venerdì 12 ottobre 2012

Esternalizzazioni sanità reatina.Gianani sia generoso


Sicko. Questo è il titolo di un film documentario del regista Michel Moor, del 2006, sul sistema sanitario americano. Per lo spettatore italiano, di qualsiasi sensibilità politica, fu un'occasione per apprezzare, nonostante tutto, l'offerta sanitaria del nostro paese. Nonostante tutto, perchè nel 2006 era già avanzata la consapevolezza che in quel particolare settore della cosa pubblica la politica aveva messo le tende, anzi, aveva elevato gli avamposti più resistenti della sua pratica spartitoria ed invasiva.

Una pratica messa a sistema con l'attribuzione, grazie al riordino del 92/93, delle competenze in materia sanitaria alle regioni. La ragione principale della riforma fu il contenimento della spesa. Se non fosse tragico sarebbe comico, visto che oggi scontiamo gli effetti di gestioni fallimentari da parte di maggioranze di ogni colore politico prodotto dal decentramento. Nel Lazio Badaloni trovò un debito di 800 miliardi di lire che ingrossò. Storace lo portò a 10 miliardi di euro. Marrazzo provò a ridurlo senza fortuna, Polverini ha dato il colpo di grazia con una gestione inefficiente, dannosa, spregiudicata. Con la sostanziale inefficacia dei nostri tanti rappresentanti regionali, impegnati, chi più chi meno ed a diverso titolo, a condividere le spese allegre. Cinque, mai avuti tanti.

Pacta sunt servanda”, dicevano i latini. I patti si rispettano. Quando una istituzione non si sente chiamata ad osservare questo fondamentale principio di civiltà il risultato è quello rappresentato nel consiglio comunale straordinario , aperto ai cittadini ed associazioni, tenutosi a Rieti lunedì scorso, 8 ottobre, per discutere di sanità: l'impotenza. Una impotenza che nasce dal fatto che il rientro sanitario dal debito regionale, che fa del Lazio il principale responsabile di quello nazionale( quasi il 60%), è stato tentato da Polverini sulle spalle di una provincia che, come ha detto il direttore amministrativo Adalberto Festuccia, ha fatto i “ compiti”. L'azienda sanitaria reatina ha ridotto le spese. Ha contribuito con zelo all'obbligo di risparmio, con la riduzione della spesa farmaceutica, il taglio di posti letto e di ospedali.

Ma a nulla è servito. Quanto era stato assicurato ai cittadini sabini col “patto” del decreto 80 non è avvenuto. Allo smantellamento di strutture ospedaliere come quella di Magliano e di Amatrice non ha fatto seguito nessuna compensazione assicurata, né riordino. La medicina territoriale non si è vista. L'ospedale provinciale De Lellis è alla paralisi, con il blocco del turnover a cui è stata negata ogni deroga. Con l'interinalità, per natura precaria ed incapace di produrre stabilità ed efficacia organizzativa. Ai patti è seguita l'indifferenza verso ogni richiesta arrivata da un territorio non più in grado di assicurare ai cittadini i livelli minimi di assistenza e cura.

Cittadini costretti ad aspettare tempi infiniti per le prestazioni e ad aumentare la mobilità passiva verso un'altra regione, essendo più rivolta a Terni che a Roma, producendo costi notevoli. Su tutto, come cacio sui maccheroni, è aleggiato il conflitto tra Polverini ed il direttore generale Gianani.

Un conflitto non utile a nessuno. Particolarmente alla nostra sanità. L'intervento di Santina Proietti, Presidente dell'Alcli, nota associazione per l'assistenza delle famiglie di malati di tumore, lo ha rappresentato meglio di chiunque, sindacati ed amministratori, intervenuti ognuno per la sua parte. I malati, particolarmente quelli di tumore e meno abbienti, sono allo stremo, come lo sono le strutture ospedaliere. Nonostante lo strenuo impegno di Santarelli e Capparella, primari di radiologia ed oncologia, i malati aggiungono disagi a dolore. E non va meglio per altri servizi.

