se non ora quando”, a cui sono intervenuta senza collocazioni politiche. Mi sembra che abbia suscitato interesse e condivisione. Mi fa piacere, pertanto, condividerlo anche con i lettori del Giornale di Rieti.

«Voglio iniziare il mio intervento con le parole di una canzone di Luigi Tenco. Se stasera sono qui è perché voglio bene al mio paese, non perché odio qualcuno. Soprattutto non sono qui per moralismo, bigottismo, baciapilismo, vittimismo, veterofemminismo, né, tanto meno perché voglio un mondo diviso tra donne per bene e donne per male. Non sono qui perché penso di poter mandare via Berlusconi, come mi ha detto qualcuno. A mandare via B. dovrebbero essere solo il suo senso delle istituzioni e la presa d’atto del fallimento di quella che Giuliano Ferrara definisce “una grande avventura politica” ed il voto del popolo. Magari con una legge elettorale rispettosa della sua sovranità.

Sono qui perché ritengo importante che torni ad alzarsi al centro della scena pubblica la voce delle donne normali. Quelle capaci di coniugare la femminilità con l’impegno, privato e pubblico, stando lontano dai riflettori. Quelle che non credono nelle scorciatoie, ma nella fatica e la soddisfazione di ottenere un lavoro grazie alla studio, alla professionalità, ai meriti che nulla hanno a che fare con la mercificazione di sè. Non sono qui contro le donne che intraprendono liberamente la via del commercio del proprio corpo.

Sono qui contro chi compra quei corpi mettendo il costo sul conto degli italiani, sia in termini economici (vedi il listino lombardo) che di prestigio nazionale. Sono qui perchè non mi interessa di giudicare i comportamenti sessuali di chicchessia, donne ed uomini, se non ricoprono ruoli pubblici, mentre trovo doveroso pretendere che gli uomini e le donne impegnati in ruoli istituzionali lo facciano con “ disciplina ed onore”, come stabilito dall’art. 54 della Costituzione, su cui hanno giurato. E perché non voglio più accettare la politica della doppia morale del “ Family day” per il popolo, e la totale indulgenza per la vita riprovevole dei potenti pluridivorziati.

Non sono qui perché io ritenga Berlusconi l’unico responsabile della difficile condizione delle donne in Italia, la questione è annosa e trasversale a tutti gli schieramenti, purtroppo, ma perché so che il berlusconismo ha peggiorato le cose, diventando una devastante valanga culturale che diseduca i giovani e che travolge le nostre conquiste di civiltà. Una civiltà che si qualifica iniziando dal rispetto che porta alle donne, un universo multiforme e variegato, che tanto dà a questo paese, in termini di intelligenza, di operosità, di generosità nella surroga ai servizi da sempre posti sulle nostre spalle.

Sono qui perché penso che il berlusconismo stia cancellando decenni di conquiste culturali, riducendoci ad immagine stereotipata di bellone di plastica, tanto assoggettate quanto calcolatrici, aggressive, avide, disposte ad ogni mercimonio, sostenute in questo da padri e madri. Riportandoci ad un tempo ottocentesco, quando le donne erano corpi da usare per il piacere o per procreare.

A questo proposito dico che dopo tanti anni, anche a Rieti ho verificato in questi giorni, l’esistenza di un rigurgido di patetica misoginia maschilista, con espressioni che non sto qui a ripetere e che pensavo ormai cancellate dalla modernità, ma che evidentemente aspettavano solo il segnale dato da un vecchio satiro veterosessista per risvegliarsi, dopo tante lotte per il superamento dei modelli patriarcali e dell’impari condizione tra i generi.

Un’imparità oggi evidenziata dalla critica condizione lavorativa delle donne e dallo scarso potere decisionale che abbiamo nei luoghi del potere, soprattutto politico, nonostante le numerose replicanti che vediamo in televisione, mandate a pronunciare parole d’ordine omologate, in difesa del signore e padrone che le ha nominate in Parlamento. Sono qui perché il berlusconismo sta trasformando il Paese nella notte di Hegel, quella dove tutte le vacche sono nere. Dove ogni distinguo, ogni differenza è annullata dal cosifantuttismo, malattia dell’etica pubblica che produce la paralisi del giudizio e della scelta popolare tra chi si ritiene meritevole del ruolo di rappresentanza e chi no.

