La materia è complessa e complicata da penetrare per un
cittadino comune, e servirà un vero impegno per aiutarlo a cogliere gli aspetti
essenziali di una riforma che tocca questioni di trentennale discussione. Parlo
della riforma costituzionale che in autunno saremo chiamati ad approvare o
rifiutare con un referendum. A iniziare un percorso esplicativo di cosa andremo
a decidere è stato il comitato Basta un Sì di Rieti.
Mercoledì scorso, a
Palazzo Dosi si è tenuto un incontro a cui hanno partecipato il
costituzionalista Francesco Clementi, professore di Diritto Pubblico comparato
all’Università di Perugia e il presidente del comitato cittadino Basta Un Sì –
Rieti Alberto Vespaziani, professore associato di Diritto Pubblico Comparato
presso l'Università del Molise. Mancava il presidente del comitato provinciale
, lo stimato e noto, per i reatini,
professore Gisberto Fioravanti, momentaneamente fuori sede. A moderare
il dibattito è stato il giornalista Marco Fuggetta.
Entrando nel merito dell’incontro, serve una premessa. In
passato si è provato a modificare la Costituzione italiana del 1947 attraverso
un percorso tanto peculiare della nostra democrazia partitocratica,
conflittuale e diffidente, quanto fallimentare, quello delle tre commissioni
bicamerali ( la prima 1983-85, presieduta dal liberale Bozzi: la seconda De
Mita- Iotti 1993-94; la terza, presieduta da D’Alema del 1997). Lo ha ricordato il professore Francesco
Clementi.
Quello di Clementi, membro della Commissione dei saggi
voluta dall’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nominata al
tempo del Governo Letta, presieduta da Gaetano Quagliariello ( che oggi è per
il No, beata incoerenza) e conclusa con
una relazione finale dal titolo significativo di “ Per una Italia migliore”, è
stato un intervento appassionato e accurato. Sufficientemente chiaro per non
addetti ai lavori.
Il professore ha una cultura progressista e, forse aiutato
dall’anagrafe, non affronta le riforme costituzionali con l’enfasi retorica
dell’intoccabilità di un testo “ perfetto”. La riforma del Governo Renzi, ha
ricordato più volte, non è perfetta, esattamente come non lo è quella nata dopo
la fine del Fascismo e della guerra. La
nostra Carta è il prodotto del compromesso raggiunto tra le diverse forse
politiche antifasciste momentaneamente alleate. E’, pertanto, figlia del suo
tempo. Un tempo molto diverso da nostro.
Il conflitto tra i partiti, dopo la nascita dei governi
repubblicani, riprese subito e non ha
mai cessato di esistere, in barba agli interessi degli italiani. Da questo (
tra le altre cose) è nato l’aggettivo critico di Marco Pannella, “
partitocrazia”, intesa come fenomeno degenerativo della vita politica del
sistema democratico italiano.
La scelta del sistema “Bicamerale”, per apportare modifiche
necessarie al buon funzionamento del paese, modifiche fatte in passato da altre
nazioni europee, come Francia e Germania, per dirne due, è stata un sostanziale
tentativo di aggirare la norma
costituzionale. Dati i pessimi rapporti tra le forze politiche, nasceva anche fallimentare.
Ecco perché il costituzionalista difende e sostiene la
Riforma Boschi. “ Il Parlamento prodotto dal risultato elettorale del 2013 è
diviso e frammentato. E’ un Parlamento fatto più di vinti che di vincitori.
Nonostante ciò Renzi è riuscito a costruire una maggioranza nel rispetto della procedura dell’articolo 138
della Costituzione. La riforma che si è riusciti faticosamente ad approvare migliorerà la qualità della
democrazia in Italia”.
Ma quali sono i punti nevralgici della riforma? Il primo è
la correzione del cosiddetto “ bicameralismo paritario”, ovvero due camere che
svolgono le medesime funzioni allungando all’infinito, il processo legislativo.
Tra conflittualità e veti reciproci di partiti, partitini, partitucci, spesso
interrotti solo dalla caduta di governi traballanti per mancanza di maggioranze
solide, l’iter del sistema che si sta cercando di superare diventava spesso un
ping-pong senza fine. Come ricorda Renzi in 70 anni di repubblica i governi
sono stati 63. Da questo nasce una legge elettorali come l’Italicum che punta alla governabilità.