E' per ovviare all'impasse provocata dalle deroghe e dalla sordità di Polverini verso i nostri problemi sanitari che il direttore Gianani vorrebbe avviare tutta una serie di esternalizzazioni. Cosa sono?

L'esternalizzazione, nota come outsourcing è uno strumento aziendale per ridurre il numero di attività, non ritenute strategiche , appaltandole ad un privato specializzato in quel settore. Come ogni cosa, la proposta, motivata da Adalberto Festuccia come risposta ai bisogni del territorio, va considerata senza paraocchi. Soprattutto ideologici. Il privato non va demonizzato. Ma il privato non va nemmeno considerato sempre la risposta giusta. Soprattutto se l'azienda in questione è quella sanitaria.

La domanda che va posta è: qual è la mission del servizio pubblico? E' il profitto e la crescita del fatturato o la cura? Credo si possa convenire che la risposta giusta sia la seconda. Mentre il privato per natura ha come missione il profitto. E dunque, chi potrebbe garantire l'utente, ad esempio, che la prestazione complessa e più remunerativa gli serva davvero? Chi potrebbe garantire che l'interesse a curare ed a prevenire prevarrebbe sul bisogno di produrre il legittimo profitto? E siamo sicuri che si produrrebbe risparmio e qualità maggiore? Quali calcoli sono stati fatti per ritenere giusta la scelta?

Un recente documento della Public Services International Research Unit dell’Università di Greenwich, ha dimostrato che il privato non ha prodotto risparmio ed efficienza nella sanità inglese, dove l'outcourcing è stato ampiamente utilizzato.

A chi sostenne la decisione di chiudere l'ospedale di Magliano, confidando nel riordino promesso e credendo nella necessità della razionalizzazione sanitaria laziale. A chi non trovò scandalosa l'idea di Gianani di promuovere un centro di medicina orientale a Magliano, come chi scrive, l'idea delle esternalizzazioni oggi appare scorretta. Molto più scorretta della destinazione di un milione e 200mila euro per la manutenzione del verde o dei premi di produttività ai dirigenti, dovuti per contratto.

Le dimissioni di Polverini rimettono tutto in gioco ed aprono a nuove possibilità. Il contratto di direttore generale scadrà tra meno di un anno. Credo sarebbe generoso da parte del dottor Gianani aspettare i pochi mesi che ci separano dalle nuove elezioni regionali prima di avviare una outsourcing che chi verrà troverà imposta per cinque anni.

Come sarebbe importante ed efficace politicamente che il sindaco Petrangeli, dopo l'ottimo segnale d'attenzione dato al tema sanitario, cosa non nuova in verità da parte sua, visto che è stato minacciato di denuncia da Polverini per procurato allarme, desse vita subito alla Consulta permanente a costo zero sulla sanità proposta dalla consigliera Massimi. Anche Emili e Melilli organizzarono incontri sulla sanità. Sarebbe brutto che tutto finisse in inutile ritualità.


L'era Melilli è finita


Un'era iniziata con entusiasmo e speranze (anche per chi scrive) è finita con l'epilogo triste delle dimissioni di Melilli da presidente di una provincia che sembra destinata a morire. Inevitabile l'accostamento al capitano che abbandona la nave mentre affonda, pur riconoscendo legittimità alle naturali pulsioni a sopravvivere. Anzi, a salire su navi più solide.