Sono qui per dire che sono stanca di essere governata da un connazionale che ha ricevuto tanto da questo Paese, dove è diventato ricchissimo e dove oggi ricopre un posto altissimo nelle istituzioni, grazie alle regole democratiche che lui non rispetta, pretendendo per sè impunità da imperatore e non di cittadino di una democrazia dove nessuno è al disopra della legge.

Questo dovrebbero dirlo tutte le italiane ed italiani che credono nel valore della dignità della loro repubblica, a qualsiasi sensibilità culturale e politica appartengano. Ma il berlusconismo è esattamente questo, è abbattimento del buonsenso civile. È per questo che le donne, in nome di quel buon senso perduto, non potevano più aspettare: se non ora quando?».

lunedì 7 febbraio 2011

Morte dei bambini Rom: e se ci vergognassimo?


“ Solo a una domanda non so rispondere:perché Signore, i bambini muoiono?”.Il principe Myskin , personaggio principale dell’Idiota, di Dostoevskji, ha una fede incrollabile in Dio. Solo di fronte alla morte dei bambini vive lo smarrimento del dubbio. E chi oggi, credente o non credente, indifferente o compassionevole, di destra o di sinistra,  non vacilla nel leggere che quattro bambini sono stati divorati dalle fiamme mentre dormivano in una roulotte in un campo nomadi di Roma?

Io provo vergogna. Mi vergogno per la insulsaggine di questo presente rumoreggiato dai problemi deboli. Dove le vere questioni, quelle che hanno a che fare con il rispetto verso la vita hanno il respiro corto della cronaca. Eppure di sbandieratori di questa nobile causa, nel nostro cattolicissimo paese ce ne sono ad ogni angolo. Ne volessi! Non aspettano altro, i componenti dei sinedri italiani, clericali e laici, quando la “ difesa della vita” si coniuga a temi definiti “ eticamente sensibili”. Definizione vuota e inventata da qualcuno con discreta idiozia ( questa sì da intendersi all’italiana, perché Myskin era prekrasnyj, buono, nel senso russo, non scemo), perché l’eticamente sensibile è vasto quanto lo è, appunto, l’etica.

Per me, tema eticamente sensibile è quello della vita dei bambini rom. E la sofferenza che mi provoca la vergogna che provo, pensando a quelle povere vite divorate dal fuoco, mentre tutti noi dormivamo nelle nostre case calde, è insopportabile. Mentre Alemanno dormiva come tutti gli amministratori romani e quelli regionali e quelli provinciali. Mentre Melilli ed i nostri sindaci che dovevano accogliere i rom nel nostro territorio, grazie ad un progetto che ne doveva garantire la buona inclusione nelle comunità prescelte, dormivano.

Mentre il papa dormiva, tra le ricche stanze vaticane. Ed anche i vescovi della Cei, sempre pronti ad intervenire sulla sacralità della vita quando si tratta di impedire la procreazione grazie ad i nuovi strumenti della medicina, dormivano. Ed il vescovo di Rieti, Lucarelli dormiva  come tutti i pastori della santa Chiesa Cattolica con tutti i benpensanti, professanti e praticanti.

Ed anche i giornalisti dormivano. Io stessa dormivo e adesso mi vergogno. Mi vergogno di parlare del diritto dei bambini ad una sistemazione abitativa decente, solo ora, dopo tanti mesi di silenzio sul tema . Solo dopo l’ennesima sciagura avvenuta in una gelida notte nella città dove Pietro, testimone del cristianesimo, riposa: a perenne memoria.