A proposito di legge elettorale, secondo il professore, se
ne parla troppo. Meglio ancora, è in atto l’assurdità di mettere insieme due cose
slegate tra loro quando si affronta il tema referendario. Da una parte c’è una
legge elettorale, già in atto per la Camera, nata dopo la bocciatura del Porcellum da parte
della Corte Costituzionale, disegnata per garantire la governabilità col premio
di maggioranza e la rappresentanza, con l’eventuale ballottaggio. Dall’altra
c’è una riforma della seconda parte della Costituzione sulla quale saremo
chiamati a decidere.
L’altro punto è quello riguardante gli enti locali, Province
e Regioni. Le Province saranno definitivamente abolite, insieme allo Cnel,
Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, ente inutile e improduttivo. Un
poltronificio per sindacalisti, imprenditori ed “ esperti” . Solo un costo per
il contribuente. Le Regioni, invece, saranno ridimensionate per funzioni,
superando l’attuale confusione nel rapporto tra enti Stato e Regioni prodotta dalla riforma del
titolo V della Costituzione.
E all’argomento che la classe politica “ peggiore”, quella
regionale finirà nel nuovo Senato, cosa obietta il professore Clementi? “ Spetta alle Regioni recuperare la
legittimità perduta. Quella di Renzi non è una riforma contro le Regioni.
Tutt’altro, se sapranno governare e manderanno la gente giusta al Senato,
premiando il merito, avranno più forza di quanta ne hanno ora” .
L’incontro è andato per le lunghe. Sintetizzarlo non è
facile, ma ci provo. Con la riforma il Senato sarà ridotto da 315 componenti a
100: 74 consiglieri regionali, 21
sindaci, 5 nominati dal Capo dello Stato per 7 anni. Questo consentirà alle
istituzioni territoriali di concorrere alla funzione legislativa in alcuni casi specifici indicati dal comma 1
dell’art.70 e di partecipare alle decisioni dirette alla formazione e
all’attuazione delle politiche dell’Ue e dei suoi atti normativi, permettendo
la verifica dell’impatto delle stesse sui territori.
Materie come energia,
grandi infrastrutture strategiche, politiche attive e grandi reti di trasporto,
oggi bloccate da contenziosi dovuti alla
confusione tra competenze legislative concorrenti, torneranno di competenza
statale. Insomma, si darà maggiore certezza del diritto. “ Far capire a chi spetta la responsabilità
decisionale, con trasparenza e chiarezza, è la grande sfida delle democrazie
moderne, chiamate a rispondere con velocità ai bisogni collettivi”, è il
pensiero del giovane costituzionalista.
Il terzo punto, forse quello essenziale, è quello della
semplificazione complessiva del sistema. Una volta che l’architettura
istituzionale, con l’abolizione delle province e la razionalizzazione del
procedimento legislativo, sarà stata ridotta e semplificata, sarà possibile
ridurre la decretazione d’urgenza e il programma di governo potrà essere
realizzato con pochi disegni di legge essenziali. La riforma rimette al centro
il rapporto eletto-elettore, valorizzando l’indirizzo politico scelto dagli
elettori.
Quello di mercoledì scorso è uno dei primi appuntamenti
reatini nato per spiegare le ragioni del Sì. Ce ne saranno altri a sostegno del
No. Ai cittadini, questa volta, come non mai, spetta la responsabilità di
andare al voto sapendo che si sta giocando una carta importante per il futuro
del paese.
Nei prossimi mesi occorrerà tornare sul tema con sempre
maggiori approfondimenti. Per ora chiudo con le parole di Giorgio Napolitano “
Se la riforma del Senato non passerà, quella sarà la fine di ogni speranza di
rinnovamento della democrazia italiana “. E con quelle dell’attuale presidente
Mattarella sulla infinite polemiche e la proposta di spacchettamento avanzata
dai miei amici radicali :” Certi dibattiti su data
e spacchettamento sono talmente surreali da sembrare la caccia ai
pokemon”. L’ironia, certe volte, è l’unica risposta possibile.
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