La presidenza di Melilli, miglior allievo di Manlio Ianni, è stata un'era durata 8 anni di perfetto metodo democristiano. Un metodo che ha prodotto pochi risultati, se si vanno a vedere progetti, patti, tavoli, annunci finiti nel nulla, soluzioni di problemi di lavoro. Un'era in cui si è liquefatta una classe dirigente del partito del Presidente, il Pd. Dove sono finiti Gosuè Calabrese, Roberto Giocondi, Giuseppe Rinaldi, Elena Leonardi, Enza Bufacchi, Cristina Costanzi e tanti altri che non elenco per ragioni di spazio? Un piccolo esercito disgregato. Un esercito che un “ generale” intenzionato a vincere la battaglia a favore del territorio avrebbe dovuto e potuto valorizzare e non depotenziare attraverso addomesticamenti o spinte alla fuga.
Un esercito scomparso di un partito che in nemmeno un decennio si è ridotto in provincia all'11% dei consensi, mentre in era Calabrese, Pds e Margherita veleggiavano intorno al 28% e che è riuscito a perdere importanti comuni come Fara Sabina . Mentre ha ceduto Rieti a Sel. Un partito che, dalla seconda sofferta vittoria di Melilli, ha visto nascere l'asse Melilli-Martellucci, a cui hanno fatto da volano le ultime primarie nazionali per la segreteria del Pd. Primarie strane. Primarie che videro gonfiarsi a dismisura tesseramenti poi perduti. Un caso per tutti è Borgo Rose. A votare furono in 100 tesserati. Oggi sono 7.

Saputo delle dimissioni di Fabio Melilli, per nulla sorprendenti, ho voluto ascoltare alcuni pareri. Tra questi quello dell'architetto Roberto Giocondi, a mio vedere, tra i migliori assessori della prima consiliatura di Melilli. “ Melilli è il più bravo di tutti, certo”, dice. “ se la politica va intesa come capacità di tessitura (e di rottura quando non servono più o sono considerati di ostacolo ndr) di rapporti personali, come capacità di moltiplicare le clientele, come creazione di società pubbliche che diventano carrozzoni.

Melilli e' il più bravo se si pensa alla politica come azione autoreferenziale, per cui il vantaggio personale è prevalente sull'utilità collettiva. Allora è indubbiamente il più bravo. Ma è inutile cercare in lui una visione progettuale vera. Ha amministrato la provincia senza idee, senza obiettivi di sviluppo di sistema”.

Lo sviluppo non c'è stato. E' un fatto. E' innegabile che progetti come quello integrato di Montepiano Reatino, di Giocondi, definitivo e finanziato, basato sull'idea che la valorizzazione e lo sviluppo delle aree rurali fossero il volano giusto per rimettere in moto l'economia del reatino, insieme al turismo, è rimasto solo un buon progetto. L'unica cosa conclusa è la famosa pista ciclabile (non percorribile di sera, in quanto pericolosa). Mentre nulla si è fatto per il Cammino di Francesco. Anzi, il pellegrino resta stupefatto per le infinite difficoltà che incontra su un percorso abbandonato a se stesso quanto chi lo percorre.

Melilli si è dimesso a suo modo. Il modo malmostoso che gli è proprio. A chi scrive resta il bisogno di fargli alcune domande. Che fine ha fatto il patto per lo sviluppo? E perchè ci fu tanta insipienza nella gestione dei mondiali di volo a vela costati alla Regione ( cioè noi) 2 miliardi di lire? Una cifra che non ha prodotto alcuna utilità per la città. Che utilità vera ha rappresentato comprare un ecomostro rischioso per più di un motivo per farne una scuola? Ed il Terminillo? La piscina che fine farà? Ed e' riuscito Melilli a tenere insieme l'esigenza dello sviluppo di Leonessa con la salvaguardia ambientale? Come mai il progetto del Parco è finito in nulla?

E come è stato gestito il tema dei rifiuti per la parte di responsabilità provinciale? Dopo traccheggiamenti e rinvii di raccolta differenziata si è arrivati a creare una società che, dopo tre anni dall'approvazione, ancora non è riuscita a nascere, ma che ha nel dna buone possibilità di finire nel solito carrozzone clientelare. E che fine ha fatto il collegamento veloce Rieti-Roma passando per Terni? Ed i soldi gestiti da sub commissario al terremoto e bloccati non sarebbe meglio darli ai terremotati?

