venerdì 18 febbraio 2011

Birra 'Alta quota', un modello da seguire

Gli ultimi sono arrivati qualche giorno fa dalla terra dei Fenici, di Didone, della divina Cleopatra. Sono circa cinquemila, arrivati dalla Tunisia, terra ricca di storia, di sventure antiche e di nefandezze moderne, secondo quello che Amnesty International da anni denuncia: la violazione violenta dei diritti umani. Sono arrivati a Lampedusa con barconi poco più sicuri di quelli che trasportavano Ulisse ed i suoi compagni nel percorso raccontato da Omero nell’Odissea lungo lo stesso mare. Ed è sempre odissea, nonostante il terzo millennio, quella di chi fugge da una terra che nega pace e vita ai suoi figli. 

Cosa fare per coniugare la compassione umana con il diritto degli italiani alla sicurezza? Si può, soltanto che si comprenda che con la semplice pietà, quella buonista, senza progetto, si creano solo esasperazioni razziali, se non razziste. Mentre i respingimenti, sono aberrazioni del diritto, oltre che uno scandalo delle coscienze. L’unica alternativa è studiare, per chi non abbia vere alternative ( tra cui tornare nel proprio paese una volta che la fase emergenziale sia trascorsa, anche grazie all’aiuto della comunità internazionale), il modo per favorire l’integrazione di singoli e famiglie nel tessuto connettivo delle popolazioni italiane. 

A questo proposito mi sembra opportuno ricordare un caso esemplare di felice integrazione di rifugiati a Cittareale, paese dell’alta valle del Velino, di almeno cinquanta persone arrivate da paesi lontani. Grazie al progetto “Falacrina”, finanziato dal Fai , Fondo di Accompagnamento per l’Integrazione, la cooperativa sociale “Il gabbiano”, il cui presidente è Claudio Lorenzini, si è realizzato un felice matrimonio tra umanitarismo e ricaduta positiva locale. 

Questo, sia in termini di produttività che di cultura dell’accoglienza. Sto parlando della birra “Alta quota”, prodotto artigianale di eccellenza, per usare un termine d’attualità, realizzata con farro cittarealese ed acqua delle sue sorgenti montane, da Amid e Mohammed, afgani arrivati da un paese senza pace, aiutati a superare la condizione infelice di esuli grazie alla formazione professionale, intento primario per cui si è costituita la cooperativa “Il Gabbiano”. E davvero è difficile immaginare percorsi diversi dalla formazione professionale e la selezione di territori disposti all’accoglienza, per contribuire alla soluzione dei problemi posti dalla questione dell’emigrazione clandestina. Una delle questioni più difficili per l’Italia, geograficamente esposta alle conseguenze migratorie dell’incendio che sta infuocando l’intera regione del Maghreb ed alcune aree mediorientali. 

Questione che i nostri territori montani, demograficamente depauperati, potrebbero assumere in prima linea con progetti efficaci come quello “Falacrina”. Come a Cittareale il progetto è stato capace di dar vita a filiere produttive nuove ed utili sia ai rifugiati che alle popolazioni ospitanti, così potrebbe avvenire nelle tante enclavi geografiche del nostro articolato territorio. Nelle favole, che ormai non si raccontano più, la morale ricorrente era che la generosità è, a lungo andare, pagante. 

Oggi, la birra “Alta quota” sta ricevendo l’apprezzamento del mercato qualificato, a cominciare da quello riunito al salone del gusto di Torino nel 2010. Realizzata con ingredienti biologici e senza conservanti, la neonata birra è un prodotto promosso da Slow Food, associazione grazie alla quale ho avuto il piacere di conoscerla e di gustarne la opalescente fragranza. 

Il presidente, Claudio Lorenzini, che ho incontrato recentemente ad Amatrice, in una cena di Slow Food, nell’agriturismo “Lo scoiattolo”, sorpreso lui stesso dai risultati raggiunti, ora è preoccupato solo dal successo, visto che la domanda è superiore alla produzione. Non c’è che dire, le buone pratiche, l’entusiasmo nel realizzarle e la valorizzazione delle risorse umane, non possono che fare bene al bene.
Aric

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