Occuparsi di politica è una scelta,non un obbligo Il 13 febbraio le donne in piazza per la dignità


“ Occuparsi di politica è una scelta, non un obbligo”. Così disse Emma Bonino, a Rieti in occasione delle elezioni regionali. Le stesse parole oggi sono ripetute da Susanna Camusso, segretaria  nazionale della Cgil, tra le protagoniste della mobilitazione del 13 febbraio per manifestare pubblicamente il disagio diffuso, ancorchè silenzioso, a favore della “ dignità”, intesa nel senso etimologico di “ meritevole di rispetto”, valore fondativo della nostra  Costituzione, disegnata, dopo la sconfitta della dittatura, intorno all’obiettivo primario di garantirla ai cittadini attraverso il lavoro, le leggi , l’abolizione di ogni privilegio ed impunità; la definizione puntuale di diritti e doveri.  


Questo spiega l’incipit dell’articolato costituzionale: “ L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro”, perché il lavoro, in un sistema democratico moderno, è fattore di libertà , autonomia di pensiero, realizzazione di sé. Una visione del lavoro così inteso, profondamente liberale,  mal si concilia con la prassi della raccomandazione, del voto di scambio, con le rendite di qualsivoglia tipo, compresa quella odierna di un corpo di donna bella e giovane.
L’unico modo di dare al lavoro il significato inteso dai padri costituenti è valorizzare l’impegno ed il senso di responsabilità dei cittadini verso se stessi e la collettività. E’ con questo spirito che è stato scritto il secondo capoverso dell’articolo 4: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità ( ovvero in base al merito) e la propria scelta ( la scelta implica la libertà ed il discernimento)  un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale della società ( obiettivo cancellato dalla prassi,  quasi generale, degradata dall’egoismo civile, a penoso attaccamento al proprio “ particolare”. Del chiedere per sé anche a scapito di altri).
Berlusconi, va detto, non ha inventato niente riguardo alla condizione di “ ostaggio”( Saviano) di chi in Italia cerca un lavoro, lo ha semplicemente esasperato, aggiungendo a quanto avviene da decenni, l’impudente uso dei ruoli istituzionali, dove colloca giovani protette che la ex moglie Veronica definì “ ciarpame senza pudore”. Un pudore che sembra essere scomparso in tanta parte del mondo giovanile, disposto a tutto pur di ottenere un facile successo.
Un successo incarnato dal premier a cui i più fragili guardano con ammirazione e con un sentimento di indulgenza sorridente  e complice su qualsiasi cosa compia. Anche se da anni i suoi comportamenti non corrispondono a quanto la Costituzione prescrive per chi ricopra ruoli pubblici: “ Disciplina ed onore”:art.54.
Ai giovani ed ai meno giovani, invece, è necessario far comprendere che chi non se la sente di vivere con “ disciplina ed onore”, come dicono Bonino e Camusso, fa altro. Fa vita privata, l’imprenditore, il pensionato, il gaudente libero di trascorrere l’esistenza tra accumulazione di danaro e ricchi  festini ( magari raccontati ai posteri da qualche frequentatore letterato, come fece Petronio con l’arricchito Trimalcione ). Chi non ricopre ruoli istituzionali può spendere l’esistenza come crede, limitato soltanto dalle leggi che chiunque è chiamato a rispettare se non vuole incappare nella giustizia. Anche il semplice cittadino, ad esempio, non ha licenza di intrattenere commerci indecenti con minorenni.
Ad un Presidente del Consiglio spetterebbe, invece, il rispetto verso il popolo, delle cui difficoltà dovrebbe occuparsi “ con disciplina ed onore”. Secondo l’Eurostat il lavoro è a picco. Particolarmente per i giovani e le donne la situazione si va facendo davvero drammatica. Il tasso di occupazione è del 57%, per le donne è del 47% ed il 29% dei giovani, al di sotto dei 25 anni, è alla ricerca del lavoro. I dati ci dicono anche che sono in aumento gli “ inattivi”, ovvero quelli che rinunciano a cercare una occupazione. Il fenomeno riguarda particolarmente le donne, nonostante ci siano più laureate che laureati.
E mentre le istituzioni ospitano donne cooptate in base ai requisiti che nulla hanno a che fare con le competenze e con la passione politica, anche grazie ad una legge elettorale che esprime tutta l’arroganza verso i cittadini, privati del diritto di scegliersi i rappresentanti, le donne continuano a restare ai margini dei sistemi pubblici, politici e parapolitici.A tal proposito basta guardare alla composizione del Cda del consorzio universitario della Sabina Universitas o al neo  Comitato provinciale dell’Inps: tutti uomini. E se abbiamo due donne reatine in Regione è grazie al listino ed alla possibilità della nomina degli assessori, non perché elette. Non certo per loro colpa.
Le conseguenze per i popoli che attraversano fasi come la nostra, di egoismo, di paura indotta, di  basso livello di pensiero critico e di esigenza verso i comportamenti di chi li governa, non sono mai positive. La banalità del male, raccontata da Hannah Arendt a proposito del nazismo, responsabile del disordine morale e culturale di un popolo civilissimo quale era il popolo tedesco, trasformato in lupo verso propri simili, è sempre pronta ad assumere forme nuove e corrosive della qualità della democrazia e di una nazione.
Aver scelto il titolo di un libro bellissimo e doloroso come è quello dell’ebreo Primo Levi, “ Se non ora quando”, come slogan dell’iniziativa promossa dalle donne del 13 febbraio ha un alto valore simbolico. La conquista o la riconquista della dignità, umana e civile, è un viaggio che va fatto insieme. Insieme è più facile trovare la forza di dire basta alla palude civile imputridita dall’accidia e dall’ indulgenza verso un  uomo che sta riducendo l’Italia a periferia d’Europa.