E come mai la faccenda Ritel è finita con un nulla di fatto? E la dolorosa vicenda di Coop76 non poteva essere gestita meglio? E perchè sull'abolizione di Rieti provincia non si è coinvolta la città, mentre tutto è stato delegato al vertice?

Qualcuno fa notare che a Melilli si deve l'ultimazione della strada Rieti-Torano. In realtà i soldi furono stanziati da Badaloni, poi bloccati da Storace e ridati da Marrazzo. Melilli ha fatto il bando. Lascio giudicare agli altri se possa essere considerato un gran titolo di merito. A lui si deve anche il recupero di Villa Battistini e l'ampliamento del Palasojurner. Ottime cose, ma quello che non si vede è la visione strategica da cui nascono. Davvero rappresentavano delle priorità per un territorio che ha disperato bisogno di posti di lavoro?

"Se vogliono dimettersi lo facciano per riposarsi ma non pensassero di continuare ad avere ruoli di rappresentanza". Così hanno scritto i giovani democratici campani in una nota congiunta tra GD e segretari provinciali di Napoli, Salerno, Caserta e Benevento. Non ci stanno alle dimissioni di sindaci e presidenti di provincia interessati al Parlamento. Le dimissioni di Melilli non hanno prodotto reazioni. Fossi in lui mi chiederei il perchè.

L'arrocco di Petrangeli


Per i manuali di scacchi la mossa dell'arrocco è “ una manovra difensiva volta a portare al riparo il Re in un angolo della scacchiera”. E i manuali di storia raccontano l'incastellamento medievale dei secoli X e XII come risultato dell'insicurezza prodotta dalle invasioni normanne, saracene ed ungare seguite alla fine dell'impero carolingio. Il fattore comune tra il gioco ed il fenomeno storico è il rinchiudersi per paura.

E di cosa avrà mai paura Simone Petrangeli, sindaco da cinque mesi? L'immagine di oggi è vistosamente dissonante rispetto a quella della campagna elettorale. Una campagna di notevole efficacia, considerando il risultato: il Pd si è fatto sfilare la candidatura alle primarie, mettendoci molto del suo ( slogan felicissimo di Petrangeli che ancora risuona nella memoria reatina), mentre la destra, apparentemente invincibile, grazie ad un radicamento capillare e l'uso collaudato del metodo clientelare, è stata battuta.

Un risultato che aveva acceso l'energia della città. Una energia nuova, fatta di speranza di rinnovamento e di fiducia in spazi di partecipazione democratica di cui si sentiva bisogno. Ma ogni speranza va smorzandosi dopo la strana condotta del giovane sindaco di Sel, perchè a tutti, ad un certo punto, è parso evidente che Petrangeli, quello della “primavera reatina”, non voleva o non era capace di confronto. Né è parso interessato a favorirlo. Eppure è persona generosa ed amabile.

Petrangeli si è arroccato. Diventato sindaco, ha indossato un abito istituzionale inavvicinabile del tutto imprevedibile. E' stata una sorpresa financo per i “compagni” di una vita. Compagni che ancora non digeriscono la sorpresa dell'esclusione da incarichi o concertazioni. Ma anche dalla semplice relazione amicale ( almeno così sembra). Il sindacato, convinto di poter godere di ben altro interlocutore rispetto al passato, è costretto conferenze stampa per ottenere attenzione. Il sindaco appare lontano ed inaccessibile.

“Finita la festa gabbato lo santo”. La città, dopo le promesse, si è ritrovata sola ed amministrata da una maggioranza formata da un rassemblement giocato solo sull'anagrafe e l'inesperienza. Il meno adatto al momento. Risultato preoccupante del cedimento modaiolo all'idea che il rinnovamento in politica passi solo per la giovinezza e non per la sapienza ( in senso ampio del termine) che sa operare a favore del futuro e dei giovani. Miti di ogni dittatura, dal Fascismo alla rivoluzione culturale cinese, con gli effetti che sappiamo.

