Chi lo sa se alla fine non si dovrà ringraziare la sindaca
Virginia Raggi per aver prodotto un’insolita unità tra i sindaci del territorio
sabino, domani in protesta nella Piana di san Vittorino, comune di Cittaducale,
là dove le acque limpide e possenti delle sorgenti del fiume Peschiera
s’infilano addomesticate da complessi meccanismi nelle tubature che le portano
a Roma. Destino condiviso dalle altre sorgenti sabine, quelle delle Capore,
comune di Casa Prota, che ai romani
forniscono acqua ed energia elettrica.
E chi lo sa quando avrà fine il lungo e accidentato
contenzioso tra Ato3, organo provinciale a cui spetta la gestione del sistema
idrico sabino e Ato 2, sostanzialmente Acea Spa, ovvero Comune di Roma e soci
privati, il principale dei quali è il potente Caltagirone. Ragione della
protesta è sempre quella di cui da anni siamo costretti ad occuparci: il “
ristoro”, ovvero indennizzo, dovuto alla Sabina per lo sfruttamento che Acea fa
delle sue acque. Un “ ristoro” mai
corrisposto anche quando è stato deliberato da chi di dovere, la Regione Lazio,
nel 2006.
Una vicenda senza pace quella della gestione di uno dei più
grandi sistemi acquedottistici d’Europa. Pace che in uno stato di diritto
dovrebbe derivare dall’applicazione del diritto, per l’appunto. Ma in questo
strano paese che è l’Italia il diritto, esercitato da soggetti istituzionali,
burocratici e tribunalizi di varia
natura, spesso finisce per fare l’interesse del più forte e del più prepotente.
E non fa eccezione la sindaca Raggi, paladina dell’acqua
bene comune. Bene da sottrarre al mercato, per carità. Ad appena un mese dalla
investitura, la prima cittadina, infatti, è ricorsa al Tar per stoppare l’ultima delibera della
Regione Lazio governata da Zingaretti . Una delibera che sembrava aver
finalmente trovato un compromesso tra gli interessi dei diversi soggetti
interessati alla questione dell’utilizzo
dell’acqua del Peschiera-Le Capore.
Ora, lasciamo perdere la contraddizione interna al M5S
laziale, diviso tra le critiche sollevate dai Grilli “gridanti” ( a suon di
maiuscole) reatini dopo l’annuncio della
delibera di Zingaretti e la
decisione di fermarla ricorrendo al Tar da parte della sindaca di Roma. Dopo
l’annuncio della convenzione, infatti, i grillini reatini l’hanno definita “
emblematica” della scarsa considerazione in cui è tenuta la Sabina da parte
della Regione Lazio. La nuova convenzione, infatti, ha stabilito un ristoro
inferiore a quello deciso da quella precedente, del 2006, di 79 milioni di euro.
Soldi mai arrivati.
Quello che oggi conta è che i 73 sindaci del territorio più
frastagliato e diviso, non solo geograficamente, finalmente si uniscano per
dire a Roma che la misura è colma e che la Sabina non svolge la gratuita
funzione di servizio idrico della Capitale. Una Capitale che usa la sua acqua
senza risparmio, privato e pubblico, considerando la quantità di fontane che
l’abbelliscono grazie alle sorgenti delle montagne generose dell’Appennino
reatino.
La sindaca della Capitale non vuole alienarsi la simpatia
degli elettori aumentando le tariffe delle bollette che il “ ristoro” comporterebbe?
Problema suo. Forse basterebbe chiedere ai romani di ridurre lo spreco
dell’acqua e ad Acea di ridurre quello della gestione per evitarlo. Se lo slogan “acqua bene comune” viene usato
solo come retorica elettorale a lungo andare si mostra per quello che è: impostura
e puro mezzo per acchiappare voti a sinistra, come con altri si acchiappano a
destra con altre furberie.
Dall’acqua della Sabina, Acea, Spa pubblica e privata, trae profitto e come. Un’altra grillina,
Silvia Blasi, nel 2013, su segnalazione del M5S reatino, c’imbastì una
interrogazione regionale ( ma le interrogazioni sono come i ricorsi al tar, non
si negano a nessuno) dove ricordava, tra le altre cose, la portata del
fatturato che Acea ottiene sfruttando le acque sabine, 450 milioni di euro.
Alla faccia dell’acqua bene comune e non merce. Cari sindaci dateve da fa’.
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