Articolo pubblicato sul Giornale Di Rieti

venerdì 4 febbraio 2011

e- mail agli amici di Sabina radicale: io il 13 andò a manifestare

Come mi capita qualche volta, ricevendo montagne di posta mi sono persa questa conversazione, ma, per fortuna, sono ancora in tempo a contribuire alla discussione.
Il 13 andò a Roma
Perchè? Perchè credo che certe volte bisogna essere fedeli a se stessi senza doverlo motivare più di tanto. Ma tenterò di farlo.
L'Italia che viviamo non mi piace. Non mi piace il berlusconismo come sistema culturale che ha annullato ogni distinguo, ogni differenza, ogni possibilità di giudizio morale alla luce di un giustificazionismo, a volte sincero, a volte di maniera: non si può essere moralisti, bacchettoni, bigotti e via dicendo.
Per come la vedo io la libertà non è licenza.
Da liberale laica detesto tutti gli assolutismi e l'imposizione corrente dell' abbattimento di ogni paletto etico e morale, da parte dei molti che nulla hanno da eccepire sul comportamento del premier, a me pare un nuovo assolutismo.
La sessualità, come è proposta oggi, anche dalle vicende di Ruby e compagnia esprime una povertà mortale. Non c'è nulla di gioioso, di erotico, di bello in quello che viene trasmesso ai giovani, maschi e femmine, ma un'ansia consumistica di nessun valore esistenziale.
Quello che si trasmette è il coito come merce: i vecchi ricchi comprano i corpi giovani. I giovani che recepiscono questa cultura che reifica la sessualità l'associano, inevitabilmente,all'aggressività, quando non alla violenza.
A differenza di quello che dice Paolo, nelle vicende note non c'è libertà, nè libertinismo, c'è solo l'esaltazione di un modo di relazionarsi basato sulla reciproca utilzzazione.
Questa è una cultura mefitica per le nuove generazioni e soprattutto per le donne, ahimè, le più vulnerabili per diversi fattori.
Credo che sia ora di dire basta. E' giusto che lo dicano le donne, perchè questa italia ci riporta indietro di decenni. Sta tornando l'immagine, da una parte, della " foemina instrumentum diaboli"( le troie, le utilizzatrici delle voglie del vecchio satiro...), dall'altro della donna per bene, che magari sta a casa perchè non trova il lavoro e che si adatta alla mercificazione di sè, in un modo o nell'altro.
A parte ciò, siamo davvero la barzelletta d'Europa e se gli uomini possono trovare frizzicante l'immagine dell'uomo che compra culi e tette, per la donna è devastante.
Io vado. E vado a Roma perchè conviene essere tante là dove si è sotto i riflettori, visto che ormai conta solo quello che dice e fa vedere la televisione...