Non solo, la città si è trovata con un palazzo comunale, dispiace dirlo, che fa quasi rimpiangere quello di Emili. Se ieri la “ casa di tutti” appariva almeno ben tenuta, oggi appare un luogo triste dove il sindaco e la strana giunta ( qualcuno sostiene che è il segno del ritorno di poteri messi ai margini da Cicchetti) trascorrono ore ed ore, incupiti dal dissesto e distanti dai cittadini che, attoniti, si domandano le ragioni di un simile ribaltamento delle aspettative create.

“ Diventa sindaco”. “ Mettici del tuo”. “ Trasparenza”, “Partecipazione”, alla luce di quanto si sperimenta oggi sono stati felici slogan e niente più. Formule vuote sparite dalla sfera del possibile immediatamente dopo la vittoria, La luna di miele nemmeno c'è stata, perchè Petrangeli dal giorno dopo si è arroccato.

Come mai? Di chi ha paura? Da chi si difende? Dalla città? Il compito è troppo gravoso? Trovarsi, al tempo della spending review, con una montagna di debiti, un numero di dipendenti debordante da licenziare, dirigenti abituati a nessun controllo e ad una prassi di uscite di soldi fuori bilancio di difficile rendicontazione, richiede nervi saldi ed inflessibilità. Forse il sindaco pensa di poterlo fare solo in solitudine.

Petrangeli, nel Consiglio comunale di lunedì scorso, ha saputo rispondere con efficacia ad una minoranza che fa il suo gioco cercando di metterlo in difficoltà non votando a favore del riequilibrio di bilancio. Il sindaco ha ricordato giustamente, a Gerbino e agli altri, che l'attuale emergenza è dovuta solo in parte alla crisi. I debiti fuori bilancio e lo stato d'emergenza sono dovuti a loro. E a loro si deve lo stato dell'Asm ed il fatto che il preventivo del 2012 nemmeno era stato approvato. La città questo lo sa. E sa che sindaco e giunta hanno cominciato a risparmiare cominciando da sé, riducendosi il compenso del 30%.

La città può capire che restare nei limiti di un riequilibrio di bilancio di 2,3 milioni di euro, che vuol dire sacrificare domande che vengono dal sociale, ponendo dei limiti strettissimi a ciò che appare indispensabile, non deve essere facile per uno che arriva da una cultura politica di sinistra radicale. Ma è il destino di chi passa dall'utopia teorica alla prassi di governo. Forse è da questo che nasce la sua insicurezza. Forse.

Ma forse l'insicurezza nasce anche dalla consapevolezza che trasformare un gruppo di brave persone, quasi tutti alle prime armi nel ruolo difficile di assessore (e qualche conflitto d'interesse), in una squadra capace di operare in modo omogeneo è qualcosa di enormemente complicato. Questo, forse è il punto più delicato. Una giunta come quella scelta dal sindaco richiede una cabina di regia con un regista che sa esattamente quale film vuole girare. Quale città vuole aiutare a crescere. Quali interessi si vogliono servire.

Una cosa complicata per un vendoliano figlio di una borghesia non illuminata (a Rieti è così) e votato dal Pd, ovvero da un partito di centro sinistra riformatore, diventato sindaco grazie alle strambe primarie di coalizione del partito di Bersani e ad una ottima campagna elettorale ( per sua ammissione pagata dal padre). Occorre un equilibrismo notevole.

La squadra per ora non c'è e non sembra essere prossima a venire. La mancata coesione tra gli assessori è stata evidenziata dallo “ scontro” pubblico tra l'assessore Cecilia e la vicesindaca Emanuela Pariboni sui piani integrati. E l'osservatore attento ha la netta percezione che tutti stiano“ ballando”da soli. Belli i programmi. Facili i programmi. Il difficile è realizzarli. E quando il gioco si fa duro per qualcuno non resta che la fuga. Ma è solo un indice di debolezza. Ed è sbagliato.